N° 26268 - 08/10/2014 8:42 - Stampa - -
DISCUSSIONE DELLA SETTIMANA
La responsabilità del professionista. Esaminiamo le "obbligazioni di mezzi" ovvero obblighi e responsabilità di consulenti o professionisti che forniscono un’opera intellettuale. Cristina Liberti
Il carattere principale dell’obbligazione del professionista consiste nel porre in essere una attività strumentale al perseguimento dell’interesse del creditore – cliente. Rispetto a tale contenuto l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza si è concentrata su quella particolare categoria di obbligazioni che è convenzionalmente definita come “obbligazioni di mezzi” e che si suole contrapporre alla diversa categoria individuata nelle “obbligazioni di risultato“.
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Obbligazioni di mezzo
La differenza sostanziale tra le due tipologie di obbligazioni in oggetto va inquadrata nel fatto che quando si chiede ad un professionista di prestare le proprie capacità professionali per la tutela di un interesse, non si può pretendere, a differenza di quanto accade nelle obbligazioni di risultato, che questi raggiunga il risultato e quindi soddisfi le speranze del cliente, ma si potrà solo pretendere che egli adotti quella diligenza che la fattispecie richiede usando tutto il suo bagaglio di esperienze e cognizioni, onde tentare di risolvere al meglio il problema; pertanto, la prestazione del professionista rientra nell’ambito dell’obbligazione di mezzi. Infatti l’opera prestata da quest’ultimo, essendo relativa solo a prestazioni intellettuali attraverso il mezzo del sapere, non può essere mirata al raggiungimento di uno scopo come risultato, ma solo al tentativo di raggiungerlo, essendo questo in ogni caso influenzato da elementi esterni molte volte imponderabili. La Corte di Cassazione (Cass. Civile, sez. II, 08.08.2000, n. 10431) ha sottolineato che:
«le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista assumendo l’incarico si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo».
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Ne deriva che l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza per il quale trova applicazione, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del “buon padre di famiglia”, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176 secondo comma c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata.
La diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, ovvero la diligenza posta nell’esercizio della propria attività da un professionista di preparazione professionale e di attenzione medie. Questo, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità del professionista è attenuta configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave.
Colpa grave
La nozione di colpa grave in campo professionale comprende:
gli errori che non sono scusabili per la loro grossolanità;
le ignoranze incompatibili con il grado di addestramento o di preparazione che una data professione richiede oche la reputazione del professionista da motivo di ritenere esistenti;
la temerarietà sperimentale ed ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari che il cliente affida alle cure del prestatore d’opera intellettuale.