N° 21053 - 17/05/2013 11:30 - Stampa - -
DISCUSSIONE DELLA SETTIMANA
Esodati e indigenti. Chi tutelare per primi?
Un “esodato” é un dipendente anziano di un’azienda in crisi che a fronte di un accordo sindacale non viene licenziato, ma viene tolto dal suo posto di lavoro in esubero, con la garanzia di un salario seppure ridotto, fino al raggiungimento dell’età pensionabile.
In questo modo al licenziamento “secco” si sostituisce un’uscita “morbida” che consente all’impresa in crisi o in ristrutturazione di ridurre i costi del personale e quindi attivare l’azione di risanamento che si prefiggeva, ovvero di “salvare” il posto di lavoro di chi resta.
Di converso questo tipo di accordo sindacale aumenta i costi sociali a carico di tutti gli altri lavoratori.
Con la riforma Fornero, che ha spostato i termini dell’età pensionabile, si è creato il problema di coprire i costi che lo stato avrebbe dovuto sostenere per garantire una seppur minima retribuzione a questo considerevole numero di lavoratori.
Molti si sono impegnati a cercare le risorse mancanti, poche le autocritiche sulla bontà della soluzione attivata per “salvare” le aziende in crisi e “convincere” i lavoratori che avrebbero dovuto essere licenziati.
Torneremo sull’argomento perché la soluzione di scaricare i costi dei licenziati sulla collettività nascondeva una concezione dell’economia distorta che ora piano piano si manifesta nella sua evidenza, visto che, per salvare qualche azienda decotta, ora si stanno mettendo a rischio i conti dello Stato e quindi tutte le altre.
Ma torniamo agli esodati. Prima di proseguire nel ragionamento dobbiamo fare una premessa: un principio è giusto se vale per tutti coloro che si trovano nelle medesime situazioni ed è ingiusto di converso se vale solo per alcuni “privilegiati”.
Se la riforma crea problemi seri a tutte quelle persone che sono troppo vecchie per trovare una nuova collocazione e troppo giovani per andare in pensione, allora non si comprende perché debba esserci una discriminazione tra quelle che hanno perso il lavoro perché hanno concordato coi sindacati la loro uscita dall’azienda in crisi, da quelli che invece, nonostante abbiano la stessa età, vengano licenziati da piccole imprese artigiane al di fuori di accordi sindacali.
Il principio di solidarietà non può riguardare solo gli esodati delle grandi aziende. L’allungamento dell’età pensionabile è un problema di TUTTI i lavoratori, non solo degli esodati.
Il discrimine per il riconoscimento del sussidio statale non dovrebbe riguardare chi è esodato e chi invece non lo é, ma tra chi é indigente e chi non lo é.
In altri termini, se uno è stato licenziato o meno non c’entra nulla col bisogno legato alla sopravvivenza che può riguardare anche un anziano o un giovane indigente, seppure non abbia mai lavorato.
Il problema quindi diviene più generale, grande e complesso e travalica nella politica sociale che dovrebbe essere attivata per sostenere le famiglie più “deboli” e non circoscritto ai lavoratori che hanno perso il lavoro e tantomeno solo quelli delle grandi aziende.
Limitare il problema degli esodati ai soli esodati non solo é restrittivo, perché risolve il problema solo per alcuni (tra l’altro spesso alcuni esodati potrebbero avere altri redditi o addirittura essere componenti di famiglie con doppio o triplo stipendio) ma anche ingiusto perché non tratta tutti i lavoratori allo stesso modo.
Il problema vero, ovvero della solidarietà sociale resta, anzi si acuisce, perché crea disuguaglianze tra lavoratori.
Ora si punta a rifinanziare i cassaintegrati delle grandi aziende senza alcun riferimento ai redditi complessivi familiari come se esodato equivalesse a “indigente”.
E i commercianti, i professionisti, gli artigiani e i piccoli imprenditori falliti e i loro dipendenti, e i pensionati e i giovani disoccupati?
Ancora una volta i sindacati cercano di tutelare prioritariamente i loro iscritti dimenticandosi il criterio di equità e giustizia, ma così facendo si sta creando le premesse per una pericolosa frattura sociale che mette i lavoratori gli uni contro gli altri e mina alla radice il concetto di solidarietà.
Bisognerebbe quindi distinguere tra Stato sociale dinamiche economiche. Le aziende decotte che non stanno sul mercato vanno chiuse, se non altro per dare spazio alle altre che restano. Chi perde il lavoro, qualunque sia l’azienda che lo licenzia e qualunque sia il motivo, dovrebbe trovare uno Stato che dia una mano al suo nucleo familiare almeno per sopravvivere, fintanto che un membro trovi un altro posto di lavoro o delle risorse che consentano di fare a meno del sussidio statale. Non si può lasciare la gente sulla strada solo perché non gode di un accordo sindacale.
Si dice che non ci sarebbero risorse per tutti. Questo é vero ma solo se i sussidi fossero distribuiti secondo criteri errati e non invece secondo la reale necessità dei cittadini meno abbienti come avverrebbe con la tutela a spada tratta dei soli esodati che toglierebbero risorse ai più indigenti.
E’ necessario rivedere la politica di assistenza sociale mettendo al primo posto le famiglie indigenti qualunque sia la ragione della loro indigenza.