La sentenza 28 febbraio 2013 della Corte di Giustizia dell’Unione europea, II sezione, nella causa C-1/12, ci offre lo spunto per chiarire un dubbio al quale, in dottrina, sono spesso date risposte generiche che hanno coinvolto anche il legislatore nella confusione generale.
Mi riferisco alla assimilazione tra professionisti e imprese, alla luce del diritto comunitario; quella stessa (erronea) assimilazione che ha condotto all’abrogazione delle tariffe.
Partiamo dalla narrativa della sentenza in commento, riferita all’Ordine degli esperti contabili (in prosieguo e nella sentenza con acronimo: OTOC), che secondo l’allegato I del decreto legge del Portogallo 26 ottobre 2009, n. 310 è una persona giuridica di diritto pubblico di natura associativa, che ha il compito di rappresentare, attraverso la loro iscrizione obbligatoria, gli interessi professionali degli esperti contabili nonché di esercitare un controllo su tutti gli aspetti collegati con l’esercizio delle loro funzioni.
La norma prosegue indicando i compiti e in particolare, per quanto qui rileva, elenca:
difendere la dignità e il prestigio della professione, vegliare sul rispetto dei principi etici e deontologici nonché difendere gli interessi diretti e le prerogative dei suoi membri;
promuovere e contribuire al perfezionamento e alla formazione professionale dei suoi membri, in particolare organizzando attività e programmi di formazione professionale, corsi e conferenze;
esercitare il potere disciplinare sugli esperti contabili;
stabilire principi e norme di etica e deontologia professionale.
Dalla definizione e dai compiti indicati è chiaro che si tratta di un Ordine professionale esattamente assimilabile a quelli italiani che sono governati da norme analoghe.
L’OTOC gestiva il sistema portoghese dei crediti formativi (analogo al nostro) in assoluta autonomia e con una sorta di monopolio. Infatti (fino alla sentenza qui commentata) poteva organizzare i corsi, anche a pagamento, e aveva il compito di autorizzare corsi gestiti da altri.
Ciò però aveva una limitazione: la parte istituzionale, 12 crediti, doveva essere erogata esclusivamente dall’Ordine.
Per essere autorizzati dall’OTOC a impartire corsi con crediti formativi relativi alla porzione residua (professionale), gli organismi di formazione devono (dovevano) avere determinati (dallo stesso OTOC) requisiti, iscriversi a un elenco di formatori professionali dietro versamento di una tassa pari a Euro 200 e infine farsi accreditare i singoli corsi previo pagamento di un’altra tassa di Euro 100 (per ciascuno). Tasse a favore dello stesso OTOC.
Nel giudizio che è scaturito dalla protesta degli altri formatori è stata sollevata una questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione:
Se un organismo come l’OTOC debba essere considerato, nel suo insieme, un’associazione di imprese agli effetti dell’applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza (mercato della formazione).
La sentenza in argomento afferma che Secondo una costante giurisprudenza, nel contesto del diritto della concorrenza la nozione di impresa comprende qualsiasi ente che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle modalità del suo finanziamento (v., in particolare, sentenza Wouters e a., cit., punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
Quindi, alla domanda se un ordine professionale quale l’OTOC debba essere considerato un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, allorché adotta un regolamento come il regolamento controverso ovvero, al contrario, debba essere considerato un’autorità pubblica risponde che è un’associazione di imprese, perché può incidere (e incide eccome, come abbiamo visto dalle cifre e condizioni sopra riportate)non soltanto nel mercato in cui i membri di un ordine professionale esercitano la loro attività, ma anche in un altro mercato nel quale lo stesso ordine professionale esercita attività economica.
In coerenza, conclude che un regolamento che pone in essere un sistema di formazione obbligatoria degli esperti contabili al fine di garantire la qualità dei servizi offerti da questi ultimi, come il regolamento controverso, adottato da un ordine professionale quale l’OTOC, configura una restrizione della concorrenza vietata dall’articolo 101 TFUE quando elimina la concorrenza per una parte sostanziale del mercato rilevante, a vantaggio di tale ordine … e inoltre impone, per l’altra parte di detto mercato, condizioni discriminatorie a danno dei concorrenti di detto ordine professionale.
Tutto ciò configura una restrizione della concorrenza vietata dall’articolo 101 TFUE.
La giusta considerazione sulla natura degli Ordini
Così ricostruita la vicenda, si conferma quanto già affermato a proposito della vecchia versione (art. 81, ex art. 85) del trattato sulla comunità europea: “sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che… abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza…”.
In questo senso, e solo in questo senso, l’avvocato può essere visto come un’impresa e il Consiglio dell’Ordine locale, o quello nazionale (in Italia CNF) come un’associazione d’imprese; per tutti gli altri aspetti (ricognizione, creazione e custodia delle regole deontologiche, procedimenti disciplinari ecc.) gli Ordini sono autorità pubbliche delegate dallo Stato.
In sintesi, per dirla con Giuseppe Valenti e Roberto Zazza (studiosi del vecchio centro studi OUA) l’iscrizione a un ordine professionale è atto necessario per l’esercizio della professione medesima, mentre gli Ordini sono fondati sulla condivisione di una regola diversa e più stringente di quella dei profani, sancita da un giuramento la cui violazione lede l’onore collettivo (cioè la credibilità) della categoria.
L’intera categoria si fa garante verso società della lealtà, correttezza e competenza dei suoi membri: l’Ordine è quindi un corpo sociale intermedio, organizzato per tutelare attività di interesse pubblico e valenza costituzionale, e per questo è sottoposto alla vigilanza ministeriale.
Questo concetto della delega statale è ripreso dalla sentenza che commentiamo:quando uno Stato membro attribuisce poteri normativi a un’associazione professionale, definendo nel contempo i criteri di interesse generale e i principi essenziali ai quali la regolamentazione posta dall’ordine deve conformarsi nonché mantenendo il proprio potere di decisione in ultima istanza, le norme emanate dall’associazione professionale conservano un carattere pubblico e sfuggono alle norme del Trattato applicabili alle imprese (v., in tal senso, sentenza Wouters e a., cit., punto 68).
Ecco la ragione per cui la sentenza è da condividere, ma non lo sono le conseguenze ipotizzate da alcuni frettolosi commentatori: resta salda la giurisdizione disciplinare del CNF, delegata dallo Stato in ragione di interessi generali (l’autonomia dei professionisti rispetto alla magistratura), ma sottoposta al controllo di legittimità della Corte di Cassazione.
Come comportarsi per i crediti formativi? Il “modello Catania”
La sentenza in commento afferma che un sistema di concorrenza leale, come quella prevista dal Trattato, può essere garantito solo se le pari opportunità tra i diversi operatori economici sono assicurate (e tra i diversi operatori include l’Ordine, se organizza a pagamento).
Nel modello italiano il CNF, già diversi anni addietro, dettava le linee guida e suggeriva ai singoli Consigli l’organizzazione di corsi gratuiti o dietro corresponsione dei soli costi; ovviamente ciò non impedisce che privati possano organizzare corsi a pagamento, che l’Ordine autorizza secondo criteri scientifici predeterminati e senza pretendere il pagamento di alcuna tassa.
Ciò però comporta, soprattutto nei grandi Fori, l’insufficienza dell’offerta formativa e la conseguenza che gli iscritti sono costretti, per adempiere all’obbligo di aggiornamento, a seguire i corsi a pagamento.
Per ovviare all’inconveniente rispettando sia le indicazioni del CNF che le regole di libera concorrenza, l’Ordine di Catania ha realizzato un modello di successo.
Gli eventi formativi sono organizzati gratuitamente dallo stesso ordine, dalle sue promanazioni (es. la Scuola forense) e dalle associazioni forensi.
Queste ultime sono incentivate con contributi alle spese, secondo criteri predeterminati con apposito regolamento.
I contributi possono essere erogati anche ad associazioni non forensi, purché l’evento sia accreditato e non a pagamento.
Con tale modello le associazioni sono stimolate e organizzano eventi di eccellente qualità, con un’offerta formativa ampiamente sufficiente e totalmente gratuita.
I contributi coprono, in parte, le spese per manifesti, locazione di sale ecc., mentre le associazioni offrono la cultura dei propri iscritti e di eminenti giuristi, tutti ben disposti a partecipare senza alcuna indennità.
La Cultura trionfa, e la concorrenza non è frenata nè ostacolata.
(Altalex, 6 marzo 2013. Nota di Antonino Ciavola)