Categoria: edilbank

gen 11 2014

Coordinatori: responsabilità e compiti secondo la Corte di Cassazione

Gli orientamenti della Corte di Cassazione rischiano di deresponsabilizzare il sistema delle imprese, laddove si richiede al CSE un controllo continuo ed effettivo. Ne parla, in un’intervista a PuntoSicuro, Marco Masi, Coordinatore Gruppo di lavoro ITACA. Continua

gen 08 2014

COMPENSI PROGETTUALI PER I LAVORI PUBBLICI: STABILITE LE METODOLOGIE DI CALCOLO

“Finalmente regole certe per i professionisti”, commenta così il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori il decreto sulle metodologie di calcolo per le tariffe dei lavori pubblici pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e che contiene i parametri da applicare per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento dei servizi di architettura e di ingegneria.

Questo provvedimento, fortemente voluto dagli architetti italiani, viene a colmare il vuoto normativo determinatosi nel settore relativamente alla classificazione dei servizi professionali e alla determinazione dei loro corrispettivi, vuoto che ha aggravato – negli ultimi tempi – la situazione di un settore già in sofferenza.

“Alla crisi economica che ha letteralmente messo in ginocchio l’intero settore si è aggiunta, negli ultimi anni – sottolineano gli architetti italiani – la cancellazione dei riferimenti tariffari che, con il passaggio dalla regolamentazione degli onorari riguardanti le nostre attività ad una fase di assoluta confusione, ha eliminato per i professionisti qualsiasi riferimento certo.”

“Con il risultato che troppe Amministrazioni pubbliche – e troppo spesso – hanno applicato in questi anni ribassi nei compensi, raggiungendo percentuali inconcepibili e compromettendo, al di là di ogni possibile risparmio, la qualità di molte prestazioni professionali e la buona esecuzione delle opere pubbliche, non mostrando alcuna considerazione per il lavoro intellettuale svolto dai progettisti né per il valore dei progetti”.

“Ci auguriamo ora una inversione di rotta – anche grazie a questo provvedimento che introduce elementi innovativi ed in linea con criteri di trasparenza, chiarezza e semplificazione”.

E proprio per facilitare il lavoro alle Stazioni appaltanti il Consiglio Nazionale degli Architetti ed il Consiglio Nazionale degli Ingegneri hanno realizzato un apposito software – a disposizione di tutti i professionisti – in grado di calcolare i compensi professionali in modo semplice e immediato.

gen 08 2014

Il cliente e l’architetto

Non sempre il confine tra i due ruoli è chiaro e definito; esistono però committenti consapevoli.

Gianluigi Ricuperati, direttore di Domus Academy, preferisce chiamarlo committente per contemplare il senso di impegno e responsabilità derivato dal termine commitment, ma di questi tempi, all’esercito dei 180mila architetti iscritti agli ordini delle province italiane basterebbe sapere che il futuro riserva loro ancora qualche cliente.

Quale tipologia di cliente vorremmo essere per un architetto? Ecco alcuni esempi da apprezzare, premiati con la targa Cultori dell’architettura dall’Ordine degli Architetti di Torino lo scorso 17 dicembre.

Tipo A _ Adriano Olivetti: Illuminato, generoso, con uno spiccato impegno nel valorizzare il tessuto sociale e urbanistico. È l’industriale colto e facoltoso, che investe creando un’eredità architettonica così importante ad Ivrea, tanto da candidare oggi i suoi edifici nella tentative list dell’Unesco.

Tipo B _ Alessandro Baricco: visionario, sensibile, capace di cogliere l’energia e lo spirito di un luogo, come è accaduto per l’ex caserma Cavalli a Torino, da quest’anno nuova sede della scuola Holden, di cui è preside. È l’intellettuale, lo scrittore che costruisce cattedrali e spazi abitabili per i lettori dei suoi romanzi.

Tipo C _ Paolo Sanna: consapevole, impegnato, capace di fare della condivisione uno stile di vita, che si concretizza nel modello di co-housing Numero Zero che ha realizzato per sé e per i suoi amici, ma aperto al quartiere. È il professionista promotore dell’abitazione sartoriale contro il prêt-à-porter immobiliare.

La casistica non si esaurisce certamente qui.

Liliana Pastorin

dic 31 2013

IMPIANTI ELETTRICI- CEI 501-26 CEI UNI EN ISO/IEC 17067:2013-11

Valutazione, Attestazione e Certificazione della Conformità
Valutazione della conformità – Elementi fondamentali della certificazione di prodotto e linee guida per gli schemi di certificazione di prodotto
La norma descrive gli elementi fondamentali della certificazione di prodotto e fornisce linee guida per comprendere, sviluppare, attuare e mantenere attivi schemi di certificazione per prodotti, processi e servizi.

Essa è prevista per l’utilizzo da parte di tutti coloro i quali hanno un interesse nella certificazione di prodotto, specialmente i proprietari di schemi di certificazione.
La presente Norma sostituisce la Norma CEI UNI 70017:2008-02 (CEI 501-1) che rimane applicabile fino al 28-02-2014

dic 24 2013

BUON NATALE A TUTTI!

Centro Studi Edili

Il Direttore

Ing Giampaolo Ceci

dic 24 2013

Servizi di Architettura e Ingegneria, il commento degli Ingegneri al decreto parametri sulle gare di progettazione

Dopo circa un anno e mezzo dalla entrata in vigore e dalla successiva conversione in legge del decreto legge 83/2012 che, modificando il comma 9 dell’art. 2 del dl 1/2012, prevedeva l’emanazione di un apposito decreto ministeriale per la determinazione dei corrispettivi, da porre a base di gara nelle procedure per gli affidamenti dei servizi tecnici, finalmente viene pubblicato in Gazzetta il 20 dicembre 2013 il DM n. 143 del Ministero della Giustizia di concerto con il Ministero delle Infrastrutture: “Regolamento recante determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici per servizi relativi all’architettura e all’ingegneria”.

Decreto fortemente voluto dalle categorie professionali ed in particolare dagli ingegneri e dagli architetti che hanno costantemente seguito e coadiuvato i due ministeri nella stesura della norma. Ci sono voluti circa 18 mesi, due Pareri del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, uno dell’Autorità di Vigilanza, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti per arrivare alla definitiva approvazione della norma e alla sua pubblicazione.

La principale novità introdotta dal cosiddetto Decreto Parametri Opere Pubbliche, è quella di avere colmato il vuoto normativo determinatosi per effetto dell’abrogazione delle tariffe nel settore degli affidamenti professionali di incarichi di progettazione o di natura tecnica.

Nella valutazione del decreto non si può non fare riferimento all’importante novità contenuta nella norma primaria, che sottende l’emanazione del DM. Infatti il comma 1 dell’art. 5 del DL 83/2012, convertito nella Legge 134/2012, stabilisce che per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara, si applicano i parametri individuati dal presente DM modificando in tal senso l’art. 92 del Codice dei Contratti che dava facoltà al RUP di utilizzare le tariffe professionali se ritenute congrue.

La trasparenza è quindi l’obiettivo primario che persegue la nuova norma che, con l’utilizzo dei parametri per la determinazione del corrispettivo, toglie discrezionalità alle stazioni appaltanti nella determinazione dell’importo da porre a base di gara nelle procedure di affidamento dei servizi tecnici.

Ciò costituisce un elemento di forte trasparenza, perché da una determinazione corretta del corrispettivo discende l’individuazione della fascia a cui sottoporre la procedura. Con l’aumento dell’importo a base di gara infatti, l’individuazione del contraente avviene con requisiti di partecipazione più pregnanti e criteri di scelta meno discrezionali.

In questo senso i Consigli Nazionali degli Ingegneri e degli Architetti hanno predisposto una guida contenente spiegazioni, metodo di calcolo, esempi e software applicativo sulla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara che riprodotta in 20.000 copie sarà inviata gratuitamente a tutte le Stazioni Appaltanti d’Italia e a tutti gli Ordini Provinciali degli Ingegneri e degli Architetti oltre ad essere scaricabile dai siti dei due Consigli Nazionali.

La nuova procedura di calcolo dei corrispettivi è sicuramente più semplice della precedente Tariffa e soprattutto cogente con il nuovo quadro normativo in materia di prestazioni professionali nel caso di opere pubbliche.

La classificazione dei servizi professionali ed il quadro delle prestazioni riportate nella Tav. Z1 e Z2, allegate al DM, tengono conto, inoltre, delle variazioni intervenute nella normativa di riferimento nel settore delle Opere Pubbliche che, a partire dalla Legge 109/94 e fino alla emanazione del Dlgs 163/2006 e i suoi correttivi, ha conosciuto una serie cospicua di modifiche ed integrazioni che hanno determinato un complesso normativo articolato e sostanzialmente completo, per l’intero settore degli appalti dei servizi e delle forniture.

Infine col regolamento di attuazione del Codice (D.P.R. 207/2010), relativamente alle prestazioni professionali di cui ai servizi di architettura ed ingegneria, sono stati definiti strumenti normativi e regolamentari che hanno condotto ad una quasi completa rivisitazione ed aggiornamento della normativa precedente che si può considerare, finalmente compiuta, con l’entrata in vigore del presente decreto.

Il Decreto emanato si concretizza e si qualifica per l’aspetto innovativo, in linea coi principi di trasparenza, chiarezza e semplificazione della norma ed è coerente, con l’intento di dare compimento al quadro normativo dei servizi tecnici, tenendo conto dell’ampliamento del quadro normativo dovuto all’emanazione del Codice degli Appalti e del relativo Regolamento rispetto alle norme previgenti che facevano riferimento alla Legge n. 109 del 1994.

In tale ottica la pubblicazione del presente decreto, in luogo dei precedenti riferimenti normativi relativi ai servizi tecnici (D. M. 04.04.2001), integra e completa le precedenti regole sulla classificazione dei servizi e il relativo quadro prestazionale.

Ing. Michele Lapenna

Consigliere Tesoriere – Consiglio Nazionale Ingegneri

Referente Servizi di Ingegneria e Architettura

dic 18 2013

Impianto elettrico non aggiornato: multati due asili

L’Asl di varese ha sanzionato due nidi per 5000 euro a causa del mancato aggiornamento degli impianti con la nuova normativa tecnica.

Due sanzioni amministrative pari a 5000 euro sono state decise dall’Azienda sanitaria nei confronti di due asili nido.

I tecnici dell’Asl, nel corso di un sopralluogo, hanno verificato che gli impianti elettrici elle due scuole avevano i requisiti minimi di sicurezza, ma non erano aggiornati alla evoluzione della normativa tecnica, così come la relativa documentazione tecnica. Sono state eseguite con esito positivo le prove strumentali dei conduttori di protezione, dei dispositivi differenziali e delle lampade di emergenza.

dic 17 2013

IVA: scadenza 27 dicembre 2013 per acconto 2013 e versamenti arretrati

27 dicembre 2013 sara` l`ultimo giorno utile per versare l`acconto IVA.

In estrema sintesi possiamo anticipare che sono tenuti al versamento dell`acconto i titolari di partita IVA che hanno chiuso il periodo fiscale 2012 con un debito IVA.

L’acconto pagato, da determinare con le consuete modalita`, verra` successivamente scomputato dall’ammontare dell’IVA dovuta per il mese di dicembre 2013 (nel caso dei contribuenti mensili) ovvero per il quarto trimestre 2013 (nel caso dei contribuenti trimestrali).

L`art. 10 ter del D.Lgs 74/2000 prevede una sanzione penale in caso di omesso versamento Iva per ammontare superiore a 50.000 euro: ma per la consumazione del reato non e` sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l`omissione del versamento dell`imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell`anno successivo al periodo di imposta di riferimento. Quindi entro il prossimo 27 dicembre 2013 sara` anche necessario versare gli arretrati IVA ante 2013, se eccedenti i 50.000 euro, onde evitare responsabilita` penali in capo all`imprenditore (titolare o legale rappresentante).

dic 13 2013

NUOVO INCONTRO – PROGETTO DEDALO – TERNI – IL FASCICOLO TECNICO

Il giorno giovedì 19 dicembre dalle ore 14.45 alle 18.45, presso la Biblioteca Comunale di Terni, l’Ing. Mastroianni si occuperà dei criteri metodologici per l’elaborazione del Fascicolo Tecnico. Inoltre verranno presentati degli esempi di stesura di fascicolo basati sugli stessi casi dei Piano di Sicurezza e Coordinamento.


Si rilasciano crediti formativi ai periti industriali.


Per informazioni relative all’iscrizione ed i successivi appuntamenti del Progetto Dedalo del 2014: tel. 0742.354243, formazione.cse@tiscali.it

dic 08 2013

I video dell’Assemblea consultiva su Inarcassa

Il 25 novembre 2013 si è tenuta presso la sede dell’Ordine APPC di Roma e Provincia un’Assemblea Consultiva a cui hanno preso parte i delegati per gli architetti e ingegneri di Roma e provincia ing. A. Croce, arch. M. Alcaro, arch. G. Valle, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma nella persona del consigliere ing. L. Coticoni e gli iscritti degli Ordini APPC e degli Ingegneri di Roma.

 Riportiamo qui la video-registrazione dell’Assemblea con l’invito a proseguire on-line il dibattito avviato, che è il primo passo nel lavoro di costruzione di azioni condivise.

x ACCEDERE AI VIDEO

 

 

dic 08 2013

Nuova mediazione civile: le linee interpretative in una circolare del ministero.

L’art. 84 del decreto legge 21 giugno 2013 n.69, come convertito dalla legge 9 agosto 2013 n.98, ha introdotto alcune modifiche al testo del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

Tenuto conto delle novità introdotte, dei quesiti pervenuti e dei principali profili di incertezza applicativa che sono stati posti all’attenzione degli uffici ministeriali, si ritiene necessario fornire le seguenti linee interpretative e direttive in materia.

L’indennità dovuta per primo incontro di mediazione. Spese di avvio del procedimento. Continua

nov 30 2013

SCADENZE FISCALI: CONFPROFESSIONI, SIAMO NEL CAOS

Un vero e proprio pasticcio, che mette i professionisti e i contribuenti in gravissime difficoltà ad adempiere all’obbligo fiscale”.

Così il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, bolla il decreto legge varato dal governo lo scorso 28 novembre che ha prorogato i termini per il pagamento del secondo acconto d’imposta per i contribuenti soggetti ad Ires. “Non si possono cambiare le regole del gioco quando la partita è già cominciata” afferma Stella.

“Il provvedimento varato dal governo sta causando un vero e proprio caos tra professionisti e imprese che, a due giorni dalle scadenze di pagamento degli acconti d’imposta, si sono visti cambiare tempi e regole per pagare le tasse”. “Confprofessioni sostiene con forza l’iniziativa dell’Associazione nazionale consulenti del lavoro e di tutti i professionisti che operano nell’area economica e fiscale. Ribadisce con fermezza che il decreto del 28 novembre scorso non permette ai colleghi professionisti di operare in modo corretto e non consente di consegnare, per tempo, le deleghe di pagamento ai propri clienti”, continua Stella.

“La nostra Confederazione stigmatizza l’atteggiamento del governo che anziché semplificare gli adempimenti fiscali sembra più orientato a mettere paletti ai contribuenti onesti che vogliono pagare le tasse. Non è questa la strada per combattere l’evasione fiscale”, conclude il presidente di Confprofessioni..

nov 18 2013

Sulla responsabilità del DdL e del RSPP per la mancata formazione

Responsabili il datore di lavoro e il RSPP di una cooperativa per l’infortunio occorso ad un operaio comune adibito a una mansione qualificata senza la preventiva formazione e senza l’addestramento all’uso dell’attrezzatura utilizzata. Di G. Porreca.

Una sentenza questa della Corte di Cassazione che pone in evidenza l’importanza, ai fini della prevenzione degli infortuni, della formazione dei lavoratori per lo svolgimento della mansione alla quale sono adibiti nonché dell’addestramento degli stessi all’uso di attrezzature di lavoro ad essi affidati. La suprema Corte ha infatti confermata la sentenza di condanna inflitta nei gradi inferiori di giudizio sia al Presidente di una cooperativa, in qualità di datore di lavoro, che al responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell’azienda ritenuti responsabili di un infortunio mortale occorso ad un dipendente della cooperativa stessa durante alcuni lavori boschivi ed in particolare durante l’abbattimento di un grosso pino mediante l’uso di una motosega. Al Presidente della cooperativa era stata addebitata la colpa di non avere organizzato dei corsi di formazione e addestramento dei neoassunti che avrebbero richiesto l’impiego di risorse finanziarie e la riduzione delle ore di lavoro attivo mentre al RSPP è stato imputato l’inadempimento a siffatto obbligo pacificamente rientrante nelle proprie mansioni.

Aggiornamento quinquennale lavoratori Lavoratori – Aggiornamento quinquennale lavoratori

Corso di aggiornamento quinquennale per lavoratori di tutti i settori o comparti aziendali.

L’evento e le condanne nei primi gradi di giudizio

Il Presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante di una società cooperativa a r.l. ed il responsabile del servizio di prevenzione dei rischi e responsabile aziendale per la sicurezza della cooperativa stessa sono stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale per rispondere del delitto p. e p. dall’art. 113 c.p., art. 589 c.p., comma 2 perché, in cooperazione colposa tra loro, per colpa generica ovvero per negligenza, imprudenza, hanno cagionata la morte di un operaio comune avventizio, dipendente sella cooperativa, che, mentre era intento ad abbattere con il solo uso della motosega un pino del diametro di 25-30 cm. circa, la cui chioma era rimasta impigliata nella vicina vegetazione, omettendo di adottare le corrette procedure e di usare le anzidette attrezzature complementari che gli avrebbero consentito di operare in condizioni di maggior sicurezza, veniva schiacciato mortalmente dal peso del pino che improvvisamente si spostava dalla posizione di stallo, rotolandogli addosso. L’imperizia contestata era consistita nell’aver omesso di informare e formare adeguatamente l’operaio comune avventizio, nell’avergli affidato un lavoro di taglio boschivo con uso di motosega, nell’aver omesso di prevedere il caso del cosiddetto “albero impigliato” nel piano operativo/sostitutivo di cantiere, trattandosi di evenienza frequente nei lavori di diradamento boschivo, e nell’aver omesso infine di fornire all’operaio le attrezzature complementari per affrontare la procedura di abbattimento di un albero impigliato quali la leva d’abbattimento, lo zappino ed il “triforte”.

Con riferimento alla dinamica dell’infortunio il Tribunale, sulla base di quanto emerso dall’istruttoria, ha ritenuto che l’operaio avesse erroneamente proceduto all’abbattimento dell'”albero impigliato”, avendo effettuato il secondo taglio dell’albero senza lasciare la cosiddetta cerniera o lasciandone una insufficiente a sostenere il peso dello stesso di guisa che questo, una volta libero, ha effettuata una rotazione incontrollata attingendo la vittima all’addome ed ha ravvisato peraltro il nesso di causa tra i comportamenti commissivi ed omissivi ascritti agli imputati nel capo di imputazione e l’evento accaduto.

La Corte di Appello ha successivamente confermata la pronunzia di primo grado, rimarcando, in particolare la sussistenza, al di là di ogni ragionevole dubbio, del nesso di causa fra l’infortunio, cagionato dalla mancata formazione e dall’omesso addestramento dell’operaio, incaricato ciononostante di usare la motosega pur in difetto della necessaria qualifica di operaio specializzato, così come contestato agli imputati, e l’evento.

Il ricorso in Cassazione e le decisioni della suprema Corte

Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione tramite lo stesso difensore adducendo una serie di motivazioni. Gli imputati hanno sostenuto, in particolare, che l’evento mortale non era stato cagionato dalla mancata formazione del lavoratore infortunato il quale, grazie all’esperienza maturata nel taglio boschivo, aveva operato correttamente nell’abbattimento dell’albero e nella risoluzione delle difficoltà che presentava il caso del cosiddetto albero appoggiato, ma da fatti sopravvenuti, imprevedibili ed eccezionali avendo provocato la contro-spinta esercitata sul tronco dall’albero di appoggio, la rottura della cerniera lasciata secondo la consueta prassi, una frazione di secondo prima del previsto, allorché il lavoratore stava riponendo a terra la motosega e che inoltre, dopo l’incidente, durante il ricovero in ospedale, un’ulteriore serie di sfortunate circostanze ed in particolare la patologia cardiaca avevano provocata la morte dell’operaio. Il Presidente della cooperativa, in particolare, ha sostento di non essere consapevole degli interventi in materia di sicurezza del personale e di limitarsi solo ad un controllo sotto il profilo formale e che aveva delegato alle mansioni in materia di attività formativa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, titolare di apposita delega di mansioni con possibilità di spesa e di investimento.

La Corte di Cassazione ha ritenuto i ricorsi infondati e li ha pertanto respinti. Secondo la stessa, la Corte distrettuale aveva congruamente e logicamente ritenuto che la causa dell’infortunio fosse da individuare “esclusivamente nella mancata formazione e nel mancato addestramento dell’operaio” e nell’averlo adibito nell’impiego della motosega (con la quale aveva svolto solo poche ore di lavoro) affidandogli in tal modo mansioni proprie di un dipendente specializzato nonostante la qualifica di operaio comune avventizio. ”La vittima pertanto”, ha ribadito la Sez. IV, ”in difetto di adeguato addestramento nel taglio degli alberi di alto fusto e di esperienza consolidata nel tempo nell’uso di detto strumento di lavoro, non fu in grado di supplire a tale deficit formativo ed addestrativo, nel raffrontare in sicurezza il “pur minimo imprevisto” presentatosi nella concreta situazione di ‘albero impigliato’ (non caduto a terra, dopo il primo taglio del tronco, perché sostenuto dalle chiome degli alberi esistenti a valle) nella quale, trovandosi ad abbattere un pino di cm. 30 circa di diametro, cresciuto su di un terreno in pendenza, ebbe ad effettuare un secondo taglio a circa un metro dal primo senza lasciare la cerniera ovvero lasciando una cerniera insufficiente a sostenere il peso dell’albero che, libero del peso del troncone di un metro, ha effettuato una rotazione colpendo l’operaio all’addome”.

“Ciò posto”, ha proseguito la suprema Corte, “nessun dubbio poteva quindi sussistere in ordine alla responsabilità per colpa, ascritta ad entrambi gli imputati in ordine alle acclarate condotte commissive ed omissive per il mancato svolgimento di apposti corsi di formazione sul taglio degli alberi con l’ausilio della motosega, previsti solamente ‘sulla carta’ ed, invece, ‘significativamente tenuti ed organizzati solo dopo questo infortunio’ come altresì sottolineato dalla sentenza di primo grado”.

Al responsabile del servizio di prevenzione e protezione e responsabile aziendale della sicurezza, ha così proseguito la Sez. IV, “si deve imputare il grave inadempimento a siffatto obbligo pacificamente rientrante nelle proprie mansioni, a tanto non potendo supplire il mero affiancamento ‘del neo assunto ad un operaio esperto’ quale procedura di addestramento impiegata fino alla data dell’infortunio”. Neppure il rappresentante legale della cooperativa, ha quindi concluso la suprema Corte, “può andare esente da responsabilità, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, per aver tollerato (e di fatto avallato) la mancata effettuazione dei corsi di addestramento per i neo – assunti che avrebbero reso necessario l’impiego di risorse finanziarie e la riduzione delle ore di lavoro attivo degli operai, trattandosi di scelte in materia di organizzazione gestionale della cooperativa, facente capo esclusivamente al suddetto imputato in posizione apicale”.

nov 16 2013

Lettera aperta di un ingegnere italiano

Come ogni mattina, anche oggi mi sono svegliato presto; per dovere, e per abitudine, scorro il consueto promemoria, osservo intorno a me e vado avanti. Mi ritrovo così nel mio studio, nella stanza di lavoro; una mia fotografia di vent’anni fa, appesa alla parete, restituisce un’immagine del passato: io nel ghiacciaio del Monte Bianco, con zaino sulle spalle e atteggiamento fiero, di colui che esplora la vita, con tutte le sue meraviglie.

 Avevo ventisette anni, laureato in ingegneria, abilitato all’esercizio della professione, servizio militare assolto. La montagna, la sua vetta, lo spazio rarefatto del ghiacciaio, l’acqua dei ruscelli, rappresentavano un premio per i normali impegni di studio e di lavoro; i miei genitori potevano essere orgogliosi di me, i loro sacrifici erano stati onorati, e anch’io ne ero fiero.

 Per me, che venivo da un piccolo paese di provincia, arrivare a Roma era già una conquista. Andai ad abitare in un piccolo appartamento del quartiere Aurelio – lontano dall’università – che condividevo con mio fratello. Mi alzavo alle cinque e dieci del mattino (prendevo tre autobus) per evitare il traffico di Roma e per giungere in tempo all’università. Con i compagni di corso ci imbucavamo in qualsiasi spazio libero, per ripassare le lezioni, in attesa della riapertura delle aule per le esercitazioni del pomeriggio. Ricordo un giorno in cui, insieme ad un amico calabrese, per la preparazione all’esame scritto di “Fisica Uno”, ci rifugiammo in un’aula della facoltà di Economia e Commercio, adiacente alla sede di ingegneria di Via Castro Laurenziano. Un’aula spaziosa occupata da poche persone, nelle prime file verso la cattedra; noi eravamo nell’ultima fila, distaccati dal gruppo di studenti. Erano circa le tre del pomeriggio quando, nel silenzio delle persone presenti, udimmo una voce: “Ehi voi, lassù! Vi faccio passare la voglia di disturbare. Uno di voi venga alla lavagna!” Era la voce del professore di “Matematica Generale” che si accingeva ad iniziare la lezione. Non ci eravamo accorti della sua presenza, mentre ripassavamo tra di noi gli appunti di fisica. Andai alla lavagna, senza dire al professore che non ero uno studente della facoltà di Economia. Mi fece risolvere un limite, una derivata e un’integrale e poi disse: “Va bene, vai a posto!” Ci furono altri episodi simili, nelle aule di Economia e Commercio, in quelle di Biologia e in altri luoghi che utilizzavamo esclusivamente per lo studio. Spesso ci ritrovavamo a studiare all’interno di un vecchio pulmino “Fiat 900″, quello dal profilo tronco e bombato.

 Ricordo le lotte politiche per il diritto allo studio. Mi impegnai, in prima persona, per evitare l’introduzione del numero chiuso, contribuendo a raccogliere le necessarie firme all’ingresso delle aule di Via Castro Laurenziano e di Via Scarpa. Ancora oggi credo fermamente che qualsiasi attività, anche quella dello studio, vada sperimentata sul campo, con una selezione meritocratica naturale, senza “quiz americani”, che premiano spesso chi passa il tempo con divertimenti enigmistici, secondo una logica superficiale che bypassa qualsiasi realtà complessa. Faccio un esempio: i corsi del biennio iniziavano alla fine di settembre, con una frequenza che arrivava a sfiorare le trecento persone; dopo le festività natalizie solamente un terzo degli studenti continuava a seguire i rispettivi corsi. Questa è la selezione naturale! Nei corsi del triennio la selezione continuava, fino ad arrivare all’agognata laurea, che incoronava un “culturista del sapere”, preparato ad hoc per sopportare il peso delle future competizioni.

 Erano i primi anni novanta quando, per mia deliberata scelta, iniziai la libera professione di ingegnere. Ricordo l’emozione del mio primo lavoro, la cura ossessiva dei dettagli tecnici, lo scambio di opinioni con i colleghi più esperti, ore ed ore di ininterrotto lavoro, saltando spesso il pranzo o la cena, il tutto per imparare a lavorare e per conquistare la fiducia della committenza. Dal progetto si passava al cantiere: l’opera veniva analizzata in ogni dettaglio e, man mano che prendeva forma, si materializzava tutto l’impegno e il sacrificio. Tecnici ed operai rappresentavano i componenti essenziali di un complesso sistema artistico, nessuno poteva esimersi nell’espletare il proprio ruolo, nel miglior modo e con la massima dedizione.

Il premio finale, per quell’impegno, era spesso un fine settimana di svago con gli amici, poche ore con la ragazza o una fugace vacanza.

 Finito un lavoro, operai, imprenditori, tecnici progettisti, direttori dei lavori, venivano retribuiti con “equo compenso”, e ciò consentiva a tutti di poter investire nel proprio futuro, di acquistare macchine, software, attrezzature di lavoro, assumere personale dipendente e di supporto, in poche parole ciascuno poteva sperare di star bene nel prossimo futuro, per trasmettere ai figli, o a chiunque esprimeva volontà di fare, l’idea di poter tentare nell’impresa con un trampolino sicuro, frutto del progresso, della preparazione acquisita, dell’esperienza e del reciproco rispetto.

 Fare l’ingegnere non è difficile, è sicuramente impegnativo; impegnarsi significa assumere un obbligo, mantenere una promessa, investire energie per ottenere un concreto risultato: una scommessa con la società civile finalizzata al benessere collettivo, quello che oggi sembra solo uno slogan, una metafora scolorita ed anacronistica priva di qualsiasi senso pratico.

Vent’anni di professione non sono poi tanti, davanti a me ci sarebbero ancora molti sogni da dover realizzare – avendo dilazionato il tempo per onorare appieno una promessa – con l’impegno di un adulto che non scorderà mai i sacrifici suoi e dei propri genitori, le molteplici rinunce, su cose che oggi sembrano scontate (andare in discoteca, coltivare hobby, vacanze ecc.), tutto questo nei migliori anni della vita, quelli in cui sognare era per tutti l’unica cosa accessibile e veramente gratuita.

 Qualsiasi generazione, forte della propria esperienza, espone la sua storia con malinconica nostalgia, esaltandone gli aspetti positivi: l’educazione, il sacrificio, la voglia di vivere, la realizzazione di un progetto di vita. Chiunque di noi ricorda bene gli anni della propria gioventù, disconoscendo spesso la vita dei giovani di oggi, nel suo insieme come nei singoli dettagli. Ancora adesso sentiamo parlare dei “mitici anni sessanta” soprattutto dagli ultrasessantenni di oggi, così come i “mitici anni ottanta” sono una prerogativa degli ultraquarantenni, cui anch’io appartengo; è un gioco delle parti, l’importante è saper discriminare le differenze e valutarle in funzione della naturale evoluzione socio-culturale. Con questa premessa, possiamo senz’altro affermare che non esiste un El Dorado storico, un’epoca d’oro della felicità, ogni epoca porta con se aspetti positivi e negativi, che vengono valutati con la nostra esperienza pregressa; questo è il vero limite del giudizio: valutare senza volontà di conoscere a fondo, con il proprio passato come unico elemento di paragone.

 La mia formazione di vita o, se vogliamo, la mia educazione, hanno rafforzato in me un senso critico nella valutazione degli eventi e nella soluzione dei problemi. Un aspetto del carattere, forse a volte ridondante, che mi porta ad analizzare a fondo – questa è almeno la mia percezione – qualsiasi evento sociale, prima ancora di risolvere eventuali conflitti ed interferenze, per far si che il mio stato di benessere sia messo a disposizione per costruire ed implementare il benessere collettivo.

 Certamente, non essendo io né un santo né un missionario, cerco di portare avanti questa mia vocazione sociale senza pagarne tutte le spese. Con questo spirito, e a scanso di equivoci, espongo dunque il mio punto di vista sulla trasformazione dell’ingegneria italiana e degli attori che la rappresentano, in primis di noi ingegneri.

 Conosciamo tutti il valore dell’ingegneria italiana del recente passato, i suoi protagonisti e il contributo nella ricerca in ogni settore dell’attività umana. Questa capacità tecnica – sicuramente supportata da una passione per la professione di ingegnere – è anche il frutto di un’adeguata preparazione teorico-pratica e di una volontà dinamica di affrontare le varie sfide di una società in continua evoluzione. L’attività dell’ingegnere non può essere slegata dalle esigenze sociali del momento, è quindi necessario che si instauri un connubio tra richieste sociali e capacità tecniche, quest’ultime indispensabili per soddisfare al meglio le varie esigenze. Di qui la necessità di una rigorosa formazione accademica – dalle scuole elementari, alle scuole medie di primo e secondo grado, fino alle università -, con accesso garantito a chiunque e con selezione meritocratica, attuata durante l’intero corso degli studi. Meglio pochi ma buoni, anziché importare ingegneri dall’estero o costringere i nostri laureati a ridimensionare la loro attività a livelli parziali e marginali del settore dell’ingegneria, ovvero a doversi trasferire all’estero alla ricerca di terreno fertile per nuove ed improvvisate competenze. Grazie alla naturale flessibilità, che caratterizza il nostro popolo, l’ingegnere italiano, ancorché oggi spesso “malformato”, se la cava comunque, non in quanto ingegnere, ma per il fatto che è italiano; è un peccato non approfittare di questa “dote genetica” e non andare oltre. Lo studio tutto, e quello universitario in particolare, rappresenta un’occasione unica ed irripetibile per allenare la mente (soprattutto all’età giusta), per essere poi originali e per non annoiarsi mai. Faccio un appello, ai presidi delle facoltà di ingegneria italiane, affinché si facciano portavoce dell’evidente malessere cui versano le nostre università, frammentate in una miriade di corsi di laurea e di insegnamento, con sedi universitarie – spesso solo con qualche decina di iscritti – sparse ovunque nel territorio nazionale. Le sedi universitarie, in Italia, sono oramai dappertutto, avere l’università sotto casa priva l’alunno di quella sana indipendenza, che nel passato scaturiva dalla necessità di doversi trasferire in un’altra città, lontano dai genitori e dagli amici; il budget economico doveva bastare per un periodo prefissato, e questo favoriva la capacità di autonomia, spesso rafforzata con qualche lavoro occasionale che serviva per far quadrare i conti e per contribuire attivamente al bilancio familiare. Siamo sicuri che avere l’università sotto casa rappresenti una riduzione di spesa? Per un bilancio a lungo termine – non solo monetario – forse ciò non conviene, quindi: ripensiamoci. Il Corriere della Sera, di qualche giorno fa, riportava la notizia dell’incremento di iscrizioni alle facoltà di ingegneria italiane, questa sarebbe senz’altro una bella notizia se, a valle dell’iscrizione, ci fosse una formazione adeguata, e una società civile, quella italiana, pronta ad accogliere gli ingegneri laureati con fiducia e rispetto, e non, come accade sistematicamente oggi, trattandoli come ladri e mangiapane a tradimento, come coloro che guadagnano tanto per “qualche calcolo” e “due disegni”, tra l’altro “fatti dal computer”. Non pretendo, comunque, che tutti conoscano l’attività dell’ingegnere, le scienze che sono alla base della sua professione, il continuo aggiornamento e, non per ultimo, i costi di gestione. Faccio un esempio comparativo: un software di calcolo strutturale arriva a costare decine di migliaia di euro, contro qualche centinaia di euro di un software di scrittura di uno studio notarile. Da sottolineare, inoltre, che il notaio usa uno o, al più, due software e una calcolatrice di circa tre euro che fa le operazioni aritmetiche di base (necessaria per calcolare l’onorario minimo, ancora adottato da tutti i notai italiani), l’ingegnere utilizza decine di software, con costi di aggiornamento che costituiscono altrettante tasse annuali fisse, oltre a computer, stampanti, plotter ed apparecchiature di rilievo. Ci sono poi le spese di assicurazione obbligatoria, altre spese di assicurazione per ciascun incarico pubblico di progettazione esecutiva, spese di registrazione di contratti pubblici, spese per corsi di aggiornamento obbligatori (corsi necessari, dal gennaio del prossimo anno, per mantenere l’iscrizione all’ordine professionale e per esercitare la professione), spese di conto corrente fiscale obbligatorio, spese per contributi previdenziali obbligatori, che sfiorano il venti per cento del reddito, spese di iscrizione all’ordine professionale, spese per la firma elettronica, spese di affitto dello studio, ovvero l’IMU (o tassa equivalente) per uno studio di proprietà, spese per la TARES, dieci volte superiore alla relativa spesa per un’abitazione, spese per attrezzature e materiali di consumo, spese per l’installazione e la gestione del POS, obbligatorio dal gennaio del prossimo anno, spese per il commercialista, spese per le utenze ed altre spese in funzione della specifica prestazione tecnica. Tornando all’esempio, un notaio redige un atto in una frazione di ora, con responsabilità marginali, e spesso implicitamente demandate alle parti contraenti, per tale prestazione esige subito il pagamento dell’onorario, ancor prima della trascrizione dell’atto nell’apposito registro; la prestazione di un ingegnere segue un gestazione lunga e contorta, colpa anche del sistema burocratico italiano, con autorizzazioni e nulla-osta multipli, un’operazione psicologica non indifferente, prima ancora che una prestazione tecnica. L’onorario viene liquidato, quando ciò avviene, solamente dopo aver acquisito tutti i pareri tecnici e dopo aver concluso il procedimento autorizzativo. Per non parlare della fase realizzativa e di collaudo, che interessa anche le imprese esecutrici, oltre al responsabile del procedimento e a tutti gli organi di controllo. In Italia per completare un’opera di modesta entità (qualche centinaio di euro di lavori) occorrono anni; lavori iniziati, spesso vengono sospesi, per cause non riconducibili alla volontà e alla responsabilità dell’ingegnere direttore dei lavori; in tal caso anche l’onorario viene congelato e tutto il lavoro svolto è appeso ad un incerto destino. Ad esempio, molti cantieri pubblici sono oggi sospesi a causa della mancata liquidazione degli stati d’avanzamento dei lavori già maturati; le imprese non se la sentono di sostenere i costi dei lavori rimasti, in quanto non liquidabili dalla pubblica amministrazione, e i relativi cantieri sono nell’abbandono completo, con le nostre responsabilità sempre attive e non certo retribuite.

 Si sente dire, spesso, che un dipendente pubblico guadagna poco, è tassato alla fonte e non può evadere un centesimo, mentre un libero professionista, e anche un ingegnere, è fortunato, perché guadagna molto di più e può evadere allegramente. Quanta ipocrisia in queste affermazioni! In termini di bilancio, un dipendente pubblico lavora otto ore al giorno, il professionista ingegnere non conosce orari, con una media che non scende al disotto delle dodici-tredici ore al giorno; si porta appresso il lavoro, in quanto viene contattato a tutte le ore del giorno, senza periodi di festa o di riposo. Un dipendente pubblico che si ammala ha garantito un periodo di malattia retribuito, il professionista ingegnere che si ammala deve organizzarsi per portare avanti il suo lavoro, pagando i collaboratori ovvero recuperando il tempo di malattia dopo la guarigione, incrementando così i ritmi di lavoro. Un dipendente pubblico ha a disposizione trenta giorni di ferie retribuite, il professionista ingegnere non ha questo privilegio e, se va in “ferie”, poi deve recuperare. Al dipendente pubblico spetta una mensilità retribuita, cosiddetta tredicesima, cosa non prevista per il professionista ingegnere. Al dipendente pubblico spettano, inoltre, premi di produttività, incentivi, agevolazioni varie e, cosa più importante, uno stipendio ben definito e sicuro, che viene periodicamente stabilito dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. Per il libero professionista ingegnere esisteva, fino a qualche ano fa, la cosiddetta Tariffa Professionale, una sorta di prezzario che rappresentava una retribuzione minima di legge, proporzionata alla tipologia e all’entità della relativa prestazione. I minimi tariffari, adottati soprattutto in ambito pubblico, erano, di fatto, dei massimi di legge, che costituivano dei riferimenti per le prestazioni professionali di ingegneria ed architettura; gli enti pubblici potevano derogare dalle tariffe con ribassi che non potevano superare il venti per cento. In tal modo veniva riconosciuta una dignità professionale, al pari delle prestazioni degli altri lavoratori, sia del settore pubblico che del settore privato. Il Ministro Bersani, mosso a mio avviso da una miope invidia sociale, con il Decreto omonimo, ha spazzato via le tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti. Da allora si è cercato di ricreare dei parametri di contrattazione con la pubblica amministrazione, per poter stabilire l’equo compenso di una prestazione professionale. La mancanza di una storia pregressa degli onorari professionali, in regime di libero mercato, ha creato, e sta creando tutt’oggi, dei seri problemi nei rapporti con la pubblica amministrazione; la contrattazione avviene spesso sulla base dei residui disponibili nel quadro economico dell’opera, con delle sperequazioni sempre al ribasso per il professionista, che si trova nelle condizioni di prendere o lasciare, senza poter intraprendere alcuna contrattazione reale. In altri casi si fa ricorso ai bandi di gara per l’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura, con evidenza nazionale anche per importi a base di gara di qualche migliaio di euro, a fronte di prestazioni professionali onerose in termini di impegno tecnico, di tempi burocratici di istruttoria e di spese da sostenere.

 Anche qui gli importi posti a base di gara sono spesso casuali ed incongruenti rispetto alle attività elencate nel bando. I requisiti richiesti sono, per legge, sia di natura tecnico-organizzativa (dipendenti dello studio, attrezzature disponibili, ecc.), sia di ordine economico (fatturato in relazione alla tipologia e all’importo dell’opera), oltre al requisito di aver già realizzato opere della stessa tipologia di quella richiesta dal bando, fino alla concorrenza di un determinato importo. A questo si aggiunge la necessità di essere in regola con i versamenti contributivi (certificazione di regolarità contributiva rilasciata dalla cassa previdenziale di competenza) oltre al possesso dei requisiti generali previsti dalla legge. Si arriva al paradosso in cui molti studi professionali non possono partecipare ad un bando in quanto studi con il solo titolare o con un numero non sufficiente di dipendenti, per una prestazione professionale che potrebbe svolgere benissimo una sola persona, oppure al caso più frequente di giovani che vengono tagliati fuori dal mondo dei lavori pubblici anche per incarichi di bassa qualità tecnico-economica, che potrebbero invece costituire la naturale palestra per l’avvio della professione. Per i bandi di progettazione, si arriva spesso ad avere centinaia di offerte, con ribassi senza limite, anche dell’ottanta-novanta per cento, a fronte di una base d’asta quasi sempre sottostimata.

 Tutto questo “rigore di legge” non è poi accompagnato da un comportamento altrettanto rigoroso della pubblica amministrazione che, sguazzando nel caos, aggiusta la norma a modo suo e, d’altra parte, nessuno al governo nazionale fa nulla per cambiare queste scellerate norme. Per fare un confronto con gli altri paesi europei, basti sapere che in Germania sono tutt’ora vigenti le tariffe professionali per gli ingegneri e gli architetti, che sono state recentemente aggiornate e non abrogate come da noi. Evidentemente i tedeschi riconoscono la dignità dei lavoratori autonomi, ben sapendo che è meglio scaricare le spese del Welfare, non attaccando i lavoratori autonomi che pagano le tasse e che finora non hanno preteso nessuna tutela e nessun ammortizzatore sociale; un “do ut des” accettato da tutti, al riparo di qualsiasi invidioso sociale animato da velleità distruttive.

 L’ingegnere in Italia, anche ai tempi in cui la formazione era rigorosa e selettiva, è stato comunque sempre bistrattato, sia come libero professionista (considerato un privilegiato, colui che guadagnava tanto senza sudare, reminescenza, questa, di un’Italia rurale che pesava il lavoro dai calli delle mani e dalle camicie macchiate di sudore), sia come dipendente di un’impresa o dell’industria (ancora oggi gli ingegneri vengono retribuiti al pari, o anche meno, di geometri o periti industriali, tanto debbono solo firmare e la legge, da sempre, non fa differenze); i dipendenti pubblici ingegneri sono anch’essi inquadrati in ruoli anomali, con responsabilità senz’altro non riconosciute e non retribuite rispetto agli altri lavoratori; un ingegnere impiegato civile del Ministero della Difesa, ad esempio, guadagna persino la metà di un maresciallo di pari qualifica, con le medesime mansioni e con responsabilità spesso ridotte. Per molti giovani professionisti, e per altri non più giovani, non c’è via d’uscita, inquadrati spesso come liberi professionisti – titolari di partita IVA – che lavorano non in forma automa, bensì alle dipendenze di altri studi professionali; questi professionisti fungono da ammortizzatori fiscali per le esigenze contabili di coloro che li sfruttano.

 Gli ingegneri dipendenti dell’industria vengono inquadrati nel lavoro con contratto di metalmeccanico di quinta-sesta categoria, non è previsto per loro un diverso riconoscimento delle competenze tecniche e delle responsabilità rispetto ad un perito industriale o ad un qualsiasi diplomato. I sindacati – che stipulano i contratti collettivi nazionali di lavoro – ancora oggi rinnegano di fatto il lavoro intellettuale, uniformando tutti i lavoratori in una mescola amorfa che non tutela nessuno.

 

E così, dopo questo lungo racconto, si può comprendere il perché l’ingegnere italiano viene invitato ad andarsene dal suo Paese; i governi politici sono sordi al richiamo di migliaia di professionisti ingegneri che chiedono solamente di lavorare con dignità e professionalità, di ristabilire una logica meritocratica, nei limiti del possibile e con le scarse risorse di cui disponiamo. Non disperdiamo la nostra tradizione storica, per una diaspora senza ritorno che porterà solamente caos e miseria.

 

L’ingegnere è un dono di Dio, e un popolo che odia gli ingegneri odia anche il Creatore; perciò, al diavolo gli invidiosi sociali! Io la mia parte la farò, nessuno potrà mai interrompere quel sogno, iniziato molti anni fa nei banchi della facoltà di ingegneria di Roma: i miei compagni di studio, che non ho più rivisto, le calde giornate d’estate passate a studiare, il giorno della laurea, la stretta di mano con i professori della commissione, l’immagine di mia madre che piangeva dalla gioia, la libertà racchiusa in quel giorno, quella meritata libertà che porterò sempre con me, per gridare grazie! Sono fiero di essere un ingegnere italiano! Cari colleghi, riprendiamoci il Paese! Gli sciacalli che ci hanno ferito svaniranno come le ceneri di un fuoco di paglia, e noi torneremo ancora più forti, per servire il nostro popolo, per la nostra vita, per i nostri figli, per la nostra libertà.

 Pietro Francesco Nicolai, un ingegnere italiano.

nov 13 2013

Professionisti e partite Iva: ecco i "proletari" del III millennio

I nuovi proletari. Se nel XIX secolo furono i lavoratori dipendenti (operai alla catena di montaggio del fordismo) ad essere sfruttati con salari da fame, all’alba del XXI secolo sono i professionisti (avvocati, architetti, periti, archeologi), lavoratori autonomi a diventare i nuovi poveri.

«Un processo inarrestabile di proletarizzazione dei ceti professionali», come la definisce Cesare Damiano. L’analisi del professor Patrizio De Nicola della Sapienza di Roma su dati Inps e Istat non ammette repliche. Il reddito medio dei 1 milione 682 mila iscritti alla gestione Separata, a cui versano i loro contributi le partite Iva e co.co.pro., nel 2012 è stato 18.073 euro. Ma su questa media pesa la categoria “ricca” degli amministratori (sindaci di società, ecc.) che hanno un reddito medio di quasi 37mila euro. Se poi si passa dal reddito lordo a quello disponibile, la disparità con i lavoratori dipendenti aumenta ancora di più.

Tenendo conto della tassazione e della contribuzione, se paragoniamo un reddito di 1.000 euro mensili lordi, un dipendente a tempo indeterminato si mette in tasca 811 euro; una partita Iva solamente 545 euro! E dal primo gennaio, causa aumento della aliquota contributiva dal 27 al 28 per cento, la cifra scenderà ulteriormente a 485 euro. All’interno di questo mondo esistono poi «tre grandi disparità – spiega il professor Di Nicola – la prima riguarda le donne, che guadagnano il 30-40 per cento in meno; la seconda riguarda le età, con i trentenni che guadagnano la metà dei 55enni; l’ultima è territoriale, al Sud un iscritto guadagna metà della media nazionale».

La dinamica della categoria è però molto mutata negli ultimi anni. Solo nel 2012 il calo degli iscritti alla gestione sono calati del 3,6 rispetto al 2011. Ciò in parte è dovuto agli effetti della riforma Fornero che ha previsto una stretta sui contratti co.co.pro e alle finte partite Iva: i co.co.pro. iscritti alla Gestione separata sono calati di 45mila unità, i professionisti di 21mila. Ma secondo l’Istat il calo dei co.co.pro. è molto più alto: 133mila lavoratori in meno.La presentazione di oggi si lega poi alla battaglia per lo stop all’aumento contributivo per le partite Iva. La riforma Fornero prevedeva già dal 2013 un aumento di un punto per arrivare dal’attuale 27 per cento a regime al 33 per cento. Un emendamento del Pd alla scorsa manovra aveva congelato l’aumento per quest’anno.

Ora il problema si ripropone. Le associazioni delle partite Iva, spalleggiate dai giovani del Pd, dall’Associazione Alta Partecipazione e dall’associazione XX Maggio chiedono di bloccare per sempre l’aumento. I motivi sono presto detti. «Se nel caso dei co.co.pro. l’aumento contributivo era in teoria suddiviso per due terzi a carico del committente e per un terzo a carico del lavoratore, sulle partite Iva il peso è tutto sul professionista. E sappiamo benissimo che è così anche per il co.co.pro. perché il committente fissa il lordo totale e il resto è tutto a carico del lavoratore – spiega il professor Di Nicola – : la verità è che ogni volta che aumenta l’aliquota, diminuisce il reddito del lavoratore».

L’altra motivazione guarda i conti dell’Inps: i contributi versati alla gestione separata sono diminuiti del 20,6 per cento dal 2011 al 2012: da 1 milardo 260 milioni, a 1 miliardo tondo tondo. «E ciò significa che nel frattempo aumenta il nero», chiosa Di Nicola.

Per affrontare e migliorare la situazione il Pd si è impegnato già a partire dalla legge di stabilità. «Abbiamo già presentato un emendamento per congelare ulteriormente l’aumento della contribuzione dal 27 al 28 per cento per le partite Iva, in attesa di un riordino che ne riconosca la loro assimilabilità ai lavoratori autonomi, che hanno l’aliquota al 24 per cento», annuncia il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano. «In più puntiamo ad allargare il bonus precari a questi lavoratori e, in prospettiva, a riprendere la vecchia idea della Carta dei diritti dei lavoratori: un sistema di tutele a cerchi concentriche ma standard universali in caso di licenziamento». Assieme a questo ritorna di attualità l’equo compenso per i co.co.pro., rilanciato da una risoluzione presentata dalla giovane parlamentare Pd Chiara Gribaudo e appoggiato dalla responsabile lavoro Pd Cecilia Carmassi.

 

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