Sullo stato dell’economia umbra del professor Sergio Sacchi, docente presso il Dipartimento di Economia, Finanza e Statistica dell’Università di Perugia. L’analisi è stata redatta alla luce dell’ultima indagine congiunturale diffusa da Unioncamere Umbria.
Il quarto trimestre 2013 chiude un anno difficile e controverso così che questo commento guarderà all’insieme dei dodici mesi appena trascorsi piuttosto che all’ultimo trimestre. L’intento è quello di mettere in luce le sorprese contenute nell’indagine congiunturale e nel cruscotto statistico di Unioncamere Umbria.
La prima riguarda lo stock di imprese: in apparenza tra l’inizio e la fine dell’anno non vi è molta differenza. Il numero delle imprese attive, infatti, flette di poco più di un punto percentuale (- 1,3%): in coda ad un lungo periodo recessivo, con la domanda delle famiglie in regresso, i finanziamenti bancari diventati oggetti di conversazione e gli investimenti in obbligata pausa di riflessione, che non ci sia stata la paventata ritirata e, anzi, sia addirittura aumentato il numero delle unità locali, è certamente fatto inatteso.
E questo è ciò che si percepisce con immediatezza in superficie. Tuttavia il fuoco sta ancora covando sotto la cenere: lo rivelano i dati, così come li riporta il nuovo Cruscotto Statistico, sull’aumento del numero di imprese in scioglimento e liquidazione (+ 2,8%) e di quelle sottoposte a procedure concorsuali (+ 2,5%). Lo confermano, ma non è una novità, i dati sullo stock di addetti in un campione abbastanza consistente (73%) di imprese: si stima, infatti, una flessione complessiva di quasi 5 punti percentuali dell’occupazione totale e di oltre 6 punti percentuali se ci si sofferma a considerare il dato relativo agli addetti alle dipendenze.
L’approfondimento di questi dati generali aiuta a percepire come le difficoltà del tessuto imprenditoriale si colleghino da un lato al tipo di forme societarie maggiormente rappresentate e, dall’altro, alla composizione settoriale delle medesime. E aiuta anche a spiegare la netta divaricazione di opinioni e aspettative ovvero il fatto che mentre le imprese industriali si mantengono in prudente attesa ma con numerose sortite verso i territori del marketing, della razionalizzazione interna o della ricerca di nuovi mercati le imprese del terziario esprimono una maggior rassegnazione ed un più cupo pessimismo.
Tornando alla prima dimensione (articolazione delle forme societarie) si vede, ad esempio, che il numero delle società di capitali continua ad aumentare. Ma l’incidenza delle stesse sul totale resta inferiore rispetto a quanto si registra su scala nazionale e, per di più, il distacco appare in aumento, per effetto di una maggiore velocità di sviluppo delle società di capitali nelle altre regioni. Simmetricamente si registra il peso più accentuato, in Umbria, delle imprese individuali.
Guardando la composizione settoriale si nota una più estesa presenza di imprese agricole, che però nel tempo tendono a ridursi di numero, e una carenza di quelle fornitrici di servizi alle imprese, il cui numero tuttavia sta crescendo a ritmi sostenuti. Oltre che nel comparto agricolo la chiusura di imprese è elevata nel comparto delle costruzioni e dei trasporti e spedizioni.Il tutto si riflette nel dato di un particolarmente basso tasso di sopravvivenza delle imprese che viene confermato dal fatto che solo il 71% delle imprese presenti nel 2010 risultano ancora in attività alla fine del 2013.
La restante parte riepilogativa del Cruscotto permette di farsi una idea, sulla base dei dati dei bilanci delle società di capitali per il 2012, del quadro di debolezza generale che dovrebbe aver caratterizzato i risultati aziendali nel corso del 2013. In particolare, focalizzando lo sguardo sulle sole imprese presenti in tutto il periodo di analisi (il triennio 2010-2012) si ottengono i seguenti risultati:
1) una severa contrazione dei livelli produttivi e del valore aggiunto;
2) un crollo del livello degli utili ante-imposte;
3) il passaggio conseguente a fortemente negativi risultati netti (cioè dopo aver saldato i
conti col Fisco);
In condizioni del genere resta difficile ipotizzare una repentina risalita dei livelli di attività produttiva con beneficio sui conti aziendali: e dunque l’andamento del profilo hard, cioè del numero e del tipo di imprese, di cui si è detto sopra, finisce per alimentare proprio quel genere di debolezze che condiziona la struttura imprenditoriale e a cui si è fatto cenno poco sopra (cessazioni, liquidazioni, ecc.).
“La crisi non dà tregua alle imprese – ha detto di recente il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – ma per fare le scelte che servono al Paese dobbiamo guardare a chi non si scoraggia, alla capacità del sistema produttivo di rigenerarsi puntando ai settori che offrono più opportunità. Dal turismo ai servizi passando per le produzioni che il mondo continua a premiare, come l’agroalimentare e alcuni comparti del nostro manifatturiero ad elevato contenuto tecnologico. Ma è sempre più dura andare avanti senza un mercato interno capace di sostenere consumi e occupazione.”
“Le imprese che continuano a nascere – ha aggiunto Dardanello – sono frutto di un’auto- imprenditorialità che va guardata con favore e sostenuta, soprattutto quando è espressione di saperi tradizionali e di quella cultura artigiana che oggi è in grandissima difficoltà. È quanto ho ripetuto proprio ieri alla commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato che sta
esaminando diversi disegni di legge sull’artigianato.”
“Dobbiamo alimentare il coraggio di chi fa impresa e ridare fiducia alle famiglie e a chi cerca lavoro – ha aggiunto il presidente di Unioncamere – e per farlo è indispensabile rafforzare le reti che costruiscono questa fiducia, a partire dalle istituzioni. È un impegno che le Camere di commercio stanno portando avanti insieme alle rappresentanze imprenditoriali, per migliorare la qualità dei servizi e la propria efficienza. Tutti dobbiamo e possiamo fare di più”. Nella prospettiva delineata può essere opportuno esaminare, a questo punto, la sequenza relativa al solo quarto trimestre, un trimestre che, come in trasparenza, permette di raccogliere le tendenze passate e, allo stesso tempo, di proiettare lo sguardo anche un po’ più avanti.
Lo sviluppo, come noto, si avvantaggia tanto dell’intensità del processo di accumulazione (incidenza degli investimenti reali) quanto del ricambio dei profili imprenditoriali presenti.Su entrambi questi aspetti vale la pena spendere alcune considerazioni.Per quanto riguarda gli investimenti l’indagine campionaria conferma che il 2013 è stato anno di gestione prudente e timorosa e che il 2014 lo sarà altrettanto. Alcuni dati di sostegno al giudizio piuttosto forte che abbiamo appena formulato. Il primo: oltre metà (quasi due terzi: 60,6%) delle imprese intervistate ammette di non aver effettuato, nel corso del 2013, alcuni investimento. Delle rimanenti la stragrande maggioranza dichiara di aver realizzato il minimo indispensabile, cioè investimenti di importo inferiore a 25 mila euro.
Scomponendo il dato aggregato si scopre che la disponibilità a investire è stata più sostenuta da parte delle imprese alimentari e di quelle meccaniche. Non è superfluo ricordare che, secondo tutti gli osservatori, sono stati questi due i settori relativamente più dinamici nel corso dell’ultimo anno. La disponibilità a investire, va ricordato, è stata più convinta da parte delle imprese più grandi che non da parte delle imprese più piccole e, in particolare, di quelle artigiane.
Il secondo dato che ci preme porre all’attenzione di chi legge questa nota di accompagnamento al materiale raccolto e organizzato da Unioncamere Umbria è relativo alla natura degli investimenti effettuati. Quasi due terzi delle imprese contattate, infatti, conferma il tradizionale modello di modernizzazione dei processi produttivi: l’acquisto di macchinari e attrezzature. Gli investimenti in marketing o in sistemi di elaborazione dati si rivelano sostenuti, non è certamente un caso, nei due settori già menzionati per altro aspetto: il settore alimentare e quello meccanico.
Abbastanza omogenea è la spesa per la formazione professionale che raggiunge le sue punte più elevate, il 23% e il 26%, in seno al comparto della moda e a quello della chimica.I dati non sono comparabili con altre regioni o con il dato nazionale e dunque impediscono di comprendere se il tono muscolare dell’apparato produttivo dell’Umbria è messo meglio o è più rilassato di quello medio italiano. Comunque, la mancanza di paletti di riferimento lascia più libertà nel collegare tra loro le indicazioni di cui si dispone.
Per l’aspetto rinnovamento dell’imprenditorialità l’analisi sembra conformarsi alla precedente nel lanciare il messaggio che forse si può fare di più. Sappiamo, infatti, che la normativa italiana ha da non molto introdotto delle semplificazioni pensate per aiutare a realizzare il sogno di diventare imprenditori. Nel complesso, sono stati oltre diecimila i giovani di meno di 35 anni che, nel corso del 2013, hanno colto al volo l’opportunità offerta dai provvedimenti legislativi (legge 24 marzo 2012, n. 27) e pertanto hanno portato a battesimo le cosiddette “Srl a un euro”, ovvero le società a responsabilità limitata semplificate.
In virtù della norma, divenuta pienamente operativa dal 29 agosto 2012, gli under 35 hanno avuto la possibilità di costituire un’impresa con un capitale sociale inferiore ai 10.000 euro e senza pagare le spese notarili, i diritti di segreteria dovuti alla Camera di commercio e l’imposta di bollo. Tuttavia, mentre in Italia le iscrizioni in questa specifica categoria (cioè: società a responsabilità limitata semplificata) da parte di titolari con meno di 35 anni sono state il 53,6% del totale sì che il corrispondente stock di imprese semplificate registrate si è mantenuto al 58,5% l’Umbria si è tenuta a distanza di cinque punti percentuali: fermandosi al 48% (contro 53,6%) per le iscrizioni e al 53,0% (contro 58,5%) per lo stock complessivo (incidenza di imprese under 35 sul totale delle semplificate registrate).
Anche sotto questo aspetto, pertanto, i dati rendono l’idea di quanto il 2013 sia stato pesante per l’Umbria: in totale, infatti, sappiamo che le imprese registrate guidate da giovani rappresentano il 9,6%; un valore solo di poco inferiore a quello delle regioni del Centro (10%) e non lontano da quello complessivo del Paese (10,8%). Si può pertanto concludere che tale leggero gap può tranquillamente essere associato al minor entusiasmo giovanile nell’accettare la sfida posta dall’agevolazione normativa prevista dalla legge n. 27. Con qualche iscrizione in più favorita dalle opportunità della semplificazione amministrativa, infatti, l’allineamento alla media nazionale sarebbe stato di fatto completo.
D’altra parte, l’aumento del numero di liquidazioni, fallimenti e ricorsi a procedure concorsuali non stempera il quadro delle difficoltà che si sono proiettate fino a includere il IV trimestre del 2013 nonostante la recente leggera ripresa delle iscrizioni nei registri camerali.Qualche mese addietro, presentando alla stampa gli “Scenari territoriali” di Unioncamere e Prometeia, i quali indicano per l’Umbria un ritorno alla crescita nel 2014 (con un incremento del PIL dell’0,8%), il Presidente di Unioncamere Umbria Giorgio Mencaroni ha rivolto all’opinione pubblica un invito alla cautela. Ha infatti sottolineato il fatto che “nel 2014 usciremo dalla recessione, ma forse non dalla crisi, che continuerà a produrre i suoi effetti anche per i prossimi 12 mesi … E sarà la domanda estera a giocare un ruolo importante nell’incoraggiare la ripresa regionale.”
Ci troviamo dunque di fronte a quello che il presidente di Unioncamere Umbria Giorgio Mencaroni ha ricordato essere inequivocabilmente poco più di un “superamento tecnico della recessione”. Per andare oltre quello spunto siamo convinti che sia essenziale battere entrambe le strade sopra ricordate: quella di una più robusta disponibilità a investire e quella del coinvolgimento di un numero crescente di giovani aspiranti imprenditori. Altrimenti si rischia di andare ben oltre la soglia dell’emergenza. Il cruscotto statistico di Unioncamere Umbria ci ricorda, come si è già detto, che il panel delle imprese attive tanto nel quarto trimestre del 2013 quanto nel corrispondente trimestre dell’anno precedente (2012) – un gruppo di quasi 55 mila imprese – segnala una perdita di occupazione (- 4,4%) più grave di quella (- 3,4%) registrata su scala nazionale e ci fa anche capire quanto il deludente risultato, da addebitare prevalentemente al venire meno delle micro imprese, possa essere associato all’appiattimento degli indici di vitalità imprenditoriale.
Pertanto, una scossa energica, che provenga o meno dal riconoscimento di una parte del territorio regionale come area di crisi complessa oppure derivi da una rinnovata attitudine allo svolgimento di attività imprenditoriali o anche da una significativa estensione delle presenze sui mercati esteri sarà per lo meno salutare, se non proprio provvidenziale.