Categoria: edilbank

lug 12 2014

Incentivo 2% alla progettazione, vittoria dei tecnici della P.A. o mortificazione della PROFESSIONE?

A cura di Ilenia Cicirello

La pubblicazione del D.L. n. 90/2014 ha alzato un polverone per ciò che riguarda l’incentivo del 2% alla progettazione per i tecnici della Pubblica Amministrazione. Nella versione originale del D.L., infatti, sulla scorta di quanto promesso dal Ministro dell Infrastrutture Maurizio Lupi, era stata prevista l’abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 163/2006), non confermata poi nella versione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Il D.L. n. 90/2014 si è, infatti, limitato ad aggiungere il comma 6-bis all’art. 92 del D.Lgs. n. 163/2006 prevedendo che l’incentivo non possa essere corrisposto al personale con qualifica dirigenziale. Troppo poco, forse, considerate le premesse e le promesse del Ministro Lupi alla Rete delle Professioni Tecniche, a cui recentemente aveva espresso la propria contrarietà alle progettazioni interne alla P.A.

Sull’argomento abbiamo chiesto un commento al Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi Gian Vito Graziano che riportiamo di seguito integralmente.

“In questo periodo – ha commentato il leader dei Geologi italiani – si è molto parlato delle funzioni del personale tecnico della Pubblica Amministrazione nelle attività di progettazione e del trattamento economico che ne deriva. Nella fattispecie è nota la posizione della Rete PAT, e quindi anche del Consiglio Nazionale dei Geologi, che, nell’ambito delle iniziative per valorizzare le professioni e per garantire la qualità della progettazione, ha proposto al Ministero delle Infrastrutture ed alla ormai ex AVCP l’abrogazione del comma 6 dell’art. 90 del Codice dei Contratti, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di affidare la redazione dei progetti preliminare, definitivo ed esecutivo ai pubblici dipendenti, potendosi avvalere dei liberi professionisti, sempre più chiusi da un’allarmante crisi del mercato dei servizi, solo in caso di carenza in organico di personale tecnico o in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale”.

“Con la richiesta di abrogazione di questo comma – ha proseguito Graziano – non si intende certo assumere una posizione favorevole agli uni e contraria agli altri, ma piuttosto si vuole conferire dignità ad entrambi e ad un mercato, quello dei servizi tecnici, in profondo declino etico e qualitativo da quando furono abolite le tariffe minime. Ma andiamo per ordine.

Sappiamo tutti che i liberi professionisti sono sempre più chiusi da un’avvilente e quanto mai grave crisi del mercato dei servizi tecnici, come si riscontra dai dati pubblicati dall’osservatorio mensile dei bandi di gara per servizi d’ingegneria dell’OICE o dai dati di qualunque studio di settore, dai cui non si evidenzia peraltro alcun segno di ripresa del mercato. Questo dicono i dati statistici, ma non abbiamo certo bisogno di questi dati per percepire la gravità della situazione: basta infatti osservare la situazione degli studi professionali con i quali quotidianamente ciascuno di noi si rapporta nell’esercizio delle proprie attività, siano essi geologi, ingegneri, architetti o geometri: studi che chiudono, studi che licenziano personale, studi che non danno alcuno spazio ai giovani laureati che chiedono solo di far pratica, studi che non sono più in grado di pagare tasse e contributi previdenziali e di partecipare a gare sempre più selettive”.

“L’abrogazione del comma 6 dell’art. 90 – ha incalzato il Presidente dei Geologi – consentirebbe alle stazioni appaltanti di affidare liberamente i servizi di progettazione a tutti i soggetti di cui all’art. 90 comma 1 (quelli dalla lettera a alla lettera h), consentendo di promuovere un più facile affidamento dei servizi tecnici ai liberi professionisti. Tra le richiesta avanzate dalla Rete PAT c’è anche quella di rilanciare il fondo di rotazione per attingere alle risorse economiche e creare un meccanismo virtuoso che non faccia tornare indietro i finanziamenti per mancanza di progetti.

Dopo le rassicuranti parole del Ministro Lupi alla convention delle professioni tecniche al Teatro Quirino alla presenza di oltre 800 professionisti, era sembrato che questa richiesta di abrogazione, presentata insieme ad un pacchetto di altre misure atte a favorire soprattutto una maggiore concorrenza nel mercato, potesse essere accolta dal Governo, che nella bozza di decreto legge aveva persino abolito il trattamento economico per i tecnici pubblici dipendenti, ovvero il famoso 2% per le spese di progettazione”.

“Una percentuale a dir poco mortificante per i professionisti della pubblica amministrazione, che a fronte di responsabilità civili e penali non indifferenti nel progettare un’opera, di fronte a enormi difficoltà nel progettare all’interno di uffici tecnici quasi sempre privi di qualunque strumentazione tecnica e non di rado persino della carta per fotocopie, si vedono attribuire poco più di una mancia per le loro prestazioni. In quel 2%, è bene ricordarlo, non sono compresi i soli i servizi di progettazione, ma anche la direzione dei lavori, l’incentivo al RUP, l’alta sorveglianza, ecc.”.

“Si pensi ad esempio a certe progettazioni complesse e particolarmente delicate, come la bonifica di una discarica o la verifica sismica di un edificio strategico, dove, a fronte di grandi responsabilità, spetta un compenso di qualche migliaio di euro, da condividere con i tecnici dell’ufficio in funzione del regolamento vigente in quella stazione appaltante.

Per non parlare poi dell’aberrazione, ormai diventata troppo spesso consuetudine, di vedere progetti redatti da professionisti esterni e fatti propri e firmati dai professionisti interni, che dunque se ne assumono seppure impropriamente la piena responsabilità.

Insomma quella della Rete PAT di abolire del comma 6 dell’art. 90 del Codice dei Contratti, non rappresenta né una posizione a favore dei liberi professionisti, né una posizione contro i professionisti della pubblica amministrazione, ma soltanto il tentativo di conferire ai servizi tecnici quella dignità che da troppo tempo manca”.

“Il Governo, che ha fatto un evidente passo indietro rispetto alle suadenti promesse del Ministro Lupi, ha tuttavia escluso, introducendo comma 6 bis in aggiunta all’art. 13 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, che al personale con qualifica dirigenziale possono essere corrisposte somme in base alle disposizioni di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 92 del Codice dei Contratti.

Una soluzione di compromesso, come spesso accade in questo nostro strano Paese.

Ma questa, come altre situazioni, mi spingono da qualche tempo a farmi altre domande: perché mai l’ex AVCP, al di la delle dichiarazioni di condivisione, non ha mai espresso un parere ufficiale, né ha mai portato all’attenzione dei Governi le criticità evidenziate dai Consigli Nazionali, dai Sindacati di categoria, da associazioni varie? Perché si continua a modificare il Codice dei Contratti, ormai divenuto un guazzabuglio in cui non si capisce quale è la norma primaria e quale quella regolamentare, e non si adottano invece senza se e senza ma le nuove direttive europee? Perché l’Antitrust non interviene quando gli si segnala che nella maggioranza dei bandi pubblicati viene richiesto come requisito un numero di addetti superiore a 5, anche per lavori di importo medio-basso, e che non possedendo questo requisito il 97,3% delle strutture professionali è palesemente in atto una chiusura del mercato? Perché le professioni in genere, e quelle tecniche in particolare, non riescono ad incidere, se non marginalmente, nelle scelte politiche?”

“Le risposte possono essere tante, alcune sin troppo semplici. Si pensi alla questione del POS obbligatorio per avere un quadro più chiaro di come stanno le cose e di chi decide. E’ facile e un po’ demagogico far ricadere alcune colpe sul sistema degli Ordini professionali, che certo non sono esenti da errori, ma va dato atto che in questi anni i Consigli Nazionali delle professioni tecniche stiano lavorando insieme ed alacremente per obiettivi comuni, quasi sempre condivisi anche da quella classe politica che poi però se ne dimentica. Allo stesso tempo d’altronde non mi pare che altri organismi, sindacati, federazioni e associazioni, nonostante l’impegno profuso, siano stati più capaci di incidere”.

“Penso allora che sia giunto il momento di fare una riflessione tutti insieme, che parta dai numeri, che sono la nostra forza (non certo quella di noi geologi, ma di tutti insieme), ma che non siamo capaci di far valere. Anche perché in Italia se dici queste cose vieni tacciato per lobbista!”

lug 05 2014

40.000 Architetti e Ingegneri al di sotto della soglia di povertà

04/07/2014 – “Circa 40.000 ingegneri ed architetti (il 27% degli iscritti attivi) versano in condizioni economiche al di sotto della soglia di povertà”. Se non ve n’eravate accorti, adesso dovete crederci per forza, a fare questa affermazione è stata niente meno che l’arch. Paola Muratorio Presidente di Inarcassa, ovvero la tanto discussa Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti.

Nel corso della riunione per l’approvazione del Bilancio consuntivo 2013 si è, infatti, discusso della riforma del sistema pensionistico, delle operazioni a sostegno della professione, ma anche delle condizioni in cui versano gli iscritti Inarcassa nell’ultimo anno. Il comunicato di fine riunione ha parlato di maggiore “flessibilità strategica tipica di un operatore di welfare di elevata qualità, che ha saputo sviluppare importanti servizi mirati alla sicurezza sociale, alla tutela sanitaria e al sostegno della libera professione, in favore di una popolazione cresciuta di numero e tendenzialmente più povera (iscritti: 167.092 di cui 77.597 ingegneri e 89.495 architetti; pensionati: 23.080)”.

 

Ma faranno certamente discutere le dichiarazioni della Presidente Muratorio: “Porre gli associati al centro di tutte le scelte: è questo il nostro impegno e la nostra strategia; da qui – ha spiegato Paola Muratorio – l’introduzione di pensioni minime a favore degli iscritti anziani e le agevolazioni alle contribuzioni per quelli più giovani; il programma di finanziamenti volto a sostenere l’attività dei liberi professionisti in difficoltà; la possibilità di coniugare previdenza, assistenza con altre prestazioni e servizi tipici di un “produttore” di welfare integrato. Un pacchetto di iniziative in cui abbiamo investito 98 milioni di euro per il 2013 a fronte, nello stesso periodo, di 79 milioni di euro di nuove pensioni erogate. Non dobbiamo dimenticare infatti, che circa 40.000 ingegneri ed architetti (il 27% degli iscritti attivi) versano in condizioni economiche al di sotto della soglia di povertà. E’ anche, ma non solo, compito della Cassa contribuire a creare le condizioni perché questi colleghi recuperino accettabili livelli di dignità nel lavoro”.

Non saranno certamente d’accordo molti professionisti che proprio in questi giorni hanno lanciato una nuova petizione per richiedere al Presidente Inarcassa di pagare i contributi previdenziali andando in compensazione con i crediti IRPEF, in modo da non doversi indebitare andando a chiedere in prestito il denaro (clicca qui).

Riportiamo, di seguito, un passaggio del comunicato Inarcassa.

L’articolazione e la completezza degli interventi compiuti hanno consentito risultati superiori alle attese. L’avanzo economico di 787 milioni di euro è dovuto ad una significativa crescita del saldo della gestione previdenziale (606 milioni contro i 518 dell’anno precedente) e testimonia la corretta e prudente conduzione del rapporto tra contributi e prestazioni. Al tempo stesso, il conto economico ha beneficiato del positivo andamento della gestione patrimoniale e della costante riduzione dei costi di struttura derivante dagli ulteriori interventi di efficienza operativa adottati nell’anno. L’incremento del patrimonio netto a 7,3 miliardi di euro ed il rendimento del patrimonio gestito per l’esercizio 2013 costituiscono, in continuità con le politiche gestionali e previdenziali, la migliore garanzia della capacità di erogare servizi adeguati nel lungo periodo.

L’attuale contesto economico sembra tuttora non consentire ottimismi nei confronti del futuro delle professioni. Proprio per questo, così come è stato fatto con l’istituzione di Arpinge, società dedicata allo sviluppo di opere infrastrutturali, Inarcassa proseguirà nel suo impegno mettendo a disposizione competenze e risorse a favore delle proprie categorie professionali e di attività di mercato complementari alla sua missione, rafforzando il proprio coinvolgimento sul piano economico e finanziario nazionale. Solo così potrà contribuire a stimolare la domanda di investimenti e l’assunzione di rischi, variabili queste che consentono una crescita stabile dell’economia del Paese.

lug 03 2014

UE, nuove regole per valutare le prestazioni ambientali e sanitarie degli edifici

Nuove proposte volte a ridurre l’impatto ambientale degli edifici nuovi ed esistenti sono state adottate oggi dalla Commissione europea con l’intento di aumentare l’efficienza delle risorse e migliorare le informazioni disponibili sulle prestazioni ambientali degli edifici. Continua

lug 02 2014

Architetti e Ingegneri, non avere debiti verso Inarcassa SAREBBE possibile

Non-vedo-non-sento-non-parlo

Architetti e Ingegneri, il Decreto del 10 gennaio 2014 vi agevolerebbe come iscritti a Inarcassa e permetterebbe di compensare il credito d’imposta con i debiti previdenziali.

Esisterebbe quindi un modo che ci permetterebbe di non indebitarci con Inarcassa ma non è ancora stato approvato dalla Cassa di previdenza: Inarcassa non ha proferito parola a riguardo.

Di conseguenza, Federarchitetti è scattata chiedendo una reazione pro Decreto 10 gennaio 2014 dei Ministeri del Lavoro e delle Finanza, che, appunto, consente a tutti gli Enti previdenziali dei liberi professionisti (Inarcassa compreso) di agevolare gli iscritti per compensare i crediti d’imposta con lo Stato con i debiti previdenziali, ferme restando le altre formule di pagamento.

L’agevolazione, per essere inserita a regime, dovrebbe essere preceduta da una modifica del Regolamento Generale deliberata del Comitato Nazionale dei Delegati di Inarcassa.

Federarchitetti, Sindacato nazionale architetti liberi professionisti, ha espresso un’opinione chiara riguardo a questa nuova norma: non è solo opportuna ma anche necessaria, in quanto contribuisce, come hanno già fatto le Casse dei Geometri e dei Giornalisti, ad alleviare il peso economico tra crediti e debiti, tra “l’avere dallo Stato” e il “dare per la Previdenza” e potrebbe consentire a numerosi architetti e ingegneri liberi professionisti, in credito d’imposta, di non doversi indebitare per pagare Inarcassa.

Federarchitetti ha stigmatizzato l’errore compiuto dalla maggioranza dei Delegati di Inarcassa che, supportati dal parere positivo espresso dagli uffici amministrativi interni, hanno fatto finta di nulla ed evitato di trattare l’argomento. Per questo motivo Federarchitetti invita il Presidente di Inarcassa Muratorio e tutti i Delegati a non fare orecchio da mercante e ad approvare la modifica del Regolamento, recependo il Decreto ministeriale.

giu 27 2014

Alcune precisazioni sulla qualifica del formatore alla sicurezza

Il Decreto Interministeriale che stabilisce i criteri di qualificazione del formatore alla sicurezza è in vigore ormai dal 18 marzo scorso.

 Nella nostra attività quotidiana al servizio degli addetti e agli operatori di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ci siamo trovati innumerevoli volte a dissipare dubbi circa la qualifica e quindi la possibilità di effettuare delle docenze in corsi destinati a lavoratori, dirigenti e preposti secondo la disciplina delineata dall’ormai arcinoto Accordo Stato Regioni n° 221 del 21/12/2011.

 

Molto spesso ci pervengono richieste di chiarimento, soprattutto dai membri dei SPP interni alle aziende, che palesano ancora una certa confusione fra i ruoli di RSPP/ASPP e formatore alla sicurezza. Confusione certamente generata dal fatto che spesso il RSPP/ASPP si trova a erogare informazione/formazione in materia di SSL ai lavoratori come naturale esperto aziendale della materia.

 Evidenziamo che ormai il formatore ha ricevuto dal Legislatore una sua connotazione autonoma e differenziata rispetto quella del RSPP/ASPP e che poter procedere alla erogazione di docenze occorre procedere ad una autovalutazione e ad una autocertificazione in merito al possesso dei requisiti.

 Possedere le caratteristiche individuate dall’art. 32 D. Lgs. 81/08 per poter svolgere il ruolo di RSPP/ASPP, non significa automaticamente essere qualificato anche come formatore alla sicurezza, in quanto oltre a caratteristiche di conoscenza della materia, occorre dimostrare anche quelle di esperienza e capacità didattica che la semplice frequenza al percorso formativo RSPP/ASPP (moduli A, B, C) non sono in grado di dare.

La qualifica, come prevista dalla Commissione Consultiva Permanente e confermata dal successivo Decreto Interministeriale, presuppone un mix di elementi che vanno attentamente valutati, registrati e autocertificati.

 Invitiamo pertanto gli addetti ai lavori a confrontare la propria esperienza curriculare con i 6 requisiti delineati dal Decreto in modo da verificare la sussistenza di almeno uno di questi e, in caso positivo, a darne immediata evidenza nel proprio Curriculum professionale.

 

Altro dubbio ricorrente, o falsa credenza, è che basti la frequenza di un corso di formazione dei formatori per poter ottenere la qualifica di formatore alla sicurezza.

 

Certamente la frequenza di un corso specifico è sicuramente auspicabile per chi vuole erogare una attività formativa di livello, ma è d’obbligo precisare che, ai fini della qualifica, tale frequenza concorre solo ad integrare il requisito della capacità didattica e che quindi il soggetto dovrà dimostrare in aggiunta il requisito della conoscenza e dell’esperienza specifica.

 Inoltre il possesso dei requisiti va dimostrato, non in via generale in materia di SSL, ma nello specifico per ciascuna delle 3 aree tematiche individuate dal Decreto.

 Ne risulta che per poter effettuare la docenza in un corso per lavoratori, occorrerà essere qualificati nell’area giuridico-normativa-organizzativa e rischi tecnici-igienico-sanitari, mentre per i corsi preposti e dirigenti la necessità della qualifica si estende anche all’area relazioni.

giu 26 2014

Incentivi alla progettazione. Quali novità per i tecnici dei Comuni? di Lucio Catania

Le anticipazioni di stampa diffuse prima della sottoscrizione del decreto legge 90/2014, da parte del Presidente della Repubblica, evidenziavano la volontà del Governo di abolire gli incentivi del 2% per i tecnici della Pubblica Amministrazione.

Nel lungo (ed anomalo) lasso di tempo trascorso tra l’annuncio dell’approvazione del decreto e la sua sottoscrizione, le cose sembrano essere cambiate.

Il testo finale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ed in vigore da oggi, non prevede più l’abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 163/2006); viene invece aggiunto il comma 6-bis, il cui testo è il seguente:

“All’articolo 92 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 6 è aggiunto il seguente:

’6-bis. In ragione dell’onnicomprensività del relativo trattamento economico, al personale con qualifica dirigenziale non possono essere corrisposte somme in base alle disposizioni di cui ai commi 5 e 6′.

 

La norma contiene, a prima lettura, due evidenti incongruenze.

 

In un Comune, i progetti, anche d’importi molto rilevanti, potranno essere equamente divisi, per valore, tra due soggetti, uno avente la qualifica dirigenziale ed uno che ne è privo. Il secondo dipendente, grazie proprio all’incentivo del 2%, potrebbe maturare una retribuzione complessiva più alta del suo dirigente, a parità d’importo dei progetti redatti e senza avere l’onere e le responsabilità legate alla qualifica dirigenziale.

La seconda incongruenza riguarda coloro che sono incaricati di funzioni dirigenziali, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai sensi dell’art. 109, comma 2, del testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000). La norma parla di comuni privi di qualifica dirigenziale, identica dizione utilizzata dal legislatore del decreto legge n. 90/2014. L’incentivo risulta escluso solo per le qualifiche dirigenziali, per cui sembra che i titolari di posizione organizzativa, nominati dai sindaci ai sensi del comma 2 dell’art. 109, possano continuare a fruire del 2% sull’importo di progettazione.

La ratio della norma, però, è posta nell’onnicomprensività della retribuzione di chi riveste qualifica dirigenziale ed anche i titolari di posizione organizzativa, nei comuni privi di qualifica dirigenziale, dovrebbero avr una retribuzione con natura onnicomprensiva.

giu 21 2014

MEDICO COMPETENTE – ATTI SEMINARIO ASSOPREV MOGORO ONLINE

Sono online sul sito Assoprev (www.assoprev.it) gli atti del Seminario “Il Medico Competente nel D.Lgs. 81/08: criticità e proposte di miglioramento” tenutosi a Mogoro (OR) il 6 Giugno 2014.

giu 21 2014

Rassegna Fiscale della Settimana – n. 25

Questa settimana:

Conversione Decreto Irpef

Decreti semplificazione e crescita IRAP Professionisti: l’Agenzia si uniforma alla Cassazione IL VIDEO

giu 19 2014

CORSO: COME SI REDIGE IL PIANO OPERATIVO (POS) E IL FASCICOLO

Il giorno 24 giugno 2014 a Ponte San Giovanni, presso l’Hotel Tevere (www.tevere.it), dalle ore 15.00 alle 19.00, si terrà un interessante incontro dedicato al piano operativo e al fascicolo.

Il corso prende in esame degli esempi di piani operativi per la sicurezza ed illustra come si procede all’approntamento ed alla stesura definitiva del fascicolo tecnico.

Le ore del corso sono valide come aggiornamento per coordinatori.

Per iscrizioni contattare l’Ufficio Formazione allo 0742.354243 o via mail a formazione.cse@gmail.com

giu 17 2014

Dal 1 luglio cambiano i valori degli assegni familiari per lavoratori e disoccupati

ambiano dal 1 luglio gli importi degli assegni per il nucleo familiare (Anf) meglio noti come “assegni familiari” che rimarrano in vigore fino al 30 giugno 2015. Come ogni anno la rivalutazione è calcolata sulla base dell’aumento del costo della vita, misurato dall’Istat per il 2012/2013 con l’1,1%. Ad averne diritto sono coloro i quali percepiscono un reddito “da dipendente” al di sotto di 100 mila euro annui. Nelle tabelle per la nuova annualità chi percepisce un reddito annuo fino a 14.354,66 e ha tre figli percepirà un assegno mensile di 137,50 euro, mentre ammonta a un simbolico 0,12 centesimi l’assegno per il genitore dello stesso numero di figli che guadagna tra i 70.739,73 e i 70.854,56. >>>

giu 17 2014

Architetti: nel mirino dell’Antitrust i software per calcolare le parcelle

Consiglio Nazionale: ‘grave che un’Autorità pubblica rincorra i fantasmi di un inesistente trust di 150 mila architetti’

L’Antitrust ha aperto un’istruttoria nei confronti degli Ordini degli Architetti di Roma, Firenze e Torino per verificare l’esistenza di eventuali intese restrittive della concorrenza.

Sotto la lente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è finito un software per calcolare i compensi professionali, che gli Ordini hanno messo a disposizione degli iscritti sui propri siti web.

Il calcolatore consente al professionista di definire il proprio compenso compilando una serie di voci già predisposte: importo dei lavori da eseguire, relativa classe e categoria, percentuale di spese previste, nonché selezionando le prestazioni che verranno erogate per i suddetti lavori, ottenendo così un valore dell’importo della parcella, calcolato in funzione delle prestazioni che verranno erogate.

Tutti e tre gli Ordini che offrono il servizio specificano nella stessa pagina web che le tariffe professionali sono stateabrogate dal Decreto Bersani (DL 1/2012 convertito nella Legge 27/2012), che il metodo di calcolo costituisce solo uno dei possibili parametri per calcolare il compenso professionale e che l’applicazione di tale metodo di calcolo non è obbligatoria. Per calcolare i compensi, il software utilizza le tariffe professionali vigenti prima del Decreto Bersani.

 

Gli Ordini di Roma, Firenze e Torino – spiega l’Antitrust – essendo enti territoriali rappresentativi di “imprese”, sono delle associazioni di imprese; quindi i servizi di calcolo dei compensi professionali che essi offrono, costituiscono deliberazioni di associazioni di imprese e, pertanto, appaiono definibili come “intese”.

Tali intese – continua l’Antitrust – sono vietate dalla Legge 287/1990, in quanto suscettibili di determinare, favorire o facilitare il coordinamento dei comportamenti degli architetti in relazione alla quantificazione dei rispettivi compensi professionali, con conseguente alterazione della concorrenza.

Infatti, secondo l’AGCM, i compensi risultanti dai calcolatori proposti dai tre Ordini sono idonei a rappresentare per i professionisti un focal point in relazione al comportamento di prezzo da tenere sul mercato. E quando un organismo rappresentativo di imprese individua prezzi di riferimento, anche se non obbligatori, si possono determinare effetti negativi per la concorrenza, alla stessa stregua dei prezzi obbligatori.

Ciò in quanto – aggiunge l’Antitrust – la mera esistenza di prezzi cui far riferimento si presta, da un lato, a facilitare ilcoordinamento dei prezzi fra i prestatori dei servizi e, dall’altro, ad ingannare i consumatori in merito alla misura dei livelli ragionevoli dei prezzi. Si tratta – conclude il documento – di una decisione associativa che rientra tra le principali e più serie restrizioni della concorrenza.

Durissima la replica del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, che ha definito l’apertura dell’istruttoria da parte dell’Autorità “l’ennesima dimostrazione che la bizantina applicazione delle norme in Italia nasconde la consueta politica (e pratica) di essere deboli con i forti, forti con i deboli”.

Secondo il Cnappc, l’atto parte da premesse errate, “clamorosa quella di considerare gli Ordini professionali ‘associazioni d’impresa’” e da “una evidente ignoranza riguardo alla realtà professionale italiana e del suo mercato, dove vige una concorrenza spietata spesso a danno della qualità e della sicurezza dell’abitare”.

“Grave è che, ancora una volta – continua la nota del Cnappc – un’Autorità pubblica delegata a regolare il mercato e proteggere i consumatori, dedichi il suo tempo e le sue risorse a rincorrere i fantasmi di un inesistente trust di 150 mila architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, il cui reddito medio è certificato ormai inferiore ai 20 mila euro annui, mentre i cittadini italiani sono vittime quotidiane di vere intese restrittive della concorrenza e alterazioni del mercato, che spesso abbiamo denunciato e che l’Autorità non vede, o non vuole vedere”.

Tra gli esempi citati dal Cnappc:

- il fatto che il 99% degli architetti italiani siano esclusi dal mercato dei lavori pubblici, “avendo la norma artatamente innalzato le condizioni di accesso”;

- la vendita sul web di prestazioni professionali come la certificazione energetica a 40 euro, “evidenti truffe, vista la mole di lavoro necessaria per certificare opere che danno diritto a bonus fiscali”;

- le attività di dumping ripetute su tutto il territorio nazionale “con la complicità della P.A., in gare con sconti oltre il 90% o addirittura gratuite”.

“E che dire – continua il Cnappc – della limitazione alla concorrenza causata dallo strapotere delle partecipate pubbliche che programmano, progettano, appaltano, dirigono i lavori e se li liquidano, con incarichi diretti, sempre senza strutture adeguate e competenti? Da Expo a Mose, passando perL’Aquila, il G8, il Ponte di Messina, le Città della Salute, il mercato è drogato dallo stesso potere pubblico e politico che nomina Autorità di Vigilanza ‘terze’ che serenamente si dedicano del tutto impropriamente a vessare chi, con chiarezza, informa il consumatore dei suoi diritti, assumendo le proprie responsabilità in un codice deontologico che – con tutta evidenza – l’Antitrust sembra non aver letto”.

“Risponderemo puntualmente alle osservazioni dell’Antitrust – assicura il Consiglio Nazionale – ma esprimiamo pubblicamente la nostra indignazione, in quanto rappresentanti dello Stato responsabili (e non associazione d’imprese), nel verificare che l’Autorità continua ad esercitare i propri poteri alla luce del pregiudizio”.

“Non resta che informare l’Antitrust – conclude il Cnappc – sul fatto che gli Ordini hanno pubblicato ‘fogli’ che calcolano gli emolumenti sulla base di un Decreto del Ministero che li vigila (Parametri bis – DM 143/2013) ed il suggerimento a trascorrere un paio di giornate in uno Studio di architettura di un qualunque luogo italiano per essere meglio a conoscenza della realtà del mercato e della concorrenza, prima di prendere decisioni incongrue”.

giu 15 2014

ISTITUTI DI VIGILANZA obbligatoria la UNI 10891

Il 16 marzo 2011 è entrato in vigore il Decreto n. 269 del Ministero dell’Interno, che regolamenta requisiti minimi di qualità degli istituti di vigilanza e di investigazione privata e dà esecuzione a quanto disposto dal comma 4 dell’art. 257 del DPR 4 Agosto 2008 n. 153.

Il decreto prevede che gli Istituti di vigilanza privata siano in possesso obbligatoriamente della certificazione di qualità secondo la norma UNI 10891 “Servizi – istituti di vigilanza privata – Requisiti”.

Gli Istituti di vigilanza già autorizzati hanno massimo diciotto mesi, dalla data di pubblicazione del decreto, per certificare la propria organizzazione. Coloro che invece richiedono nuove licenze o estensioni di licenze già operative dovranno essere già in possesso dei requisiti previsti dal nuovo decreto. La Norma UNI 10891 definisce i requisiti che deve possedere un Istituto di vigilanza privata, di qualsiasi natura giuridica, per dimostrare la sua costante capacità di fornire un servizio conforme ai richiesti dalla legge. Leggi

giu 10 2014

Biomasse? Una brutta faccenda…

Coltivare consumando suolo, acqua, energia e risorse per poi…usare ciò che si è coltivato come combustibile: una faccenda che, fin dall’inizio, seppur sbandierata come la nuova frontiera dell’energia rinnovabile e sostenibile, lasciava dubbi enormi, poneva contraddizioni irrisolvibili. Una scelta che oggi sta mostrando tutti i suoi limiti.di Laura Lincesso.

Dopo il rapporto choc di Nomisma , secondo cui le biomasse risultano più inquinanti del gasolio, oltre che del gpl e del metano, restano pochi dubbi sulle contraddizioni che questa scelta di politica energetica si porta dietro. Anche le commissioni europee lo hanno ammesso: le biomasse di origine alimentare favoriscono la deforestazione, quindi ora vorrebbero indirizzare gli incentivi verso le biomasse di origine non alimentare (in sostanza i rifiuti e qui si potrebbe aprire un altro capitolo). Eppure si continuano a prevedere incentivi e si ha quasi la sensazione che la crisi del settore agricolo europeo possa trovare nelle agroenergie un nuovo sbocco produttivo. Finanziamenti pubblici in questo senso sono previsti anche dalla nuova Politica Agricola Comunitari(PAC) 2014-2020 per colture da “energia” quali: mais, barbietola, che possono essere trasformate in alcool, e colza, girasole, soia che possono essere trasformate in olio combustibile.

 E’ bene analizzare con senso critico la questione.

 Non ci sono solo il rapporto Nomisma e il parere delle commissione UE a mettere in allerta. Analisi energetiche di “sistema”, che considerano cioè tutta la filiera produttiva, dal costo energetico per la produzione di fertilizzanti e dei pesticidi al processo di trasformazione, forniscono risultati critici circa la sostenibilità di questo sistema produttivo. Da queste ricerche, svolte da specialisti del settore, la trasformazione di biomassa in bio-combustibili liquidi (bioalcol o biodisel) risulta essere inefficiente dal punto di vista energetico. Ad esempio, per produrre 100 unità energetiche di bioalcol da mais, il processo ne richiede circa il 30% in più; così come per ottenere 100 unità energetiche di biodisel da girasole ne servono 200 (il 100% in più). In laboratorio la trasformazione dell’amido di mais in alcol è un processo fattibile ed efficiente. Quando però si passa dal laboratorio alla realtà, dobbiamo tener presente che le cose si complicano. Molti altri criteri ed indicatori devono essere introdotti, per esempio tutti i costi energetici relativi alla produzione del mais e allo smaltimento dei residui, l’impatto ambientale di questa coltura, gli effetti sul sistema agroalimentare della trasformazione di grandi quantità di mais in combustibili.

 Ci sono però anche studi secondo cui se gli impianti a biomassa sono piccoli e utilizzano scarti o comunque si basano su una filiera corta, potrebbero avere qualche chance in più.

 Un altro aspetto è dato dal fatto che la produzione di agroenergia porta necessariamente all’adozione della monocoltura intensiva, quindi, con un grande uso di fertilizzanti e pesticidi e con un relativo impatto sul territorio che contrasta con gli stessi obiettivi della PAC in merito alla conservazione della qualità dell’ambiente, della biodiversità e della salute del suolo. Il rapporto indica che la conversione di colture alimentari in colture energetiche sta accelerando, e se questo processo rimane incontrollato, oltre che ad un notevole aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, avrà un impatto negativo anche sulla biodiversità e potrebbe causare un aumento netto delle emissioni di gas serra invece che una riduzione di queste (Gallagher, 2008).

 Il terzo elemento da considerare è che la produzione di agroenergie ha pesanti ricadute sociali poiché la trasformazione di queste colture di sussistenza in carburanti sta causando l’aumento dei prezzi degli alimenti con gravi ripercussioni sulla sicurezza alimentare delle popolazioni dei paesi poveri. Un rapporto riservato della Banca Mondiale scoperto e reso pubblico dal quotidiano britannico The Guardian (Chakrabortty, 2008), attesta che il 75% del rincaro dei prezzi degli alimenti di questi ultimi tempi (i prezzi sotto esame sono cresciuti del 120% tra il 2002 e il febbraio 2008) può essere imputato all’effetto delle politiche nazionali e internazionali sui biocarburanti. Fatte queste premesse, non si può non considerare nella definizione di una politica agroenergetica nazionale e globale, questioni come la sicurezza alimentare o l’impatto ambientale che queste produzioni hanno sugli ecosistemi. Infine, si dovrebbe anche rivedere la domanda di energia e quindi il sistema di consumi, cercando allo stesso tempo di investire in differenti energie alternative, quale il solare termico, soprattutto in quei paesi dove il sole abbonda, l’eolico, e il fotovoltaico, quest’ultimo ancora poco efficiente ma con possibili prospettive di miglioramento.

giu 07 2014

Come si vince un appalto in Italia?

Per vincere un appalto pubblico in Italia non basta sapere fare bene il proprio lavoro. Vincere un appalto è di per sé un lavoro che costa ore passate a compilare moduli, scartoffie e a studiare la normativa.

E non è sufficiente studiarla una volta per tutte: negli ultimi otto anni queste norme sono state modificate centinaia di volte e per altre migliaia di volte sono state interpretate da sentenze o circolari amministrative. Da anni numerose associazioni di categoria accusano questa situazione di essere divenuta un labirinto del quale è difficile trovare una via d’uscita. Si tratta di associazioni che in ogni caso avrebbero da guadagnarci da una semplificazione, ma nelle ultime settimane, mentre nuove inchieste della magistratura hanno colpito appalti e concessioni enormi, come quelle EXPO e MOSE, a queste voci se ne sono aggiunte parecchie altre che è difficile accusare di avere un interesse nella semplificazione.

Raffaello Cantone, presidente dell’Autorità nazionale contro la corruzione ha dichiarato in questi giorni che presto sarà introdotta una normativa più semplice e anglosassone: «Il nuovo Codice degli appalti verrà riscritto completamente e le attuali 600 norme verranno ridotte di due terzi». Dichiarazioni simili sono state fatte anche da Riccardo Nencini, vice-ministro dei trasporti. Ma le critiche più dure sono arrivate proprio dalla procura di Venezia, e in particolare dal procuratore aggiunto Carlo Nordio:«Se io dovessi dare un suggerimento al presidente del Consiglio che è giustamente preoccupato di quanto sta accadendo gli direi di lasciar stare le pene, le leggi penali, i nuovi reati, ci sono già, le pene sono già stratosferiche. Al primo ministro direi: non fate nuove leggi. Paradossalmente: diminuite le pene ma rendetele più efficaci e concrete, e soprattutto prevenite il reato semplificando le procedure».

Ma da dove arriva tutta questa complessità? Prima di tutto dal Codice dei contratti pubblici, a volte chiamato anche Codice degli appalti, che è composto da 273 articoli, 38 allegati e che è diviso in 1.500 commi. A questo si aggiunge il Regolamento di Attuazione del codice degli appalti, che aggiunge altri 350 articoli. In tutto, gli articoli da rispettare sono i 600 di cui ha parlato Cantone. Da quando è entrata in vigore nel 2006, il codice è stato modificato 564 volte e i suoi articoli sono stati oggetto di sentenze e pareri amministrativi per seimila volte. Naturalmente non basta conoscere a menadito tutti questi articoli e le relative modifiche per sapere esattamente come muoversi nel mondo degli appalti pubblici. Spesso questi articoli rimandano a loro volta ad altre norme e leggi, che possono essere piuttosto complesse. Ad esempio, il Testo unico sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro da solo è lungo 735 pagine. A questo bisogna aggiungere che enti diversi hanno una modulistica diversa per partecipare agli appalti. I moduli vanno compilati senza sbagliare nemmeno una virgola. Basta un errore relativamente piccolo e in caso di contenzioso il giudice può stabilire che l’ente non è tenuto a pagare un lavoro svolto. A questo vanno aggiunti altri adempimenti, come ad esempio il DURC, il documento con cui si attesta la regolarità contributiva dell’impresa (che, almeno ultimamente, è diventato più facile da ottenere) e i certificati antimafia.

Tutta questa mole di burocrazia è un costo in tempo e denaro per qualunque impresa, ma i gruppi più grandi – o le realtà piccole abituate a lavorare con un particolare committente – possono ammortizzare i costi e risolvere in parte i problemi. Per le piccole e medie imprese, che non possono permettersi consulenti o impiegati addetti soltanto a svolgere le pratiche burocratiche e rimanere al passo con i cambiamenti della normativa, spesso è semplicemente impossibile affrontare i costi che derivano dall’espletare questa burocrazia. Ma c’è anche un altro problema che deriva da questa incredibile complessità, come ha fatto notare il procuratore Nordio. Con delle leggi così bizantine è relativamente facile per un ente committente creare un bando di appalto complicatissimo, perfettamente corretto dal punto di vista legale, ma costruito in modo da far vincere soltanto l’impresa degli amici ed eliminare per qualche cavillo tutti i concorrenti.

Il volume della normativa italiana non ha paragone negli altri grandi paesi europei. In Francia il Code des marchés publics è composto da 294 articoli, la metà di quelli italiani. Inoltre la procedura per ottenere un appalto in Francia si svolge completamente su internet, tramite un unico portale, con procedure standardizzate e impiegati esperti che seguono la pratica dall’inizio alla fine. Da quando è entrato in vigore la sua ultima versione, nel 2006 (cioè lo stesso anno del suo equivalente italiano) è stato modificato soltanto una volta. Nel Regno Unito ci sono due codici principali, per un totale di cento articoli, che sono stati modificati dal 2006 ad oggi soltanto due volte: nel 2008 e nel 2011.

giu 05 2014

Istruzioni per la valutazione affidabilistica della sicurezza sismica di edifici esistenti – Riflessioni

Riporto nel seguito alcune brevi considerazioni sulle istruzioni CNR-DT 212/2013, viste dalla prospettiva di un ingegnere strutturista libero professionista.

Il valore scientifico del documento è, ovviamente, altissimo, ed il sottoscritto non ha certamente le competenze per giudicarlo nel dettaglio; mi preme però evidenziare alcuni concetti, a partire dalla premessa del documento stesso:

Di Andrea Barocci

- La conoscenza completa di un organismo esistente non è di fatto conseguibile e ciò richiede allo strutturista di sopperire con la propria esperienza alla carenza di informazioni, formulando ipotesi sull’organismo strutturale. Anche questo è un elemento di soggettività che introduce incertezza nell’esito della valutazione.

- Anche a parità di informazioni acquisite e di ipotesi sull’organismo strutturale, le scelte di modellazione e del metodo di analisi riflettono in misura sensibile l’esperienza e la qualità professionale dello strutturista, oltre che gli strumenti di calcolo a sua disposizione. Questo è un ulteriore, e molto importante elemento di differenziazione tra gli esiti di una verifica.

Quanto sopra esposto è sicuramente condivisibile e chiunque si occupi di progettazione strutturale ne è ben consapevole ogni giorno; a seguire, sempre nella premessa:

Esse [le istruzioni] sono state redatte con l’intenzione di non richiedere il possesso di particolari competenze specialistiche in termini di teoria dell’affidabilità. Per quanto riguarda invece la modellazione e l’analisi della risposta strutturale, poiché gli stati limite di maggiore interesse sono caratterizzati da livelli di danno strutturale elevati, anche prossimi al collasso, l’applicazione delle Istruzioni richiede la simulazione del comportamento non lineare di elementi in c.a. e muratura, che presuppone conoscenze teoriche ed esperienza d’uso di idonei codici di calcolo.

Ecco, da qui in poi le opinioni cominciano a divergere. Il nodo principale, a mio avviso, sta nell’obbligatorietà ad utilizzare analisi non lineari e modelli “a telaio”. Ovviamente, per i due casi di studio riportati in allegato al documento CNR, tale tipo di analisi è semplice, ma parlando di “edifici esistenti”, è necessario essere consapevoli che l’esempio proposto ne rappresenta solo una minima parte.

Soprattutto per la muratura:

- Non è scontato avere “maschi murari”; spesso si hanno aperture non incolonnate e azioni che per arrivare a terra gareggiano su un percorso ad ostacoli.

- Non è scontato avere piani rigidi; in questi casi, come si può utilizzare l’analisi statica non lineare per determinare il “legame costitutivo non lineare di uno o più oscillatori semplici”?

- Non è scontato avere un comportamento globale; spesso sono i meccanismi locali a dettare legge, molto prima del manifestarsi timidamente della famosa “scatola”.

- Cosa ne facciamo degli aggregati, croce e delizia di tutti i nostri centri storici?

Più in generale, mi sembra che a fronte di una lucida interpretazione del problema riportata nelle prima parte dell’introduzione al documento, a seguire si sia scelta una purezza accademica che difficilmente può trovare riscontro nelle problematiche strutturali ordinarie (per intenderci, quelle che ogni professionista si trova ad affrontare ogni giorno).

Aggiungiamo a questo l’utilizzo dei codici di calcolo.

Facciamo l’ipotesi che tutti i professionisti utilizzino lo stesso software per modellare e verificare i due esempi proposti in allegato alle istruzioni CNR. E’ nota l’estrema sensibilità delle analisi non lineari verso parametri non sempre univoci e di facile determinazione; alcuni di questi dipendono fortemente dall’interpretazione che il professionista fornisce per un certo “dato”. Il risultato finale è che, anche con lo stesso software, ogni professionista chiuso nel proprio studio arriverà a risultati notevolmente diversi su uno stesso edificio.

Aggiungiamo ora lo stato dell’arte dei software in Italia; notiamo che, a differenza di altri stati, nel nostro paese non esiste alcun regolamento per “essere presenti” sul mercato nè occorre dimostrare di aver superato alcun benchmark test. La frase che si trova in ogni contratto di vendita e manuale è, più o meno “Il prodotto software non è accompagnato da alcuna garanzia, implicita o esplicita. I produttori ed i rivenditori pertanto non potranno per nessun motivo essere ritenuti responsabili per alcun danno, diretto o indiretto, per mancati guadagni od altro in conseguenza dell’utilizzazione delle procedure”.

Sia chiaro, non è mia intenzione esimermi da alcuna responsabilità ed è necessario che ogni professionista sia consapevole dei limiti degli strumenti che utilizza ma, mi si perdoni il paragone, qui si tratta di passare dalla guida dell’auto al pilotare un aereo con una benda sugli occhi.

 

Credo sia necessario partire da un livello leggermente più basso, prendere coscienza del nostro patrimonio edilizio e, se non c’è alternativa all’uso di determinati strumenti di calcolo, cogliere l’occasione per “trasferirli” dall’uso accademico al mondo reale passando anche tramite l’inserimento di un protocollo per la validazione di tali strumenti.

Il software deve rimanere un ausilio, un fedele amico che sostiene il progettista nella sua idea. Lo diceva Torroja “Potranno servire o no, i calcoli, ma tutta la loro complicazione, tutto il loro astruso accompagnamento matematico, non aggiungeranno nulla di nuovo. Non faranno che dare un marchio di garanzia all’idea iniziale della forma scelta. Nessuna opera sarà tramandata alla posterità per la perfezione dei suoi calcoli. Soltanto la forma, se ben riuscita e apportatrice di nuova perfezione, continuerà ad impressionare”.

Andrea Barocci

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