Categoria: discussione-settimana

ago 28 2014

CREDITI FORMATIVI PROFESSIONALI (CFP): FORMAZIONE CONTINUA O SPECULAZIONE CONTINUA?

Che quello della formazione continua sarebbe stato un business lo pensavamo in molti, ma che l’affare lo facessero soprattutto gli Ordini provinciali in realtà non era per nulla prevedibile. E’ il caso dell’Ordine degli Architetti della provincia di Palermo che della formazione continua sta facendo un vero e proprio mercato (Palermo è già famosa per quello di Ballarò), utile a sanare i buchi di bilancio causati dagli iscritti morosi.

Vi servono 3 CFP? Benissimo, è necessario pagare appena 15 euro. Ve ne serve solo 1? Vanno bene 5 euro.

E chissenefrega se il corso non vi interessa, è sufficiente investire poche ore del proprio tempo e un budget economico molto contenuto per ottemperare all’obbligo di formazione continua.

Entrando nel dettaglio, il 28 Marzo 2014 si svolgeva a Palermo un seminario sull’Abusivismo edilizio per il quale l’Ordine degli Architetti di Palermo ha riconosciuto fino ad un massimo di 6 CFP. Per l’iscrizione, l’architetto palermitano ha compilato un modulo in cui dichiarava:

“Il Sottoscritto dichiara di aver preso visione dell’obbligo di versamento di €.5,00 per ogni credito formativo che sarà riconosciuto dal C.N.A. per la partecipazione dell’evento formativo”.

Sull’argomento è intervenuta il Consigliere provinciale Claudia Rubino che in una nota ha precisato quanto segue: “Il Seminario sull’abusivismo edilizio che si è tenuto lo scorso 28 marzo è costato all’Ordine degli APPC di Palermo circa 4.000 euro…a fronte di un incasso per l’Ordine di circa 12.000 euro (circa 400 partecipanti * 30 euro, che ogni partecipante deve versare all’Ordine per ottenere i CFP previsti). Ciò vuol dire che l’Ordine, attraverso l’organizzazione/adesione a questo seminario, ha guadagnato circa 8.000 Euro, che non servono solo a coprire le spese affrontate, ma anche a “fare cassa” mettendo le mani sul portafoglio dei nostri colleghi su molti dei quali già grava il peso della crisi che stiamo attraversando e che in alcuni casi ha determinato la chiusura di molti studi professionali. Più che di “formazione continua” si dovrebbe parlare di “speculazione continua” autorizzata dal vigente DPR 137/2012 a danno degli iscritti, che sottraggono tempo al loro lavoro per seminari che in alcuni casi sono anche poco formativi”.

Simpatico anche il pensiero di un noto architetto di Palermo che ha così commentato la faccenda “Cosa è rimasto di libero nella nostra professione? Ci troviamo obbligati a raccogliere i punti, come fanno le brave massaie al supermercato per ricevere il “pratico telo mare”. Mi sfugge inoltre su quali argomenti dovremmo continuamente formarci, (le piastrelle di Kerlite?, i led colorati? i nuovi sistemi di sciacquoni digitali?).

Mi dicono che, visitando la recente mostra di Sua maestà Renzo Piano tenuta a Padova, si potevano ottenere ben 3 crediti formativi. riuscendo a toccargli la barba si poteva salire anche a 7….Ma ci rendiamo conto?

La formazione permanente potrebbe forse avere un senso per i colleghi della pubblica amministrazione, ma per un libero professionista che si confronta con il libero mercato me ne spiegate il senso? La formazione obbligatoria è l’opposto di quella realmente utile”.

Ma non ho ancora terminato.

Con un comunicato di pochi giorni fa, il Consiglio Nazionale degli Architetti ha informato dell’organizzazione, il prossimo 8 Maggio a Roma, di un convegno sul tema “Aprire il mercato dei lavori pubblici: la proposta della Rete delle Professioni Tecniche” organizzato dalla Rete dei Consigli Nazionali delle Professioni Tecniche. La partecipazione al Convegno, totalmente gratuita, darà diritto all’attribuzione di 4 CFP ai sensi delle linee guida sull’aggiornamento professionale continuo degli Architetti.

Considerata l’importanza dell’evento, il CNAPPC ha dato la possibilità agli Ordini provinciali di offrire ai loro iscritti l’evento in streaming. In tal caso gli Ordini potranno certificare la presenza e riconoscere ai partecipanti i 4 CFP.

L’Ordine degli Architetti di Palermo, molto attento quando si parla di formazione e servizi utili agli iscritti, ha così prontamente deciso di aprire le prenotazioni al convegno. Fin qui niente di male, se non fosse però che questa volta è stato richiesto il contestuale pagamento di 20 euro (casualmente 5 euro x 4 CFP) quale diritto di Segreteria a titolo di rimborso spese forfettario.

Considerata, dunque, la gratuità dell’evento (organizzato dal CNAPPC), che l’organizzazione in streaming non comporta chissà quali costi aggiuntivi e che la Segreteria dell’Ordine dovrà pur servire a qualcosa, mi chiedo come sia possibile che uno dei principali Ordini (in termini di iscritti) d’Italia possa permettersi di chiedere 20 euro per la trasmissione in streaming di un evento organizzato da altri. Credo, piuttosto, che con la formazione continua si stia perdendo totalmente la bussola e che così com’è strutturata stia servendo solo a (passatemi il termine) “fare cassa”.

A cura di Ilenia Cicirello

ago 19 2014

Servizi di progettazione, nelle nuove Linee guida limitazione dei requisiti di fatturato Congruo e proporzionato un requisito non superiore al doppio dell’importo a base di gara. Consultazione fino al prossimo 15 settembre 2014

Fino alle ore 18.00 del prossimo 15 settembre è possibile inviare all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) le osservazioni al documento in consultazione recante la revisione e l’aggiornamento della determinazione del 7 luglio 2010, n. 5 “Linee guida per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”.

Si tratta delle attesissime nuove linee guida sui servizi di architettura e ingegneria(IL TESTO QUI), elaborate dalla vecchia AVCP ora soppressa e soppiantata dall’Anac guidata da Raffaele Cantone.

Messe a punto avvalendosi del tavolo tecnico costituito con le principali categorie professionali operanti nel settore, le nuove linee guida in consultazione pongono particolare attenzione agli strumenti volti a premiare la qualità della progettazione, ad evitare il fenomeno dei ribassi eccessivi e a favorire l’apertura del mercato ai giovani professionisti.

Le linee guida sono accompagnate dalla Relazione AIR (CLICCA QUI) nella quale è contenuta l’analisi di alcune proposte formulate dagli operatori del settore nel corso del tavolo tecnico nonché di talune norme del d.P.R. del 5 ottobre 2010, n. 207 relative ai requisiti di accesso e alle modalità di svolgimento delle procedure di gara.

LIMITAZIONE DEI REQUISITI DI PARTECIPAZIONE ALLA GARA. Nel documento si ricorda che l’articolo 263, comma 1, del Regolamento stabilisce i requisiti da richiedere ai partecipanti alle procedure di affidamento di servizi tecnici di importo superiore a 100.000 euro; in particolare, l’adeguata esperienza nello svolgimento di servizi analoghi è provata con riferimento:

a) al fatturato globale per servizi di cui all’art. 252 del Regolamento espletati negli ultimi cinque esercizi antecedenti la pubblicazione del bando, per un importo variabile tra 2 e 4 volte l’importo a base di gara;

b) all’avvenuto espletamento negli ultimi dieci anni di servizi di cui all’art. 252, relativi a lavori appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, individuate sulla base delle elencazioni contenute nelle vigenti tariffe professionali, per un importo globale per ogni classe e categoria variabile tra 1 e 2 volte l’importo stimato dei lavori cui si riferisce la prestazione, calcolato con riguardo ad ognuna delle classi e categorie;

c) all’avvenuto svolgimento negli ultimi dieci anni di due servizi di cui all’art. 252, relativi ai lavori, appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, individuate sulla base delle elencazioni contenute nelle vigenti tariffe professionali, per un importo totale non inferiore ad un valore compreso fra 0,40 e 0,80 volte l’importo stimato dei lavori cui si riferisce la prestazione, calcolato con riguardo ad ognuna delle classi e categorie e riferiti a tipologie di lavori analoghi per dimensione e per caratteristiche tecniche a quelli oggetto dell’affidamento;

d) numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni (comprendente i soci attivi, i dipendenti e i consulenti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua iscritti ai relativi albi professionali, ove esistenti, e muniti di partiva IVA e che firmino il progetto, ovvero firmino i rapporti di verifica del progetto, ovvero facciano parte dell’ufficio di direzione lavori e che abbiano fatturato nei confronti della società offerente una quota superiore al cinquanta per cento del proprio fatturato annuo, risultante dall’ultima dichiarazione IVA, e i collaboratori a progetto in caso di soggetti non esercenti arti e professioni), in una misura variabile tra 2 e 3 volte le unità stimate nel bando per lo svolgimento dell’incarico.

Le nuove Linee guida prevedono di ammorbidire i vincoli di fatturato e di dipendenti per la partecipazione alle gare di ingegneria e architettura. “Con riferimento al fatturato, si deve tenere presente che il consolidato orientamento giurisprudenziale, in linea con le espressioni di parere dell’AVCP, nonché i nuovi assunti della Direttiva 2014/24/CE (cfr. art. 58), ritengono congruo e proporzionato un requisito non superiore al doppio dell’importo a base di gara”, sottolinea l’Autorità; invece, il Regolamento “prevede limiti superiori, con una forbice tra 2 e 4 volte”.

Le nuove Linee guida precisano inoltre che il requisito di fatturato “non può essere inteso nel senso di limitare il fatturato ai soli servizi specificamente posti a base di gara. Ne discende che, ad esempio, nell’ipotesi di affidamento della progettazione e della direzione lavori, ai fini della dimostrazione della specifica esperienza pregressa, anche per i servizi c.d. “di punta”, in relazione ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, detti requisiti sono dimostrati con l’espletamento pregresso di incarichi di progettazione e direzione lavori, di sola progettazione ovvero di sola direzione lavori”.

CLASSI, CATEGORIE E TARIFFE PROFESSIONALI. Il paragrafo 5, relativo alle classi, categorie e tariffe professionali, prova a fornire una soluzione ai problemi sorti a seguito dell’approvazione del DM Parametri (n. 143/2013) che ha operato, con la tabella Z-1 “categorie delle opere – parametro del grado di complessità – classificazione dei servizi e corrispondenze” una revisione della suddivisione in classi e categorie di cui alla l. n. 143/1949.

La precedente suddivisione in “classi” e “categorie” è sostituita dalla attuale in “categorie delle opere”, “destinazione funzionale” e “identificazione delle opere”; dalla identificazione delle opere, alla quale corrisponde una sigla alfanumerica, consegue l’attribuzione di un parametro G (grado di complessità) da tenere presente nel calcolo degli onorari.

CRITERIO DELL’OFFERTA ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA. Per quanto riguarda i criteri di aggiudicazione, l’Autorità ricorda che “già nella determinazione del 29 marzo 2007, n. 4, questa AVCP ha espresso l’avviso che, nell’ambito degli appalti di servizi di ingegneria ed architettura, sia preferibile adottare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ossequio alla specificità ed alla complessità dei servizi in questione; infatti, questo modello selettivo consente di valorizzare le capacità innovative del mondo professionale, volte ad aumentare il valore complessivo del servizio offerto.

Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come espressamente indicato all’art. 266 del Regolamento, per gli affidamenti superiori a centomila euro, appare, quindi, il più idoneo a garantire una corretta valutazione della qualità delle prestazioni offerte dagli operatori economici rispetto al criterio del prezzo più basso, non funzionale alla valutazione dei profili tecnici e professionali, tipici delle attività di ingegneria e architettura”.

In questa direzione, osserva l’Authority, si muove anche il legislatore comunitario che, con l’art. 67 della Direttiva 2014/24, rubricato “Aggiudicazione dell’Appalto”, stabilisce quanto segue: “Fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali relative al prezzo di determinate forniture o alla remunerazione di taluni servizi, le amministrazioni aggiudicatrici procedono all’aggiudicazione degli appalti sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa. L’offerta economicamente più vantaggiosa dal punto di vista dell’amministrazione aggiudicatrice è individuata sulla base del prezzo o del costo, seguendo un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita conformemente all’articolo 68, e può includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto pubblico in questione. … Gli Stati membri possono prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici non possano usare solo il prezzo o il costo come unico criterio di aggiudicazione o limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto.”

Il legislatore comunitario – evidenzia l’Autorità – sembra suggerire alle stazioni appaltanti di valutare le offerte tenendo conto di una serie di criteri, oltre al prezzo, quali gli aspetti di carattere economico ulteriori rispetto ai costi immediati di acquisizione, ad esempio quelli connessi all’intero ciclo di vita del bene, nonché gli aspetti qualitativi attinenti alla tutela ambientale e sociale (cfr. considerando 74, 92 e 93, 97, e art. 68 della Direttiva). La Direttiva, inoltre, riserva al legislatore nazionale la possibilità di prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici non possano usare solo il prezzo come unico criterio di aggiudicazione ovvero che tale possibilità sia limitata a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto. Prevede, altresì, all’art. 67 che “L’elemento relativo al costo può inoltre assumere la forma di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base a criteri qualitativi”, ipotizzando, quindi, che il confronto competitivo avvenga soltanto sulla base degli elementi qualitativi avendo la stazione appaltante già fissato ex ante il corrispettivo per il servizio.

CRITERIO DEL PREZZO PIÙ BASSO. Il ricorso al criterio del prezzo più basso, precisano le nuove Linee guida, “è ammissibile solo per gli affidamenti di importo inferiore a centomila euro e in caso di semplicità e ripetitività delle prestazioni da svolgere. Si ritiene che le ragioni per il ricorso al criterio del prezzo più basso debbano comunque essere motivate nella lettera di invito. Nell’ipotesi di utilizzo del criterio del prezzo più basso, onde evitare che i risparmi conseguiti a seguito di forti ribassi sul prezzo possano avere ricadute negative, non soltanto sulla qualità dell’opera, ma principalmente sui profili della sicurezza, si suggerisce, comunque, l’applicazione dell’art. 124, comma 8, del Codice. Tale norma prevede la possibilità di inserire nei bandi o inviti l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’art. 86 del Codice. Si rammenta, tuttavia, che questa facoltà non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci; di conseguenza, qualora la stazione appaltante intenda utilizzare l’esclusione automatica deve invitare almeno dieci soggetti”.

Nel caso in cui si opti per il criterio del prezzo più basso, “l’offerta economica deve ovviamente contenere solo l’indicazione della percentuale di ribasso rispetto al prezzo globale a base di gara e non anche il ribasso sui tempi di esecuzione, in quanto questo elemento non è cumulabile con l’elemento prezzo”.

ago 19 2014

Con le mega-stampanti in 3D un futuro di case in fotocopia di Carlo Panizza

Nel 2011 il prestigioso settimanale britannico The Economist ha dedicato un lungo approfondimento alla tecnologia della stampa in 3D, definendo questi (allora) avveniristici devices un’invenzione il cui impatto sarà paragonabile a quello “della stampa a caratteri mobili di Guttemberg, o alla macchina a vapore di Watt o il transistor della storia recente”. Sembra un decennio fa, e invece, in meno di un lustro, grazie all’eccezionale rapidità dell’evoluzione di harware e software, la stampa in 3D da applicazione accademica è divenuta realtà, con il lancio sul mercato di prodotti ottimizzati per dimensioni, utilizzabilità e con un prezzo abbordabile.

Di stampanti 3D ne vengono lanciate in continuazione sul mercato, anche quello consumer, a prezzi che ormai si aggirano intorno ai 1.000 dollari. Nel primo trimestre 2014, secondo le stime della società d’analisi Canalys, sono state vendute a livello globale 26.800 stampanti 3D. Non si tratta forse di numeri comparabili a quelli della catena di montaggio della Ford T negli anni 30, ma sono pur sempre cifre ragguardevoli, visto che si tratta di un prodotto in commercio su larga scala da poco più di un anno, e che la maggior parte degli acquirenti proviene dal segmento business. Questi rappresentano il 54% del mercato, mentre il 46% delle stampanti 3D è stato comprato da utenti consumer, in crescita rispetto al 43% dell’intero 2013, grazie soprattutto all’aumentata offerta di modelli a prezzi competitivi.

 

Ad accrescere le potenzialità del 3D printing a scopo di produzione anche lo sviluppo dei materiali utilizzabili per la realizzazione degli stampati: inizialmente si potevano usare esclusivamente delle leghe di plastica, che venivano sovrapposte a strati da un braccio robot fino a comporre l’oggetto desiderato. Ora, oltre a leghe plastiche e polimeri, dagli ugelli delle stampanti 3D possono essere estrusi metalli, che siano stati ridotti in soluzione usabile dalle stampanti, così come gli ingredienti alimentari con cui i cake designer danno vita a dolci dalle architetture altrimenti impossibili, o ancora cemento per la realizzazione di immobili

 

La gara per realizzare la prima casa stampata in 3D, peraltro, è già in pieno svolgimento. A Shanghai Winsun New Materials promette di battere tutti in volata. La società cinese ha infatti già completato 10 strutture realizzate con le nuove tecniche di 3D printing che per ora saranno adibite a uffici. Non si tratta infatti di abitazioni di lusso, ma sono in realtà poco più che prefabbricati. Dalla loro hanno però la rapidità di realizzazione: fatte utilizzando quattro stampanti 3D larghe una decina di metri e alte sette, necessitano di 24 ore per essere ultimate, escluse ovviamente le finiture.

 

Intanto, ad Amsterdam, il cantiere per la realizzazione della 3D Print Canal House addirittura un’attrazione turistica: al costo di 2,5 euro, infatti, curiosi e visitatori possono comprare il biglietto per accedere al cantiere e vedere l’enorme stampante in funzione. Il progetto, partito a marzo 2013 con la realizzazione di un modellellino in scala 1 a 20 di una delle tipiche abitazioni che sorgono sulle rive dei canali della capitale dei Paesi Bassi, si è presto trasformato in un’iniziativa concreta grazie allo studio olandese Dus Architects. Questi hanno pensato a tutto, anche all’impatto ecologico di lavori e immobile: la tecnologia utilizzata prevede infatti l’utilizzo di una plastica ottenuta da olio di colza, riutilizzabile in caso di errore nella stampa. In pratica la “stampantona”, montata sull’area del cantiere e qui caricata e messa in funzione, realizza blocchi modulabili di circa 3 metri d’altezza, che vengono poi assemblati sulla base del progetto architettonico. Si tratta cioè di una tecnica non molto differente da quella seguita per i prefabbricati. Con la sostanziale differenza che le modalità di produzione dei blocchi tramite stampa in 3D, realizzati in loco e quindi senza necessità di organizzare trasporti eccezionali, consente un enorme risparmio di tempo e denaro. Con risultati, assicurano dallo studio d’architettura olandese, assolutamente comparabili alle tecniche tradizionali. La casa sul canale, che sarà composta da 13 stanze, la prima delle quali è pressoché già pronta è sarà perfettamente abitabile.

Se tale nuova modalità di costruzione dovesse prendere piede le implicazioni per il settore dell’edilizia sarebbero enormi, e nemmeno ancora tutte chiare o immaginabili. L’Italia, dove esistono norme urbanistiche e costruttive sono molto stringenti cui si sommano altre norme per la tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, difficilmente potrà fare da apripista per l’applicazione sui larga scala di questa tecnologia. Senza contare la tradizionale remora al cambiamento e alle novità delle varie associazioni rappresentative dei diversi attori del settore. Ma la possibilità dio realizzare abitazioni stampate in 3D non dovrebbe essere scartata a priori anche nel Belpaese. Basti pensare il caso di calamità naturali, dei relativi soccorsi e lavori di immediato ripristino delle normali condizioni di vita: la maxi stampante potrebbe essere facilmente trasportata si luoghi dei disastri ed essere utilizzata per la rapida realizzazione di sistemazioni d’emergenza, con caratteristiche abitative più civili rispetto ai container.

ago 10 2014

La pianificazione urbanistica nel recupero degli spazi collettivi

Nel comune significato odierno, i termini metropoli e/o area metropolitana derivano dall’unione dei vocaboli greci metera (madre) e polis (città) e sono oramai comunemente utilizzati per indicare aree che rappresentano il nucleo economico-culturale di un territorio, al quale si collegano altre zone urbanizzate; tale concetto ha modificato radicalmente l’abituale idea di “città” utilizzata per molto tempo, variandone infatti gli aspetti fondamentali sia in ambito più squisitamente economico che – soprattutto – in quelli riferiti alla struttura sociale ed alle condizioni di “vita vissuta” da parte dei suoi abitanti.

Senza riferirci a realtà completamente diverse – come quelle delle aree urbane e delle metropoli presenti in altri continenti – se invece ricordiamo specificamente l’Europa e, dunque, anche i territori nazionali, bisogna sottolineare come molte delle iniziative in tale ambito successive all’immediato dopoguerra, siano state distinte da interventi espressi da una sorta di vero e proprio moderno “monumentalismo” dalle forti caratterizzazioni scenografiche.

Solo con gli anni ottanta (da parte delle istituzioni e dei progettisti) si è rilevata maggiore attenzione per il patrimonio storico-architettonico preesistente ed un approccio certamente più misurato, con l’obiettivo di non incidere in maniera incontrollata soprattutto sugli aspetti di vivibilità e sui rapporti interpersonali, alla base di una migliore convivenza per quanti già risiedevano in tali aree.

Tale concetto (almeno per quello che riguarda alcune aree metropolitane estremamente importanti ed altrettanto congestionate), ha trovato migliore riscontro nelle politiche di pianificazione urbanistica degli ultimi anni, in particolare con interventi come quello del Concorso per la Grand Paris, che ha visto una decina di architetti ed urbanisti impegnati nella progettazione della capitale francese dell’immediato futuro.

Proprio a Parigi inoltre, nel 2003 l’Unesco approvò la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale, inserendo nel documento il concetto che…“il patrimonio culturale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”; appunto in tale ambito, nel 2004 il Codice Italiano dei Beni Culturali e del Paesaggio riprese gli stessi concetti, confermando che la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale sono indispensabili per conservare la memoria della nostra struttura sociale e – in particolare – anche per riuscire a promuovere realmente una efficace e continua “crescita” culturale.

Di conseguenza, tale consapevolezza ha prodotto indicazioni progettuali che hanno consentito l’introduzione di nuove formule nella pianificazione urbanistica, con le quali percorrere una via di crescita culturale in grado di accogliere proprio i fattori indispensabili alla personalità di ciascun territorio, focalizzando l’attenzione anche sulla valenza e sulle relazioni tra il tessuto urbano e le possibili “potenzialità/opportunità” in ambito culturale, soprattutto come strumenti per una concreta “riappropriazione” degli spazi collettivi. In effetti allora, gli spazi comuni nelle città dei nostri giorni hanno finito per mostrare una serie di trasformazioni che hanno radicalmente modificato la struttura urbanistica di tanti luoghi e, pertanto, le aree pubbliche e quelle più squisitamente definite come “centrali”, hanno assunto sempre più un’importanza ed un’influenza determinante per le persone e per le loro “richieste” in chiave individuale.

Ma allora, la situazione Italiana si è evoluta con le stesse dinamiche?

Crediamo che la risposta sia molto eterogenea e “rallentata” rispetto a molte altre realtà Europee, forse perchè siamo stati in grado di manifestare una inequivocabile “vivacità” sul fronte architettonico, ma siamo tuttora in grande ritardo nell’area della pianificazione urbanistica: a tale riguardo infatti, sono molti gli esempi possibili in città di medie dimensioni, mentre siamo di fronte a vari casi di aree metropolitane che mostrano una mancanza assoluta di quella libertà individuale che – al contrario – rappresenta la domanda più importante da parte di tutti i cittadini.

Proprio in tale ottica pensiamo si possa (anzi, si dovrebbe!) esprimere il potenziale talento degli urbanisti, ai quali spetta verosimilmente l’onere di leggere, comprendere (e concretamente interpretare) tutte le possibili “esigenze” delle diverse aree urbanizzate del Paese.

ago 05 2014

Incentivi per la progettazione interna, pericolo di aumento con il Dl Pa Lo scrive il Servizio Bilancio della Camera. Il nuovo schema, che gira attorno a un fondo unico, è in larga parte basato sui regolamenti delle singole amministrazioni di Giuseppe Latour

Pericolo di un aumento del denaro destinato alla progettazione. Lo scrive il Servizio Bilancio della Camera nell’analisi degli effetti del nuovo articolo 13 bis del decreto n. 90/2014, appena convertito da Montecitorio, che disciplina in maniera diversa rispetto al passato il sistema degli incentivi ai dipendenti della Pa. Il nuovo schema, che gira attorno a un fondo unico, è infatti in larga parte basato sui regolamenti delle singole amministrazioni. Senza orientarne i contenuti in anticipo, potrebbe accadere che la spesa per la progettazione delle Pa, alla fine, aumenti anziché restare invariata o diminuire.

 Per capire cosa è accaduto agli incentivi alla progettazione nel corso di questo passaggio parlamentare bisogna partire dai lavori della Camera. La commissione Affari costituzionali si è trovata tra le mani un articolo 13 che, sostanzialmente, aboliva l’incentivo solo per i dirigenti della Pa, “in ragione dell’onnicomprensività del relativo trattamento economico”. La norma, criticata da più parti, andava emendata. Così, all’inizio della discussione della legge di conversione è spuntata fuori una modifica, appoggiata da Governo e relatore, che aboliva completamente i commi 5 e 6 dell’articolo 92 del Codice appalti, abrogando di fatto l’incentivo alla progettazione. Moriva così il 2% dell’importo posto a base di gara diviso tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori.

 

Dopo avere compreso esattamente cosa avevano appena votato, però, sono stati gli stessi deputati della commissione Affari costituzionali a decidere che la questione non poteva andare in archivio in questo modo. E hanno sollecitato che il problema fosse riesaminato. Così, con una soluzione piuttosto creativa, il relatore Emanuele Fiano ha lasciato ferma l’abrogazione dell’articolo 13, ma si è inventato un nuovo articolo 13 bis, che istituisce l’incentivo in una nuova forma, facendolo risorgere dalle sue stesse ceneri.

Il cambiamento prevede che le risorse, che continuano ad essere pari, al massimo, al 2% degli importi posti a base di gara di un’opera o lavoro, vengano fatte confluire da ogni amministrazione in un fondo denominato “Fondo per la progettazione e l’innovazione”. In sostanza, il rapporto non si esaurisce più all’interno della singola opera, ma viene allargato a quello che ogni anno ciascuna amministrazione spende in opere pubbliche. Questo pacchetto di fondi andrà impiegato in due direzioni. La prima, e più pesante, è quella degli incentivi alla progettazione: l’80% di questo denaro viene ripartito, per ciascuna opera e lavoro, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. Il restante 20% delle risorse “è destinato all’acquisto, da parte dell’ente, di beni, strumentazioni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione, banche dati per il controllo ed il miglioramento della capacità di spesa, ammodernamento/efficientamento dell’ente e dei servizi ai cittadini”.

 

Queste sono le linee generali. Alcuni meccanismi risultano, però, ancora poco chiari. Su molti punti, infatti, l’articolo 13 bis fa riferimento a un regolamento emanato dalla stessa amministrazione, che dovrà andare a tappare una serie di falle della normativa, integrandola. Ad esempio, dovrà fissare la percentuale effettiva di incentivo da stanziare per ogni opera, dovrà stabilire le modalità di riparto tra chi partecipa alla progettazione e, soprattutto, dovrà decidere “i criteri e le modalità per la riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro a fronte di eventuali incrementi dei tempi o dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo”. In pratica, in caso di ritardi o aggravi di costo, l’incentivo dovrebbe, almeno in teoria, essere tagliato.

 

Proprio questo regolamento solleva le maggiori perplessità. Se, infatti, l’idea generale della nuova norma sembra abbattere l’incentivo di un quinto, destinando questo denaro risparmiato a investimenti, il risultato finale non pare garantito. Il motivo è che le amministrazioni dovranno scriversi le regole da sole. E potrebbe prevalere la volontà, a beneficio dei propri dipendenti, di mantenere le cose come stanno, garantendo nei fatti gli stessi bonus che si pagavano prima, senza operare tagli.

E non si tratta di un pensiero malizioso. Il Servizio Bilancio della Camera, infatti, ipotizza addirittura che la norma possa appesantire il carico dei conti pubblici. “Al riguardo – scrive nella documentazione di accompagnamento al decreto – andrebbero forniti chiarimenti sui profili finanziari della disposizione. Infatti, la previsione di un fondo, a valere sulle somme stanziate per la realizzazione delle opere, da destinare in parte a forme di incentivo per il personale incaricato dei lavori di progettazione e direzione delle opere e in parte alla realizzazione di banche dati, potrebbe determinare un aumento complessivo del costo di realizzazione delle opere”. Il motivo è che “non è previsto che l’ammontare del fondo costituisca il limite di spesa riferibile all’intera fase di progettazione, da ripartire tra dipendenti interni e appalti esterni”. Senza un limite di questo tipo, si potrebbe determinare “la possibilità di aumento complessivo delle risorse destinate alla fase di progettazione”

ago 03 2014

Ci fidiamo dei concorsi? A volte ci si rende conto che non sono regolari. di Fabio Overkill

Tutti sappiamo cosa succede, a volte diamo per scontato ciò che dovrebbe essere scandalo.  Volete ambire ad un particolare posto di lavoro? Sicuramente dovrete imbattervi in concorsi, anche perchè quasi la maggior parte dei mestieri lo impone, dalle forze armate, ai segretari fino ad arrivare ai posti nelle industrie. Questo è uno metodo che dà la possibilità di occupare in maniera meritocratica, quindi perfetto sia per le aziende che per i partecipanti. Ma la scelta è davvero meritocratica?

Molti infatti hanno denunciato irregolarità nei concorsi tanto che oramai una notizia del genere non farebbe più scalpore, sembra quasi che il concorso serva a voler fingere una selezione che in realtà è stata già effettuata in precedenza. Le agenzie interinali, si prorpio loro, non sembrano nemmeno molto attendibili ma essendo private questo un po’ c’è lo potevamo aspettare, ma quando si riscontrano irregolarità anche nei posti statali, molti ragazzi rinunciano anche a parteciparvi, così facendo si semplifica il lavoro dei “truffatori”. Prendendo come fonte alcuni titoli di giornali proviamo a rendere un’idea generale per chi ancora crede di fidarsi, anche se non è bene generalizzare.

 

Concorso magistratura 2014, “Irregolarità”. Piovono denunce, rischio annullamento 4 luglio 2014 (il Fatto Quotidiano). Università, test con il trucco: nomi dei professori già scritti prima della selezione 24 gennaio 2014 (Redazione Il Fatto Quotidiano). Bari, test truccati per entratre nella Guardia di Finanza, 7 indagati. La procura: «C’era un tariffario» 30 Novembre 2013 (il Messaggero). Questi sono tre titoli scelti a caso ma anche facendo una veloce ricerca su internet si possono trovare migliaia di casi in tutta Italia, da nord a sud. Praticamente per assicurarsi di poter passare ad un concorso bisogna trovare un amico, un parente o qualcuno di fiducia che sia disposto a raccomandarti. A volte basta pagare, ma poi c’è sempre il rischio che una volta pagata la somma, in cambio non si ha nulla. Ma la famosa raccomandazione a chi la possiamo chiedere? Stiamo sempre parlando di cose illegali, e in un paese come il nostro il primo a infrangere la legge è chi legifera, sicuro di potersela cavare con poco o niente. Visto la sua situazione privilegiata, o magari i sindacati che oramai sono parte inegrante della politica.

 Volete alcuni esempi di politici che raccomandano? Recentemente Debora Serracchiani (PD) è stata accusata di aver raccomandato due persone, ovviamente tesserate del partito democratico e cioè Massimo Ceccon e il vice sindaco Davide Bonetto, il tutto attraverso l’agenzia interinale! Ovviamente chiunque potrebbe raccontare una sua esperienza, visto e considerato che la maggior parte delle volte tutto ciò non viene denunciato nonostante si sappia già quale sia stato il metodo di scelta. Non vorrei dilungarmi o annoiarvi, magari non avete letto nulla di nuovo, ma forse non vi siete mai posti la domanda giusta a questo problema e cioè: “Se avete delle capacità, dell’inventiva, voglia di fare o semplicemente svolgere il lavoro che più vi si addice alle vostra capacità, siete nel paese giusto per farlo?”.

lug 29 2014

Riforma del catasto e revisione degli estimi, la proposta metodologica dei Geometri

Stima del valore patrimoniale e della rendita degli immobili ai fini catastali attraverso un sistema di valutazione uniforme basato sul valore di mercato per il valore patrimoniale e sul canone di mercato per la rendita.

Il Consiglio nazionale dei Geometri e dei Geometri laureati (CNGeGL) ha messo a punto una proposta metodologica ad hoc basata su un sistema di valutazione uniforme per la stima del valore patrimoniale e della rendita degli immobili ai fini catastali.

Antonio Benvenuti, vice presidente del CNGeGL, spiega che “la proposta metodologica elaborata dal CNGeGL per la revisione degli estimi dei fabbricati prevede un sistema di valutazione uniforme per la stima del valore patrimoniale e della rendita degli immobili ai fini catastali; le basi di valutazione sono il valore di mercato per il valore patrimoniale e il canone di mercato per la rendita. Essa consente ai contribuenti di vedere stimato il proprio immobile (di caratteristiche immobiliari note) attraverso una funzione che mostra l’ammontare assegnato alla localizzazione e i prezzi o i redditi stabiliti per ciascuna caratteristica immobiliare della costruzione presa in esame: costruttiva, tecnologica, architettonica, paesaggistica eccetera”.

LE LINEE GUIDA: EQUITÀ, AGGIORNAMENTO DEI DATI, TRASPARENZA, LIMITAZIONEDEL CONTENZIOSO. “La riforma del catasto è una priorità per il Paese”, sottolinea il presidente del Consiglio nazionale dei Geometri, Maurizio Savoncelli (nella foto). “La categoria dei geometri – in virtù della tradizionale capacità di coniugare il rigore estimativo con la conoscenza anche sociologica del territorio – è chiamata a dare il suo contributo. In continuità con quanto illustrato lo scorso febbraio nel corso dell’audizione presso la 6° Commissione finanze e tesoro del Senato e successivi contatti con il presidente, il senatore Mauro Marino, presenteremo a breve nelle sedi competenti – annuncia Savoncelli – una proposta concreta e operativa, basata su quattro linee guida: equità, aggiornamento dei dati, trasparenza, limitazione del contenzioso. Proposta che, messa a regime, consentirebbe di porre fine alle problematiche causate da un catasto statico e non più efficace quale misuratore della fiscalità immobiliare”.

PRESENTATO IL PRIMO TASSELLO SULLE COMMISSIONI CENSUARIE. Ricordiamo che lo scorso 20 giugno il Consiglio dei ministri ha esaminato in via preliminare lo schema di decreto legislativo sulle commissioni censuarie (LEGGI TUTTO), il primo dei decreti attuativi della riforma del catasto, contenuta nella legge n. 23/2014 (delega fiscale). Sul provvedimento che definisce la composizione, le competenze e il funzionamento delle commissioni censuarie (a norma dell’articolo 2 della legge delega) si sono espressi, tra gli altri, Confedilizia , Mirco Mion, presidente dell’Associazione dei geometri fiscalisti – Agefis, l’Associazione nazionale dei costruttori edili – Ance .

IL RUOLO STRATEGICO DELL’ANAGRAFE IMMOBILIARE INTEGRATA. Con un altro intervento, il presidente di Agefis ha posto l’accento anche sul ruolo strategico dell’Anagrafe Immobiliare Integrata, la quale “può essere un utile strumento operativo nella fase di creazione del nuovo catasto fabbricati” e “può rappresentare il mezzo, in possesso degli enti locali, per poter gestire il territorio in modo sempre più efficace”

lug 29 2014

Riforma del Catasto, il ruolo strategico dell’Anagrafe Immobiliare Integrata

Mirco Mion, presidente Agefis: l’anagrafe integrata “può essere un utile strumento operativo nella fase di creazione del nuovo catasto fabbricati” e “può rappresentare il mezzo, in possesso degli enti locali, per poter gestire il territorio in modo sempre più efficace”

Nel panorama delle notizie sulla riforma del catasto – con il primo decreto attuativo sulle commissioni censuarie esaminato in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 20 giugno scorso – si parla poco dell’Anagrafe Immobiliare Integrata, che però potrà essere un tema caldo dei prossimi decreti legislativi.

Sul tema interviene il presidente di Agefis (Associazione dei geometri fiscalisti), Mirco Mion (nella foto), con un articolo dall’approccio non polemico ma collaborativo e fattivo, pubblicato oggi sul Quotidiano del Fisco del Sole 24 Ore, e che riportiamo.

L’ANAGRAFE IMMOBILIARE INTEGRATA COME ELEMENTO STRATEGICO DELLA RIFORMA. “Ora che l’operazione catasto ha preso il via con il primo decreto attuativosulle commissioni censuarie varato dal Governo, appare assolutamente necessario riconsiderare l’anagrafe immobiliare integrata come elemento strategico di tale riforma.

Il primo testo normativo in cui si fa riferimento alla necessità di costituire un’anagrafe dei beni immobiliari è il Dlgs del 30 luglio 1999, n. 300, in particolare all’articolo 64, interamente dedicato all’agenzia del Territorio. In questo contesto l’anagrafe immobiliare integrata voleva essere un archivio informatizzato dei beni immobili costituito e gestito dal Territorio, che attestava – ai fini fiscali – lo stato di integrazione dei suoi archivi amministrativo-censuari, cartografici, planimetrici e di pubblicità immobiliare.

Passano però più di dieci anni e solo con il Dl del 31 maggio 2010, n. 78 il legislatore torna a occuparsi del tema con l’articolo 19. In questo testo, infatti, viene indicata nel 1° gennaio 2011 la data-obiettivo per l’attivazione, la costituzione e la gestione dell’anagrafe.

La mansione dell’anagrafe immobiliare integrata dovrebbe essere quella di fornire un efficace supporto alla fiscalità immobiliare, per individuare correttamente gli immobili, la relativa base imponibile e il soggetto titolare di diritti reali, in quanto soggetto passivo d’imposta. Inoltre, dovrebbero essere promossi servizi di consultazione integrata, per permettere a istituzioni, professionisti e cittadini di avere a disposizione – in un’unica soluzione – le informazioni catastali (come ubicazione, consistenza, rappresentazione grafica e valore fiscale) e quelle di pubblicità immobiliare (titolarità di diritti reali, ipoteche, eccetera) in modo più immediato di quanto possa avvenire con le distinte modalità di visura. Inoltre, tra i compiti dell’anagrafe dovrebbe esserci quello di attestare, ai fini fiscali, lo stato di integrazione delle banche dati disponibili presso l’Agenzia, per ciascun immobile.

A differenza di quanto prescritto nel Dl 78/2010, l’attivazione dell’anagrafe è poi avvenuta in via sperimentale solamente a partire dal 26 luglio 2012, e presso 117 Comuni individuati sulla base dell’attuale livello di integrazione delle banche dati.

Occorre quindi individuare e potenziare le indicazioni che emergono all’interno della cornice della legge delega per la riforma fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23) in materia di riforma del catasto, e che portano necessariamente a dover rivalutare questo “archivio” nella chiave del decentramento delle funzioni catastali. L’articolo 2, comma 1, lettera a), della delega impone il coinvolgimento dei Comuni – ovvero delle associazioni o unioni di Comuni – nel cui territorio sono collocati gli immobili, assicurando il coordinamento con il processo di attivazione delle funzioni decentrate. Il concetto di decentramento è ulteriormente e fortemente marcato dalla lettera e) e prevede di “valorizzare e stabilizzare le esperienze di decentramento catastale comunale già avviate in via sperimentale, affinché possano costituire modelli gestionali flessibili ed adattabili alla specificità dei diversi territori, nonché semplificare le procedure di esercizio delle funzioni catastali decentrate”.

Nella fase di implementazione dell’anagrafe in linea con quanto previsto dalla delega, un contributo decisivo potrà arrivare da quei soggetti esperti che possano coadiuvare gli organi dell’Agenzia e dei Comuni per mappare e alimentare la banca dati. Ciò in qualche modo è già indicato al comma 3, lettera c), dell’articolo 2 dove si menziona la possibilità di «prevedere per l’agenzia delle Entrate la possibilità di impiegare mediante apposite convenzioni, ai fini delle rilevazioni, tecnici indicati dagli ordini professionali…».

L’anagrafe immobiliare integrata, infatti, può caratterizzarsi, in questo contesto di rinnovamento, in maniera duplice. Da un lato può essere un utile strumento operativo nella fase di creazione del nuovo catasto fabbricati, mentre, dall’altro, può rappresentare il mezzo, in possesso degli enti locali, per poter gestire il territorio in modo sempre più efficace, avendo sempre sotto controllo tutti i dati catastali e ipotecari.”

lug 19 2014

18/07/2014 – La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto-legge n. 90/2014 mi ha offerto qualche giorno fa uno spunto di riflessione sull’utilità della Rete delle Professioni

Tecniche (RPT). Al mio spunto ha risposto presente il Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, nonché Coordinatore della RPT Armando Zambrano che senza mezze misure ha parlato di grande successo per l’organismo che raccoglie 600 mila professionisti dell’area tecnica.

 La risposta di Armando Zambrano

“Ricordo a chi ne mette in discussione l’utilità – afferma Zambrano – che la Rete delle Professioni Tecniche è nata in primo luogo per coordinare la presenza a livello istituzionale degli enti rappresentativi delle professioni tecniche e scientifiche che vi aderiscono. In questo senso ha ottenuto importanti e significativi riscontri, essendo ormai riconosciuta a livello istituzionale come rappresentante delle nove professioni coinvolte. Presentandosi non singolarmente ma come Rete, tutte le professioni tecniche hanno accresciuto la capacità di incidere sui processi anche normativi che le vedevano prima ai margini”.

 Quindi il Coordinatore della Rete pone l’accento, tra gli altri, sul significativo risultato ottenuto in occasione della promulgazione del Decreto n.143 (31 ottobre 2013), recante la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura ed all’ingegneria, da anni atteso da tutti professionisti del settore.

 “Senza l’azione incisiva della Rete delle Professioni Tecniche – rivendica Zambrano – questo decreto non avrebbe mai visto la luce. Oltre a questo sono decine le proposte di legge, gli emendamenti e i documenti elaborati e condivisi in seno alla Rete che hanno trovato grande attenzione in seno alle istituzioni e alle forze politiche, soprattutto perché elaborati da un nuovo soggetto che rappresenta oltre 600 mila professionisti. In questo senso, La Rete ha dato voce unitaria alle istanze di professioni che costituiscono il patrimonio di conoscenze tecniche e scientifiche del paese. Questo è stato ed è un grande successo”.

 “Certamente – conclude Zambrano – occorre fare dei passi avanti. La scelta di formalizzare la nascita di questo nuovo soggetto attraverso la sottoscrizione di un formale statuto e di dare alla nuova associazione un’organizzazione autonoma, negli ultimi mesi è stata rallentata dall’impegno che ci ha visti protagonisti sulle cose concrete. Ma il percorso sta per arrivare a compimento. Nel mese di settembre, ad esempio, la Rete potrà contare su una sede propria e il suo sito Internet è in corso di implementazione. Forse in questi mesi abbiamo più “fatto” che “comunicato”. Questo anche perché, in molti dei tavoli nei quali siamo coinvolti, ci si chiede più di avere contributi concreti che non azioni mediatiche di corto respiro”.

 Le mie considerazioni

Partendo dalla parte finale della risposta e quindi dalla possibilità di migliorare l’attuale situazione, mi chiedo e chiedo al Coordinatore Zambrano:

la promulgazione del decreto n. 143/2013 sulla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara risponde a tutte le perplessità manifestate nell’articolo?

nell’era della comunicazione, del web e dei social network è possibile non associare alle “presunte” azioni concrete anche sufficienti azioni mediatiche che mettano a conoscenza i 600 mila professionisti dell’area tecnica di ciò che sta accadendo?

come mai i singoli Consigli Nazionali hanno avuto il tempo di emettere con assiduità comunicati stampa sui temi più disparati, mentre la RPT non è quasi mai intervenuta?

quali sono i risultati concreti per i professionisti che ogni giorno devono contrastare con una normativa tecnica impazzita, un mercato ridotto all’osso e i continui oneri che il Governo impone (assicurazione, POS, formazione, previdenza,…)?

 Per ultimo, il mio precedente articolo (clicca qui) facendo riferimento al percorso di conversione in legge del D.L. n. 90/2014 chiedeva alla Rete delle Professioni Tecniche e al suo coordinatore di prendere (e rendere nota) una chiara posizione sul problema dell’incentivo del 2% alla progettazione per i tecnici della P.A. La risposta di Zambrano è stata chiarificatrice?

 Pur comprendendo che il problema dell’incentivo sia tale solo in un periodo di “vacche anoressiche” come questo, ci rendiamo conto che i professionisti, oggi più che mai, hanno bisogno di sostegno e di sapere che i propri rappresentanti stanno facendo l’impossibile per difendere i loro (pur ridotti al lumicino) diritti.

 Sarebbe, infine, molto interessante sapere cosa ne pensano della Rete delle Professioni Tecniche anche gli altri protagonisti che ne fanno parte come Leopoldo Freyrie del CNAPPC, Gian Vito Graziano presidente dei Geologi o Maurizio Savoncelli presidente dei Geometri.

 Attendo fiduciosa la risposta del Coordinatore Zambrano. Ilenia Cicirello

lug 12 2014

Incentivo 2% alla progettazione, vittoria dei tecnici della P.A. o mortificazione della PROFESSIONE?

A cura di Ilenia Cicirello

La pubblicazione del D.L. n. 90/2014 ha alzato un polverone per ciò che riguarda l’incentivo del 2% alla progettazione per i tecnici della Pubblica Amministrazione. Nella versione originale del D.L., infatti, sulla scorta di quanto promesso dal Ministro dell Infrastrutture Maurizio Lupi, era stata prevista l’abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 163/2006), non confermata poi nella versione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Il D.L. n. 90/2014 si è, infatti, limitato ad aggiungere il comma 6-bis all’art. 92 del D.Lgs. n. 163/2006 prevedendo che l’incentivo non possa essere corrisposto al personale con qualifica dirigenziale. Troppo poco, forse, considerate le premesse e le promesse del Ministro Lupi alla Rete delle Professioni Tecniche, a cui recentemente aveva espresso la propria contrarietà alle progettazioni interne alla P.A.

Sull’argomento abbiamo chiesto un commento al Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi Gian Vito Graziano che riportiamo di seguito integralmente.

“In questo periodo – ha commentato il leader dei Geologi italiani – si è molto parlato delle funzioni del personale tecnico della Pubblica Amministrazione nelle attività di progettazione e del trattamento economico che ne deriva. Nella fattispecie è nota la posizione della Rete PAT, e quindi anche del Consiglio Nazionale dei Geologi, che, nell’ambito delle iniziative per valorizzare le professioni e per garantire la qualità della progettazione, ha proposto al Ministero delle Infrastrutture ed alla ormai ex AVCP l’abrogazione del comma 6 dell’art. 90 del Codice dei Contratti, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di affidare la redazione dei progetti preliminare, definitivo ed esecutivo ai pubblici dipendenti, potendosi avvalere dei liberi professionisti, sempre più chiusi da un’allarmante crisi del mercato dei servizi, solo in caso di carenza in organico di personale tecnico o in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale”.

“Con la richiesta di abrogazione di questo comma – ha proseguito Graziano – non si intende certo assumere una posizione favorevole agli uni e contraria agli altri, ma piuttosto si vuole conferire dignità ad entrambi e ad un mercato, quello dei servizi tecnici, in profondo declino etico e qualitativo da quando furono abolite le tariffe minime. Ma andiamo per ordine.

Sappiamo tutti che i liberi professionisti sono sempre più chiusi da un’avvilente e quanto mai grave crisi del mercato dei servizi tecnici, come si riscontra dai dati pubblicati dall’osservatorio mensile dei bandi di gara per servizi d’ingegneria dell’OICE o dai dati di qualunque studio di settore, dai cui non si evidenzia peraltro alcun segno di ripresa del mercato. Questo dicono i dati statistici, ma non abbiamo certo bisogno di questi dati per percepire la gravità della situazione: basta infatti osservare la situazione degli studi professionali con i quali quotidianamente ciascuno di noi si rapporta nell’esercizio delle proprie attività, siano essi geologi, ingegneri, architetti o geometri: studi che chiudono, studi che licenziano personale, studi che non danno alcuno spazio ai giovani laureati che chiedono solo di far pratica, studi che non sono più in grado di pagare tasse e contributi previdenziali e di partecipare a gare sempre più selettive”.

“L’abrogazione del comma 6 dell’art. 90 – ha incalzato il Presidente dei Geologi – consentirebbe alle stazioni appaltanti di affidare liberamente i servizi di progettazione a tutti i soggetti di cui all’art. 90 comma 1 (quelli dalla lettera a alla lettera h), consentendo di promuovere un più facile affidamento dei servizi tecnici ai liberi professionisti. Tra le richiesta avanzate dalla Rete PAT c’è anche quella di rilanciare il fondo di rotazione per attingere alle risorse economiche e creare un meccanismo virtuoso che non faccia tornare indietro i finanziamenti per mancanza di progetti.

Dopo le rassicuranti parole del Ministro Lupi alla convention delle professioni tecniche al Teatro Quirino alla presenza di oltre 800 professionisti, era sembrato che questa richiesta di abrogazione, presentata insieme ad un pacchetto di altre misure atte a favorire soprattutto una maggiore concorrenza nel mercato, potesse essere accolta dal Governo, che nella bozza di decreto legge aveva persino abolito il trattamento economico per i tecnici pubblici dipendenti, ovvero il famoso 2% per le spese di progettazione”.

“Una percentuale a dir poco mortificante per i professionisti della pubblica amministrazione, che a fronte di responsabilità civili e penali non indifferenti nel progettare un’opera, di fronte a enormi difficoltà nel progettare all’interno di uffici tecnici quasi sempre privi di qualunque strumentazione tecnica e non di rado persino della carta per fotocopie, si vedono attribuire poco più di una mancia per le loro prestazioni. In quel 2%, è bene ricordarlo, non sono compresi i soli i servizi di progettazione, ma anche la direzione dei lavori, l’incentivo al RUP, l’alta sorveglianza, ecc.”.

“Si pensi ad esempio a certe progettazioni complesse e particolarmente delicate, come la bonifica di una discarica o la verifica sismica di un edificio strategico, dove, a fronte di grandi responsabilità, spetta un compenso di qualche migliaio di euro, da condividere con i tecnici dell’ufficio in funzione del regolamento vigente in quella stazione appaltante.

Per non parlare poi dell’aberrazione, ormai diventata troppo spesso consuetudine, di vedere progetti redatti da professionisti esterni e fatti propri e firmati dai professionisti interni, che dunque se ne assumono seppure impropriamente la piena responsabilità.

Insomma quella della Rete PAT di abolire del comma 6 dell’art. 90 del Codice dei Contratti, non rappresenta né una posizione a favore dei liberi professionisti, né una posizione contro i professionisti della pubblica amministrazione, ma soltanto il tentativo di conferire ai servizi tecnici quella dignità che da troppo tempo manca”.

“Il Governo, che ha fatto un evidente passo indietro rispetto alle suadenti promesse del Ministro Lupi, ha tuttavia escluso, introducendo comma 6 bis in aggiunta all’art. 13 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, che al personale con qualifica dirigenziale possono essere corrisposte somme in base alle disposizioni di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 92 del Codice dei Contratti.

Una soluzione di compromesso, come spesso accade in questo nostro strano Paese.

Ma questa, come altre situazioni, mi spingono da qualche tempo a farmi altre domande: perché mai l’ex AVCP, al di la delle dichiarazioni di condivisione, non ha mai espresso un parere ufficiale, né ha mai portato all’attenzione dei Governi le criticità evidenziate dai Consigli Nazionali, dai Sindacati di categoria, da associazioni varie? Perché si continua a modificare il Codice dei Contratti, ormai divenuto un guazzabuglio in cui non si capisce quale è la norma primaria e quale quella regolamentare, e non si adottano invece senza se e senza ma le nuove direttive europee? Perché l’Antitrust non interviene quando gli si segnala che nella maggioranza dei bandi pubblicati viene richiesto come requisito un numero di addetti superiore a 5, anche per lavori di importo medio-basso, e che non possedendo questo requisito il 97,3% delle strutture professionali è palesemente in atto una chiusura del mercato? Perché le professioni in genere, e quelle tecniche in particolare, non riescono ad incidere, se non marginalmente, nelle scelte politiche?”

“Le risposte possono essere tante, alcune sin troppo semplici. Si pensi alla questione del POS obbligatorio per avere un quadro più chiaro di come stanno le cose e di chi decide. E’ facile e un po’ demagogico far ricadere alcune colpe sul sistema degli Ordini professionali, che certo non sono esenti da errori, ma va dato atto che in questi anni i Consigli Nazionali delle professioni tecniche stiano lavorando insieme ed alacremente per obiettivi comuni, quasi sempre condivisi anche da quella classe politica che poi però se ne dimentica. Allo stesso tempo d’altronde non mi pare che altri organismi, sindacati, federazioni e associazioni, nonostante l’impegno profuso, siano stati più capaci di incidere”.

“Penso allora che sia giunto il momento di fare una riflessione tutti insieme, che parta dai numeri, che sono la nostra forza (non certo quella di noi geologi, ma di tutti insieme), ma che non siamo capaci di far valere. Anche perché in Italia se dici queste cose vieni tacciato per lobbista!”

lug 05 2014

40.000 Architetti e Ingegneri al di sotto della soglia di povertà

04/07/2014 – “Circa 40.000 ingegneri ed architetti (il 27% degli iscritti attivi) versano in condizioni economiche al di sotto della soglia di povertà”. Se non ve n’eravate accorti, adesso dovete crederci per forza, a fare questa affermazione è stata niente meno che l’arch. Paola Muratorio Presidente di Inarcassa, ovvero la tanto discussa Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti.

Nel corso della riunione per l’approvazione del Bilancio consuntivo 2013 si è, infatti, discusso della riforma del sistema pensionistico, delle operazioni a sostegno della professione, ma anche delle condizioni in cui versano gli iscritti Inarcassa nell’ultimo anno. Il comunicato di fine riunione ha parlato di maggiore “flessibilità strategica tipica di un operatore di welfare di elevata qualità, che ha saputo sviluppare importanti servizi mirati alla sicurezza sociale, alla tutela sanitaria e al sostegno della libera professione, in favore di una popolazione cresciuta di numero e tendenzialmente più povera (iscritti: 167.092 di cui 77.597 ingegneri e 89.495 architetti; pensionati: 23.080)”.

 

Ma faranno certamente discutere le dichiarazioni della Presidente Muratorio: “Porre gli associati al centro di tutte le scelte: è questo il nostro impegno e la nostra strategia; da qui – ha spiegato Paola Muratorio – l’introduzione di pensioni minime a favore degli iscritti anziani e le agevolazioni alle contribuzioni per quelli più giovani; il programma di finanziamenti volto a sostenere l’attività dei liberi professionisti in difficoltà; la possibilità di coniugare previdenza, assistenza con altre prestazioni e servizi tipici di un “produttore” di welfare integrato. Un pacchetto di iniziative in cui abbiamo investito 98 milioni di euro per il 2013 a fronte, nello stesso periodo, di 79 milioni di euro di nuove pensioni erogate. Non dobbiamo dimenticare infatti, che circa 40.000 ingegneri ed architetti (il 27% degli iscritti attivi) versano in condizioni economiche al di sotto della soglia di povertà. E’ anche, ma non solo, compito della Cassa contribuire a creare le condizioni perché questi colleghi recuperino accettabili livelli di dignità nel lavoro”.

Non saranno certamente d’accordo molti professionisti che proprio in questi giorni hanno lanciato una nuova petizione per richiedere al Presidente Inarcassa di pagare i contributi previdenziali andando in compensazione con i crediti IRPEF, in modo da non doversi indebitare andando a chiedere in prestito il denaro (clicca qui).

Riportiamo, di seguito, un passaggio del comunicato Inarcassa.

L’articolazione e la completezza degli interventi compiuti hanno consentito risultati superiori alle attese. L’avanzo economico di 787 milioni di euro è dovuto ad una significativa crescita del saldo della gestione previdenziale (606 milioni contro i 518 dell’anno precedente) e testimonia la corretta e prudente conduzione del rapporto tra contributi e prestazioni. Al tempo stesso, il conto economico ha beneficiato del positivo andamento della gestione patrimoniale e della costante riduzione dei costi di struttura derivante dagli ulteriori interventi di efficienza operativa adottati nell’anno. L’incremento del patrimonio netto a 7,3 miliardi di euro ed il rendimento del patrimonio gestito per l’esercizio 2013 costituiscono, in continuità con le politiche gestionali e previdenziali, la migliore garanzia della capacità di erogare servizi adeguati nel lungo periodo.

L’attuale contesto economico sembra tuttora non consentire ottimismi nei confronti del futuro delle professioni. Proprio per questo, così come è stato fatto con l’istituzione di Arpinge, società dedicata allo sviluppo di opere infrastrutturali, Inarcassa proseguirà nel suo impegno mettendo a disposizione competenze e risorse a favore delle proprie categorie professionali e di attività di mercato complementari alla sua missione, rafforzando il proprio coinvolgimento sul piano economico e finanziario nazionale. Solo così potrà contribuire a stimolare la domanda di investimenti e l’assunzione di rischi, variabili queste che consentono una crescita stabile dell’economia del Paese.

lug 02 2014

Architetti e Ingegneri, non avere debiti verso Inarcassa SAREBBE possibile

Non-vedo-non-sento-non-parlo

Architetti e Ingegneri, il Decreto del 10 gennaio 2014 vi agevolerebbe come iscritti a Inarcassa e permetterebbe di compensare il credito d’imposta con i debiti previdenziali.

Esisterebbe quindi un modo che ci permetterebbe di non indebitarci con Inarcassa ma non è ancora stato approvato dalla Cassa di previdenza: Inarcassa non ha proferito parola a riguardo.

Di conseguenza, Federarchitetti è scattata chiedendo una reazione pro Decreto 10 gennaio 2014 dei Ministeri del Lavoro e delle Finanza, che, appunto, consente a tutti gli Enti previdenziali dei liberi professionisti (Inarcassa compreso) di agevolare gli iscritti per compensare i crediti d’imposta con lo Stato con i debiti previdenziali, ferme restando le altre formule di pagamento.

L’agevolazione, per essere inserita a regime, dovrebbe essere preceduta da una modifica del Regolamento Generale deliberata del Comitato Nazionale dei Delegati di Inarcassa.

Federarchitetti, Sindacato nazionale architetti liberi professionisti, ha espresso un’opinione chiara riguardo a questa nuova norma: non è solo opportuna ma anche necessaria, in quanto contribuisce, come hanno già fatto le Casse dei Geometri e dei Giornalisti, ad alleviare il peso economico tra crediti e debiti, tra “l’avere dallo Stato” e il “dare per la Previdenza” e potrebbe consentire a numerosi architetti e ingegneri liberi professionisti, in credito d’imposta, di non doversi indebitare per pagare Inarcassa.

Federarchitetti ha stigmatizzato l’errore compiuto dalla maggioranza dei Delegati di Inarcassa che, supportati dal parere positivo espresso dagli uffici amministrativi interni, hanno fatto finta di nulla ed evitato di trattare l’argomento. Per questo motivo Federarchitetti invita il Presidente di Inarcassa Muratorio e tutti i Delegati a non fare orecchio da mercante e ad approvare la modifica del Regolamento, recependo il Decreto ministeriale.

giu 27 2014

Alcune precisazioni sulla qualifica del formatore alla sicurezza

Il Decreto Interministeriale che stabilisce i criteri di qualificazione del formatore alla sicurezza è in vigore ormai dal 18 marzo scorso.

 Nella nostra attività quotidiana al servizio degli addetti e agli operatori di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ci siamo trovati innumerevoli volte a dissipare dubbi circa la qualifica e quindi la possibilità di effettuare delle docenze in corsi destinati a lavoratori, dirigenti e preposti secondo la disciplina delineata dall’ormai arcinoto Accordo Stato Regioni n° 221 del 21/12/2011.

 

Molto spesso ci pervengono richieste di chiarimento, soprattutto dai membri dei SPP interni alle aziende, che palesano ancora una certa confusione fra i ruoli di RSPP/ASPP e formatore alla sicurezza. Confusione certamente generata dal fatto che spesso il RSPP/ASPP si trova a erogare informazione/formazione in materia di SSL ai lavoratori come naturale esperto aziendale della materia.

 Evidenziamo che ormai il formatore ha ricevuto dal Legislatore una sua connotazione autonoma e differenziata rispetto quella del RSPP/ASPP e che poter procedere alla erogazione di docenze occorre procedere ad una autovalutazione e ad una autocertificazione in merito al possesso dei requisiti.

 Possedere le caratteristiche individuate dall’art. 32 D. Lgs. 81/08 per poter svolgere il ruolo di RSPP/ASPP, non significa automaticamente essere qualificato anche come formatore alla sicurezza, in quanto oltre a caratteristiche di conoscenza della materia, occorre dimostrare anche quelle di esperienza e capacità didattica che la semplice frequenza al percorso formativo RSPP/ASPP (moduli A, B, C) non sono in grado di dare.

La qualifica, come prevista dalla Commissione Consultiva Permanente e confermata dal successivo Decreto Interministeriale, presuppone un mix di elementi che vanno attentamente valutati, registrati e autocertificati.

 Invitiamo pertanto gli addetti ai lavori a confrontare la propria esperienza curriculare con i 6 requisiti delineati dal Decreto in modo da verificare la sussistenza di almeno uno di questi e, in caso positivo, a darne immediata evidenza nel proprio Curriculum professionale.

 

Altro dubbio ricorrente, o falsa credenza, è che basti la frequenza di un corso di formazione dei formatori per poter ottenere la qualifica di formatore alla sicurezza.

 

Certamente la frequenza di un corso specifico è sicuramente auspicabile per chi vuole erogare una attività formativa di livello, ma è d’obbligo precisare che, ai fini della qualifica, tale frequenza concorre solo ad integrare il requisito della capacità didattica e che quindi il soggetto dovrà dimostrare in aggiunta il requisito della conoscenza e dell’esperienza specifica.

 Inoltre il possesso dei requisiti va dimostrato, non in via generale in materia di SSL, ma nello specifico per ciascuna delle 3 aree tematiche individuate dal Decreto.

 Ne risulta che per poter effettuare la docenza in un corso per lavoratori, occorrerà essere qualificati nell’area giuridico-normativa-organizzativa e rischi tecnici-igienico-sanitari, mentre per i corsi preposti e dirigenti la necessità della qualifica si estende anche all’area relazioni.

giu 26 2014

Incentivi alla progettazione. Quali novità per i tecnici dei Comuni? di Lucio Catania

Le anticipazioni di stampa diffuse prima della sottoscrizione del decreto legge 90/2014, da parte del Presidente della Repubblica, evidenziavano la volontà del Governo di abolire gli incentivi del 2% per i tecnici della Pubblica Amministrazione.

Nel lungo (ed anomalo) lasso di tempo trascorso tra l’annuncio dell’approvazione del decreto e la sua sottoscrizione, le cose sembrano essere cambiate.

Il testo finale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ed in vigore da oggi, non prevede più l’abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 163/2006); viene invece aggiunto il comma 6-bis, il cui testo è il seguente:

“All’articolo 92 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 6 è aggiunto il seguente:

’6-bis. In ragione dell’onnicomprensività del relativo trattamento economico, al personale con qualifica dirigenziale non possono essere corrisposte somme in base alle disposizioni di cui ai commi 5 e 6′.

 

La norma contiene, a prima lettura, due evidenti incongruenze.

 

In un Comune, i progetti, anche d’importi molto rilevanti, potranno essere equamente divisi, per valore, tra due soggetti, uno avente la qualifica dirigenziale ed uno che ne è privo. Il secondo dipendente, grazie proprio all’incentivo del 2%, potrebbe maturare una retribuzione complessiva più alta del suo dirigente, a parità d’importo dei progetti redatti e senza avere l’onere e le responsabilità legate alla qualifica dirigenziale.

La seconda incongruenza riguarda coloro che sono incaricati di funzioni dirigenziali, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai sensi dell’art. 109, comma 2, del testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000). La norma parla di comuni privi di qualifica dirigenziale, identica dizione utilizzata dal legislatore del decreto legge n. 90/2014. L’incentivo risulta escluso solo per le qualifiche dirigenziali, per cui sembra che i titolari di posizione organizzativa, nominati dai sindaci ai sensi del comma 2 dell’art. 109, possano continuare a fruire del 2% sull’importo di progettazione.

La ratio della norma, però, è posta nell’onnicomprensività della retribuzione di chi riveste qualifica dirigenziale ed anche i titolari di posizione organizzativa, nei comuni privi di qualifica dirigenziale, dovrebbero avr una retribuzione con natura onnicomprensiva.

giu 17 2014

Architetti: nel mirino dell’Antitrust i software per calcolare le parcelle

Consiglio Nazionale: ‘grave che un’Autorità pubblica rincorra i fantasmi di un inesistente trust di 150 mila architetti’

L’Antitrust ha aperto un’istruttoria nei confronti degli Ordini degli Architetti di Roma, Firenze e Torino per verificare l’esistenza di eventuali intese restrittive della concorrenza.

Sotto la lente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è finito un software per calcolare i compensi professionali, che gli Ordini hanno messo a disposizione degli iscritti sui propri siti web.

Il calcolatore consente al professionista di definire il proprio compenso compilando una serie di voci già predisposte: importo dei lavori da eseguire, relativa classe e categoria, percentuale di spese previste, nonché selezionando le prestazioni che verranno erogate per i suddetti lavori, ottenendo così un valore dell’importo della parcella, calcolato in funzione delle prestazioni che verranno erogate.

Tutti e tre gli Ordini che offrono il servizio specificano nella stessa pagina web che le tariffe professionali sono stateabrogate dal Decreto Bersani (DL 1/2012 convertito nella Legge 27/2012), che il metodo di calcolo costituisce solo uno dei possibili parametri per calcolare il compenso professionale e che l’applicazione di tale metodo di calcolo non è obbligatoria. Per calcolare i compensi, il software utilizza le tariffe professionali vigenti prima del Decreto Bersani.

 

Gli Ordini di Roma, Firenze e Torino – spiega l’Antitrust – essendo enti territoriali rappresentativi di “imprese”, sono delle associazioni di imprese; quindi i servizi di calcolo dei compensi professionali che essi offrono, costituiscono deliberazioni di associazioni di imprese e, pertanto, appaiono definibili come “intese”.

Tali intese – continua l’Antitrust – sono vietate dalla Legge 287/1990, in quanto suscettibili di determinare, favorire o facilitare il coordinamento dei comportamenti degli architetti in relazione alla quantificazione dei rispettivi compensi professionali, con conseguente alterazione della concorrenza.

Infatti, secondo l’AGCM, i compensi risultanti dai calcolatori proposti dai tre Ordini sono idonei a rappresentare per i professionisti un focal point in relazione al comportamento di prezzo da tenere sul mercato. E quando un organismo rappresentativo di imprese individua prezzi di riferimento, anche se non obbligatori, si possono determinare effetti negativi per la concorrenza, alla stessa stregua dei prezzi obbligatori.

Ciò in quanto – aggiunge l’Antitrust – la mera esistenza di prezzi cui far riferimento si presta, da un lato, a facilitare ilcoordinamento dei prezzi fra i prestatori dei servizi e, dall’altro, ad ingannare i consumatori in merito alla misura dei livelli ragionevoli dei prezzi. Si tratta – conclude il documento – di una decisione associativa che rientra tra le principali e più serie restrizioni della concorrenza.

Durissima la replica del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, che ha definito l’apertura dell’istruttoria da parte dell’Autorità “l’ennesima dimostrazione che la bizantina applicazione delle norme in Italia nasconde la consueta politica (e pratica) di essere deboli con i forti, forti con i deboli”.

Secondo il Cnappc, l’atto parte da premesse errate, “clamorosa quella di considerare gli Ordini professionali ‘associazioni d’impresa’” e da “una evidente ignoranza riguardo alla realtà professionale italiana e del suo mercato, dove vige una concorrenza spietata spesso a danno della qualità e della sicurezza dell’abitare”.

“Grave è che, ancora una volta – continua la nota del Cnappc – un’Autorità pubblica delegata a regolare il mercato e proteggere i consumatori, dedichi il suo tempo e le sue risorse a rincorrere i fantasmi di un inesistente trust di 150 mila architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, il cui reddito medio è certificato ormai inferiore ai 20 mila euro annui, mentre i cittadini italiani sono vittime quotidiane di vere intese restrittive della concorrenza e alterazioni del mercato, che spesso abbiamo denunciato e che l’Autorità non vede, o non vuole vedere”.

Tra gli esempi citati dal Cnappc:

- il fatto che il 99% degli architetti italiani siano esclusi dal mercato dei lavori pubblici, “avendo la norma artatamente innalzato le condizioni di accesso”;

- la vendita sul web di prestazioni professionali come la certificazione energetica a 40 euro, “evidenti truffe, vista la mole di lavoro necessaria per certificare opere che danno diritto a bonus fiscali”;

- le attività di dumping ripetute su tutto il territorio nazionale “con la complicità della P.A., in gare con sconti oltre il 90% o addirittura gratuite”.

“E che dire – continua il Cnappc – della limitazione alla concorrenza causata dallo strapotere delle partecipate pubbliche che programmano, progettano, appaltano, dirigono i lavori e se li liquidano, con incarichi diretti, sempre senza strutture adeguate e competenti? Da Expo a Mose, passando perL’Aquila, il G8, il Ponte di Messina, le Città della Salute, il mercato è drogato dallo stesso potere pubblico e politico che nomina Autorità di Vigilanza ‘terze’ che serenamente si dedicano del tutto impropriamente a vessare chi, con chiarezza, informa il consumatore dei suoi diritti, assumendo le proprie responsabilità in un codice deontologico che – con tutta evidenza – l’Antitrust sembra non aver letto”.

“Risponderemo puntualmente alle osservazioni dell’Antitrust – assicura il Consiglio Nazionale – ma esprimiamo pubblicamente la nostra indignazione, in quanto rappresentanti dello Stato responsabili (e non associazione d’imprese), nel verificare che l’Autorità continua ad esercitare i propri poteri alla luce del pregiudizio”.

“Non resta che informare l’Antitrust – conclude il Cnappc – sul fatto che gli Ordini hanno pubblicato ‘fogli’ che calcolano gli emolumenti sulla base di un Decreto del Ministero che li vigila (Parametri bis – DM 143/2013) ed il suggerimento a trascorrere un paio di giornate in uno Studio di architettura di un qualunque luogo italiano per essere meglio a conoscenza della realtà del mercato e della concorrenza, prima di prendere decisioni incongrue”.

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