Categoria: discussione-settimana

nov 08 2014

Architetti: siamo all’emergenza delle città o all’emergenza della professione?

Mentre mi trovo in visita alla Fiera di Rimini, Ecomondo, ricevo una mail direttamente dall’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C. e la mia vena scribacchina non può che esplodere in un turbinio di pensieri il cui unico minimo comune denominatore è: mentre il dottore studia, il paziente muore.

Mentre il Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti Leopoldo Freyrie parla, giustamente di come l’assenza di politiche di rigenerazione urbana delle città stia uccidendo città e habitat, il Ministero dello Sviluppo Economico, insieme alla Banca d’Italia e al Ministero dell’Economia delle Finanze, studiano il modo per riparare al grosso errore fatto in fase di scrittura della norma primaria (D.L. n. 179/2012) e di quella attuativa (D.M. 24/01/2014), che non avevano previsto sanzioni in caso di mancata installazione del P.O.S.

“L’Unione Europea – afferma convinto il comunicato del CNAPPC – deve mettere al centro della propria azione le politiche di rigenerazione urbana sostenibile, uscendo da una visione miope che porta ad investire, prioritariamente, sulle grandi infrastrutture di trasporto, e considerando, invece, secondarie le politiche dell’abitare; tutto ciò senza tenere conto che decine di milioni di europei vivono e lavorano nell’altra Europa, quella non collegata dalle reti veloci, dove tantissime città ricche di storia e dense di vita rischiano di morire perché abbandonate dagli investimenti pubblici e privati”.

Tutto giusto e sacrosanto, mi chiedo però se non sia prima il caso di pensare ai propri iscritti e capire quali problematiche oggi vivono i liberi professionisti italiani.

“L’architettura europea non è solo una grande risorsa culturale e scientifica per l’Unione. E’ anche capace di offrire soluzioni pratiche ai problemi della rigenerazione delle città, dell’ambiente, dell’inclusione territoriale e sociale. Ed è anche in grado di declinare il nuovo paradigma di riduzione del consumo del suolo e di riuso delle aree urbane, affinché le città europee, grandi e piccole, siano adeguate alla contemporaneità che coniuga innovazione, sviluppo e ambiente, senza lasciare che cittadini, comunità e luoghi vengano messi ai margini a causa di strategie macroeconomiche indifferenti alla vita quotidiana e cieche verso il futuro”.

Non si può che essere d’accordo con una dichiarazione che definirei assolutamente “politically correct”. Perché, però, il Presidente del CNAPPC non comincia ad essere un po’ meno correct, pensando a soluzioni pratiche che possano ridare dignità ai suoi iscritti?

Per Leopoldo Freyrie, presidente del CNAPPC “esiste una vera e propria emergenza per le città italiane: serve che il Paese adotti una politica urbana seria e una specifica politica per l’architettura, ma entrambe oggi sono del tutto assenti. Il primo passo è quello di costruire una visione organica e d’insieme capace di generale progetti ambiziosi ma realistici in grado, anche, di fruire di finanziamenti europei. Le risorse comunitarie sono una fonte importante, ma se mancano un disegno complessivo, obiettivi chiari da raggiungere e progetti definiti in ogni loro parte, il Paese non saprà come fruire delle risorse comunitarie e finirà – come spesso succede – di perderle”.

Prima di pensare ad una seria politica urbana, i rappresentanti nazionali delle professioni tecniche dovrebbero prendere seria coscienza dello stato di abbandono dei loro iscritti, della mortificazione che ogni giorno il professionista è costretto a vivere. Purtroppo, però per il CNAPPC “La questione urbana è il principale problema dei governi europei di questi anni e lo sarà anche per i prossimi: la maggior parte della vita delle persone si svolge – e sempre di più si svolgerà – negli agglomerati urbani e l’esaurimento delle risorse energetiche ne segna un destino inimmaginabile anche solo pochi decenni fa: nel mondo, come in Italia, la città e l’habitat sono a rischio “default” e l’allarme è già stato suonato dalle istituzioni internazionali e dai cittadini”.

Oggi mi sento un po’ così, sarà il tempo o la valanga di mail che ricevo da professionisti assolutamente incazzati neri o peggio disperati, fatto sta che i liberi professionisti dell’area tecnica devono cominciare a prendere coscienza di due cose:

la situazione è disperata e non va assolutamente sminuita;

è inutile affidarsi agli Ordini professionali o ai Consigli Nazionali che negli anni hanno solamente dimostrato il loro distacco dai problemi reali della professione.

nov 03 2014

Professioni Tecniche a confronto con il ministro Orlando: al via quattro tavoli di lavoro

In occasione di un recente incontro con il ministro della Giustizia Andrea Orlando, i rappresentanti della Rete delle Professioni Tecniche hanno presentato e illustrato un documento con i temi che i professionisti tecnici italiani considerano più urgenti e che dovranno essere oggetto dell’azione del Governo.

Orlando ne ha recepito l’importanza, incentrando interamente il suo intervento sul documento della Rete e annunciando l’immediata apertura di alcuni tavoli di lavoro.

RIFORMA DELLE PROFESSIONI, NECESSARI ULTERIORI INTERVENTI NORMATIVI. “L’incontro – ha affermato Armando Zambrano, Coordinatore della RPT – ci ha offerto l’occasione per ribadire al ministro Orlando che, sebbene la riforma delle professioni regolamentate abbia avuto un approccio a tratti ideologico, noi della Rete abbiamo sempre condiviso gli aspetti principali del disegno riformatore. Persino di quelli che hanno comportato oneri gravosi e aggiuntivi per i professionisti. Noi, insomma, a differenza di altri, non abbiamo eretto barricate”.

“Al contrario – ha proseguito Zambrano – nel sostenere il processo riformatore, riteniamo che siano necessari ulteriori interventi normativi, sia di ‘contorno’ sia specifici delle singole professioni. Riteniamo che i professionisti debbano adeguare il proprio ordinamento ad una società e una economia aperte, lasciando inalterata la qualità delle loro prestazioni a tutela della sicurezza dei cittadini. Tutela resa oggi difficile dall’attuale quadro normativo, non sempre coerente. A questo proposito, abbiamo illustrato al Ministro Orlando le questioni ancora aperte che meritano un intervento chiaro e urgente”.

 

IL NODO DELLE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI. Uno dei temi “caldi” per i professionisti tecnici italiani è quello delle STP (Società tra Professionisti). “Le professioni aderenti alla Rete – ha detto Leopoldo Freyrie, Presidente degli Architetti – sono sempre state convinte sostenitrici delle società tra professionisti. Soprattutto perché rappresentano l’unica opportunità che hanno i giovani di competere con le società di capitali. Ma diverse questioni restano irrisolte, come, ad esempio, quella relativa alle società tra professionisti multidisciplinari. In generale, a oltre un anno dall’entrata in vigore del Dm 34/2013, le disposizioni che regolano la costituzione delle STP appaiono inadeguate. Non a caso ne sono nate poco più di trecento. Serve un intervento che modifichi e integri la loro disciplina. Inoltre, è indispensabile che i soggetti attivi nel mercato e che seguono altre forme societarie siano sottoposti agli stessi adempimenti delle STP. In caso contrario, continuerebbe a restare inceppato il meccanismo di concorrenza”.

COMPENSI DEI PERITI E DEI CONSULENTI TECNICI NOMINATI DAL GIUDICE. Una questione che si trascina da tempo è quella relativa al compensi dei periti e dei consulenti tecnici nominati dal giudice. “Prendiamo atto con soddisfazione – ha affermato Maurizio Savoncelli, Presidente dei Geometri – dell’impegno del Ministro Orlando di mettere mano ad un provvedimento atteso da tempo. La legge prevede, infatti, che i compensi dei consulenti tecnici siano aggiornati sulla base dell’aumento del costo della vita. Dal 2002, però, tale adeguamento non è mai stato praticato”. “Gli Uffici del Ministero della Giustizia, cui va il nostro ringraziamento – continua Savoncelli – hanno già fatto un grande lavoro sul testo del provvedimento. A questo punto ci auguriamo che con l’impegno preso dal Ministro Orlando si riesca a chiudere finalmente il percorso avviato”.

ELEZIONI DEI CONSIGLI TERRITORIALI. La RTP, poi, ha sottoposto al Ministro Orlando tutta una serie di problematiche inerenti le elezioni dei consigli territoriali, in relazione alle disposizioni del Dpr n.169 dell’8 luglio 2005. “Abbiamo illustrato al Ministro alcune evidenti criticità – ha spiegato Giampiero Giovanetti, Presidente dei Periti industriali – Ad esempio, attualmente la normativa prevede un termine minimo per indire le elezioni ma non un termine massimo: ciò dà adito a contestazioni, ricorsi e iniziative giudiziarie. Sarebbe opportuno, quindi, prevedere anche un termine massimo. Inoltre, a differenza di quanto accade ora, riteniamo che in occasione delle elezioni, se alla prima votazione non è stato raggiunto il quorum, le schede votate debbano concorrere ai fini del calcolo del quorum della successiva votazione. Poi c’è la questione relativa alla trasmissione della scheda elettorale che deve avvenire via fax: chiediamo che si possa utilizzare la casella di posta certificata. Altro intervento necessario è la riduzione del numero dei componenti dei consigli territoriali, decisamente ridondante. Infine, allo scopo di rendere più coerente il quadro complessivo, abbiamo chiesto al Ministro di estendere l’applicazione del Dpr 169/2005 a quelle professioni (Geometri, Periti agrari e Periti industriali) che pur aderendo alla nostra Rete devono rispondere ad un decreto legislativo che risale al ‘44”.

ASSICURAZIONE PROFESSIONALE OBBLIGATORIA. Tra i temi più sentiti dai professionisti tecnici italiani c’è senza dubbio quello relativo all’assicurazione professionale obbligatoria. “Tale obbligo – ha precisato Andrea Sisti, Presidente degli Agronomi – è stato introdotto in un contesto normativo lacunoso che ha reso l’adempimento assai problematico. Tanto per cominciare, all’obbligo per il professionista di stipulare un’assicurazione non corrisponde un obbligo analogo da parte delle compagnie assicurative. Queste, se lo ritengono poco conveniente, possono rifiutarsi di farlo. L’esperienza concreta, poi, ha fatto emergere tutta una serie di problematiche relative alla validità della garanzia e alle cause tipiche di esclusione. In questo senso, la Rete ritiene sia necessario intervenire sulla norma perché preveda un regolamento di attuazione in cui siano chiaramente determinate le caratteristiche della polizza e le modalità di adempimento. Chiediamo, ad esempio, che siano possibili forme collettive di polizza che consentirebbero di proteggere meglio il singolo professionista”.

TESTO UNICO DEGLI ORDINAMENTI PROFESSIONALI. Molto atteso, poi, dai professionisti tecnici è il Testo unico degli ordinamenti professionali. “In larga parte le professioni dell’area tecnica – ha affermato Gian Vito Graziano, Presidente dei Geologi – hanno ordinamenti che risalgono agli anni ’20 e ’30. Ciò rende molto complicata, considerando le norme abrogate, la composizione del quadro normativo. Per questo riteniamo che sia improcrastinabile l’emanazione del Testo unico”.

L’IMPATTO SULLE ISTITUZIONI ORDINISTICHE DELL’ABOLIZIONE DELLE PROVINCE. Un intervento del Governo che ha un impatto sull’organizzazione dei professionisti è l’abolizione delle province. “Questa iniziativa governativa – ha detto Lorenzo Benanti, Presidente dei Periti agrari – comporta la necessità di definire ex-novo l’ambito territoriale ottimale per le istituzioni ordinistiche. A questo proposito è necessario definire criteri specifici che tengano conto del bacino degli iscritti, dei costi economici di gestione, dei collegamenti con gli organi di giustizia. Su questo la Rete chiede al più presto un provvedimento da parte del Governo”.

STANDARD PRESTAZIONALI. Sulla questione degli standard professionali è intervenuto Armando Zingales, Presidente dei Chimici. “L’obbligo per il professionista di pattuire il compenso col cliente al momento dell’incarico, previa presentazione di un preventivo, riduce l’asimmetria informativa tra professionista e committente. Tale asimmetria sarebbe ulteriormente ridotta se il cliente potesse conoscere il processo standard che caratterizza la prestazione. A questo proposito, la Rete chiede un intervento che armonizzi la disciplina e affidi agli Ordini il compito di definire i suddetti standard”.

CODICI DEONTOLOGICI. Il documento illustrato al Ministro Orlando, infine, affronta anche la questione dei codici deontologici. “I Consigli nazionali – ha spiegato Carla Brienza, Presidente dei Tecnologi alimentari – hanno provveduto alla revisione e all’aggiornamento dei codici deontologici delle rispettive professioni. Tuttavia, non tutti gli ordinamenti affidano ai Consigli nazionali la potestà esclusiva e vincolante in materia di revisione e aggiornamento, lasciando agli Ordini e Collegi territoriali un’autonomia di recepimento che rischia di creare disomogeneità nell’applicazione e nella definizione della norma deontologica. La Rete, dunque, chiede un intervento normativo che attribuisca formalmente ai Consigli nazionali degli Ordini e Collegi professionali la potestà esclusiva sul tema, con efficacia vincolante nei confronti degli Ordini e Collegi territoriali”.

PIENA DISPONIBILITÀ DEL GUARDASIGILLI: SUBITO TAVOLI DI LAVORO SU TESTO UNICO, DPR 169, STP E LA RIORGANIZZAZIONE DEGLI ORDINI SU BASE TERRITORIALE IN SEGUITO ALL’ABOLIZIONE DELLE PROVINCE. “Le numerose proposte avanzate – ha dichiarato Armando Zambrano al termine dei lavori – dimostrano come la Rete sia intenzionata ad avviare col Governo un confronto costruttivo sui temi che riguardano il mondo delle professioni. Devo dire che, a questo proposito, il Ministro Orlando ci ha offerto la piena disponibilità. Saranno avviati immediatamente ben quattro tavoli di lavoro su Testo unico, Dpr 169, STP e la riorganizzazione degli ordini su base territoriale in seguito all’abolizione delle province. Inoltre, sulle tariffe degli CTU il Ministro ha promesso l’avvio di un confronto”.

“Esprimiamo soddisfazione per l’incontro e siamo certi – ha concluso Zambrano – che questo confronto permanente ci consentirà di analizzare con attenzione tutte le problematiche e trovare le soluzioni più opportune”.

All’incontro con il Ministro Orlando, in rappresentanza della Rete delle Professioni Tecniche erano presenti i presidenti di tutti gli Ordini aderenti: Armando Zambrano (Coordinatore della RPT e Presidente degli Ingegneri), Leopoldo Freyrie (Presidente degli Architetti), Armando Zingales (Presidente dei Chimici), Andrea Sisti (Presidente degli Agronomi e Forestali), Gian Vito Graziano (Presidente dei Geologi), Maurizio Savoncelli (Presidente dei Geometri), Lorenzo Benanti (Presidente dei Periti Agrari), Giampiero Giovanetti (Presidente dei Periti industriali) e Carla Brienza (Presidente dei Tecnologi alimentari).

ott 29 2014

Tariffe professionali: i minimi sono uno strumento di protezione dei consumatori?

Sembra ieri quel 12 ottobre 2006 quando architetti, ingegneri, geologi, geometri, avvocati, commercialisti e altri esponenti di vari ordini professionali manifestavano a Roma uniti contro il decreto Bersani che con la scusa della “liberalizzazione del mercato” e perché lo “chiedeva l’Europa” ha fatto forse il primo grosso errore nei confronti sia del patrimonio intellettuale italiano e del mercato: eliminare le tariffe professionali.

Non è, infatti, un mistero che da questa mossa siano poi partire una serie di azioni volte principalmente non ad affermare e potenziare uno dei fiori all’occhiello del Paese, ma a demonizzare e massacrare una classe di professionisti che negli ultimi 50 anni era stata invidiata dal mondo intero.

Una decina di giorni fa ho pubblicato un articolo in cui chiedevo il perché dell’eliminazione dei minimi tariffari (clicca qui), rilevando come la Germania il 28 aprile 2009 avesse aggiornato, dopo 14 anni, le tariffe obbligatorie per le prestazioni di ingegneri e architetti (Honorarordnung für Architekten und Ingenieure – HOAI), per poi aggiornarle nuovamente nel 2013.

Come mai uno dei Paesi economicamente più floridi dell’UE procedeva ad aggiornare le tariffe professionali se “l’Europa voleva la liberalizzazione dei mercati”?Semplice, perché l’Europa non ha mai obbligato gli Stati membri ad un’operazione di questa natura e la dimostrazione è data proprio dal Paese più rappresentativo dell’UE.

Giorni fa il presidente del CNI Armando Zambrano, nonché coordinatore della Rete delle Professioni Tecniche (RPT) mi ha inviato una nota in cui ha affermato che “In merito alle tariffe professionali per ingegneri e architetti in Germania, noi con il nostro Centro studi le abbiamo tradotte in italiano proprio per evidenziare ai nostri legislatori che non esiste alcun impedimento europeo al mantenimento di un regime tariffario obbligatorio. Le tariffe tedesche (che sono state ulteriormente aggiornate nel 2013) ne sono una perfetta dimostrazione. Peraltro anche nelle istituzioni europee si afferma con sempre maggiore frequenza che le tariffe possono costituire uno strumento utile alla protezione dei consumatori. I nostri legislatori, nonostante le nostre argomentate sollecitazioni, non hanno per ora mostrato alcun ripensamento rispetto agli interventi di “liberalizzazione” portati avanti negli anni scorsi”.

Considerato che è ormai risaputo che gli eventuali “ripensamenti” dei nostri legislatori sono figli di una potente azione portata avanti dalle varie lobbies che regolano il Paese, ci auguriamo che la Rete delle Professioni Tecniche rappresentando 600.000 professionisti, possa riuscire a far le giuste pressioni, magari anche attraverso un vero e proprio sciopero nazionale, affinché si possa tornare ad avere delle tariffe di riferimento che possano essere utili a ravvivare la categoria ma soprattutto a garantire quella qualità che negli ultimi anni è mancata e che ha danneggiato il mercato più che liberalizzarlo.

Credo sia, infine, utile ricordare come le prime tariffe professionali siano nate in un contesto ben diverso da quello attuale (1949) e che siano state aggiornate nel valore ma mai mutate in funzione delle diversificate esigenze dei professionisti e dei committenti. Se è vero che nei lavori privati le stesse non venivano quasi mai applicate, credo nessuno possa discutere che l’eliminazione dei riferimenti tariffari sia stata la vera pietra miliare cui hanno poggiato tutti i successivi provvedimenti che hanno snaturato e mortificato le professioni tecniche. Dunque mi chiedo: perché non ritornare alle origini, considerato che queste pseudo liberalizzazioni e progressi non hanno portato i tanto desiderati risultati?Guardarsi indietro ed ammettere “abbiamo sbagliato” è forse sinonimo di sconfitta?

Lasciando come sempre a voi l’ultima parola, vi ricordo che i vostri commenti sono preziosi al fine di aprire un dibattito serio e costruttivo che possa portare idee utili. Vi prego, dunque, di evitare discorsi di natura politica, attacchi ed espressioni volgari.

ott 25 2014

Perché in Italia sono stati aboliti i minimi tariffari?

Se c’è una domanda a cui tutti quanti vorremmo una risposta chiara e definitiva è: per quale motivo in Italia sono stati aboliti i minimi tariffari? Una risposta potrebbe essere ”perché è stato stabilito dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”. Ma perché l’allora Ministro dell’Economia Pierluigi Bersani ha ritenuto necessario eliminare i minimi obbligatori?una delle risposte che ho più spesso ascoltato è ”per rispondere alle direttive comunitarie”. Alla mia domanda “quali direttive comunitarie?”, nessuno però sa cosa rispondere.

Diciamo la verità, non esiste nessuna direttiva comunitaria che obbliga gli stati membri dell’UE ad adottare provvedimenti normativi per l’eliminazione delle tariffe e la dimostrazione è data dallo Stato membro principale, la Germania che ha aggiornato il 28 aprile 2009 le tariffe obbligatorie per le prestazioni di ingegneri e architetti (Honorarordnung für Architekten und Ingenieure – HOAI) e son o tutt’ora valide.

Ho, quindi, interpellato il coordinatore della Rete delle Professioni Tecniche Armando Zambrano chiedendo la motivazione che ha spinto l’Italia ad agire in tal senso. La sua laconica risposta è stata ”Perché in Germania sono più seri e ci tengono alla qualità della prestazione”. E guardando come stanno andando le cose, non posso che dargli pienamente ragione.

Se è vero che la crisi economica ha aggravato la situazione di qualsiasi attività, è assolutamente lapalissiano che alcune scelte dell’allora Governo Prodi, continuate fino a quello Monti, sono state demagogiche e penalizzanti per la libera professione. Ma ciò che lascia ancor più perplessi è come l’allora Governo Prodi restò in carica appena due anni (dal 17/05/2006 al 06/05/2008) per poi essere succeduto dal Governo Berlusconi IV (dal 08/05/2008 al 16/11/2011), il cui Ministro della Giustizia Angelino Alfano aveva sin da subito compreso (o forse lo aveva solo dichiarato…sic) la necessità di rivedere il pacchetto di liberalizzazioni approvato nel Governo precedente. Fatto sta che, per chi non lo ricordasse, il Governo Berlusconi IV rimase invischiato in un provvedimenti andati avanti a colpi di voti di fiducia risicati e arrivò al culmine nel novembre del 2011 quando fu rimpiazzato dal Governo tecnico di Mario Monti che sarà ricordato per aver portato a compimento l’opera di demonizzazione delle libere professioni cominciata con Bersani.

A questo punto, considerato che appare evidente come l’eliminazione delle tariffe abbia portato solo problematiche a raffica (vedi il problema degli appalti integrati) mi chiedo per quale motivo la Rete delle Professioni Tecniche, che tanto si sta impegnando per far riacquisire dignità ai professionisti italiani, non si concentri i propri sforzi su quello che potrebbe essere considerato il principio di tutti i mali?

A voi, sempre, l’ardua sentenza.

ott 22 2014

Pesanti accuse a Inarcassa da un suo delegato ed ex Presidente

Il delegato Inarcassa Marcello Conti, ha inviato alla redazione di lavori pubblici.it una lettera che riporto integralmente e che certamente merita la vostra attenzione, oltre che quella dei delegati nazionali e della Presidente Muratorio.

 ”Gentile Presidente Muratorio,

essendo prossima la conclusione di questo quinquennio, desidero puntualizzare alcuni aspetti della gestione che il Consiglio di Amministrazione da Te guidato ha svolto, con innegabili danni portati a Inarcassa ed ai suoi Associati, augurandomi che simili fatti non abbiano a ripetersi in futuro.

Per la verità quando ho lasciato la presidenza di Inarcassa sostenendo la Tua candidatura non pensavo che l’evoluzione, la cosiddetta “svolta” come definita nell’opuscolo celebrativo dei cinquant’anni, sarebbe stata tanto deleteria.

Una serie di fatti ha minato alla base un’attesa crescita del nostro Ente Previdenziale nell’interesse degli Associati.

“In primis” la pessima riforma del 2008 per la quale, non volendo guardare al futuro di Inarcassa, si è soltanto provveduto ad aumentare la contribuzione soggettiva aggravando una situazione già allora pesante per i nostri Colleghi.

Il suggerimento di esaminare la possibilità di introdurre il sistema contributivo, non certo come quello dell’INPS tanto voluto dai Governi che si sono succeduti nel tempo, è rimasto totalmente inascoltato, fino al rigetto delle mie proposte del 2010.

Salvo poi, in ossequio alla richiesta Fornero, frettolosamente imbastire una nuova riforma, introducendo l’assurdo sistema “contributivo – a ripartizione” in cui i contributi versati (il nervo del sistema contributivo) sono capitalizzati in base alla crescita del monte redditi dei Liberi Professionisti in un momento in cui notoriamente tali redditi sono in inarrestabile discesa. Né le previsioni dei Bilanci Tecnici da Voi gestite potevano, con il blocco del numero degli Associati, far prevedere qualcosa di meglio.

Poi la costituzione del fondo immobiliare Inarcassa RE, in mano naturalmente ad organismi esterni a Inarcassa, che non solo ha tolto ai Delegati, e quindi agli Associati, ogni minimo controllo sulla politica immobiliare di Inarcassa, ma ha comportato il conferimento del patrimonio immobiliare a prezzi irrisori, trasformandolo in semplici quote, ad un fondo che, a termine, dovrà essere liquidato completamente. Cioè fra meno di trenta anni Inarcassa non possiederà più immobili se continua questa scellerata politica.

Oggi avete sostenuto ed attuato, con significativo apporto di capitale, la costituzione di Arpinge, ulteriore mezzo per allontanare dai Delegati le scelte di politica degli investimenti, mentre avete fortemente osteggiato, a suo tempo, la proposta di aderire all’operazione “Social Housing” avanzata dalla Cassa Depositi e Prestiti. Sono comportamenti assolutamente antitetici, che si devono interpretare come una costante insofferenza per iniziative che sono proposte da organismi di cui non si detiene personalmente il pieno controllo.

Che dire della Fondazione Inarcassa, accettabile solo nell’ipotesi che vi facessero parte tutte le Organizzazioni rappresentative della professione di Ingegnere e Architetto. Ma Sindacati e Consigli Nazionali sono stati accuratamente tenuti fuori dalla porta, di modo che la Fondazione risulta oggi in pratica il gestore di una sola iniziativa inutile: Inarcommunity.

Su 165.000 Associati Inarcommunity, il social network creato a puri scopi elettorali, raccoglie non più di 7.000 iscritti, a dimostrazione della sua incapacità di risvegliare l’interesse dei Colleghi.

Abbiamo suggerito di abbandonare l’idea della Fondazione, e quindi di Inarcommunity, riversando tutte le risorse in un vero sostegno ai Professionisti. La proposta è stata bocciata.

Abbiamo evidenziato il chiaro conflitto d’interessi generato dall’appartenenza del legale rappresentante di Inarcassa a Consigli di Amministrazione, persino con la responsabilità di presiederli, di società di capitale di cui Inarcassa stessa è socio di minoranza. La nostra osservazione è stata del tutto trascurata, persino dal Collegio dei Revisori dei Conti, secondo il quale sarebbe sempre il Comitato dei Delegati a decidere il comportamento in assemblea del rappresentante di Inarcassa, puro esecutore. Evento mai verificatosi.

Siamo stati costretti a dare voto contrario ai bilanci di previsione ed ai conti consuntivi di Inarcassa per le errate ipotesi di base ed il mancato ottenimento dei risultati previsti. Una per tutte la gestione del patrimonio mobiliare. I rendimenti effettivi, cioè di quanto si è accresciuto il patrimonio al netto dei contributi e dei costi d’esercizio, non hanno mai superato il due e mezzo per cento, a fronte di un’entità gestita che ora raggiunge i sette miliardi di euro.

Ora, come chiaro “scoop” elettorale, si propone di capitalizzare i contributi versati al tasso composto del quattro e mezzo per cento. Ma se fossero state vere tutte le speculazioni dei bilanci tecnici e le proiezioni sulla sostenibilità a trenta e cinquanta anni, con un “debito latente” oscillante tra dieci e trenta miliardi, come si potrebbe oggi fare una simile proposta? Propendo per l’erroneità delle assunzioni di base dei bilanci tecnici e per il riconoscimento del fatto che il rendimento di un patrimonio di sette miliardi non può attestarsi all’uno e mezzo per cento, tasso minimo attualmente garantito. Quindi siamo ben lieti dell’attuale proposta, che approviamo incondizionatamente, certi che una diversa politica finanziaria di Inarcassa potrà dare i risultati attesi. Non senza denunciare l’inutilità e la dannosità delle riforme sin qui approvate su proposta del Consiglio di Amministrazione da Te presieduto.

In conclusione, esprimo tutto il mio disaccordo nei confronti del comportamento di un Consiglio di Amministrazione che in questi ultimi anni ha ingiustamente deteriorato i rapporti con il Comitato dei Delegati, unici rappresentanti degli Associati ad Inarcassa, e proposto ed attuato una gestione diametralmente opposta agli interessi degli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti che, per legge, sono i veri diretti interessati ad un sostenibile futuro di Inarcassa.

Quindi mi auguro che nuove forze, con diverse visioni, si apprestino a governare Inarcassa in futuro, nel solo ed esclusivo interesse degli Associati.

Saluti

Il Delegato Ingegneri di Udine

dr. ing. Marcello Conti”

ott 14 2014

Rete delle Professioni Tecniche (RPT): cos’è, chi rappresenta, da chi è finanziata? A cura di Gianluca Oreto – @lucaoreto

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Se dovessi scegliere una domanda che nell’ultimo periodo ha accomunato la quasi totalità delle professioni tecniche, non avrei alcun dubbio: cos’è la Rete delle Professioni Tecniche?

Da poco più di un anno, infatti, i professionisti dell’area tecnica hanno cominciato ad avere confidenza non solo con i comunicati dei propri Consigli Nazionali, ma anche quelli di un nuovo organismo che dovrebbe rappresentarli tutti sotto un unico ombrello: la Rete delle Professioni Tecniche (RTP). Al fine di chiarirci meglio le idee, abbiamo contattato direttamente il coordinatore della RTP, nonché Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri Ing. Armando Zambrano che, molto gentilmente, ci ha inviato una copia ufficiale dello Statuto (allegato all’articolo) e risposto ad alcune nostre domande.

 Riportiamo di seguito le nostre domande e le risposte dell’Ing. Zambrano.

 Da chi è formata la RTP?

“La Rete delle professioni tecniche (RPT), è stata costituita il 26 giugno 2013. Fanno parte della Rpt: il Consiglio Nazionale degli Ingegneri; il Consiglio Nazionale dei Geologi, il Collegio Nazionale dei Periti agrari e Periti agrari laureati; il Consiglio Nazionale dei Chimici; il Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali; il Consiglio nazionale Geometri e Geometri laureati; il Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti Industriali laureati e il Consiglio nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. La Rpt rappresenta, attualmente, oltre 600 mila professionisti tecnici”.

 

Chi elegge gli associati che rappresentano i Consigli Nazionali e Collegi in seno alla RTP?

“Non sono previsti meccanismi elettivi. L’assemblea della Rpt è, infatti, costituita per statuto dai presidenti dei rispettivi Consigli Nazionali e Collegi. Ogni presidente può delegare a rappresentarlo in assemblea un proprio consigliere nazionale”.

 

Chi ha autorizzato i Consigli Nazionali e Collegi a partecipare alla RTP?

“I Consigli nazionali e i Collegi, sono stati autorizzati a costituire e a prendere parte alla Rpt sulla base di proprie delibere consiliari”.

 

Quali sono gli obiettivi della RTP?

Le finalità della Rpt, come indicato nello statuto sono quelle di:

a) coordinare la presenza a livello istituzionale degli enti rappresentativi delle professioni tecniche e scientifiche, assicurando che essa sia adeguata al ruolo preminente di tali professioni nel contesto economico e sociale in cui operano;

b) promuovere e incentivare l’utilizzo delle conoscenze tecniche e scientifiche del settore nell’intero territorio nazionale, affinché le attività riconducibili alle professioni dell’area tecnica e scientifica siano coerenti con i principi dello sviluppo sostenibile e della bioeconomia;

c) promuovere l’integrazione delle professioni dell’area tecnica e scientifica nella società civile per rispondere sollecitamente a tutte le sue esigenze;

d) elaborare principi etici e deontologici comuni;

e) fornire consulenza e assistenza agli Associati;

f) promuovere politiche globali riguardanti le costruzioni, l’ambiente, il paesaggio, il territorio e le sue trasformazioni, le risorse e i beni naturali, i rischi, la sicurezza, l’agricoltura, l’alimentazione;

g) promuovere il coordinamento interprofessionale per la formazione di base e l’aggiornamento continuo, anche in relazione ai rapporti con il mondo accademico;

h) promuovere la regolazione ed autoregolamentazione delle competenze professionali anche mediante un tavolo permanente di concertazione e arbitrato;

i) rappresentare, per competenza, il settore delle professioni tecniche e scientifiche, nei limiti dello Statuto, nei confronti delle istituzioni e amministrazioni, delle organizzazioni economiche, politiche, sindacali e sociali, incluse le associazioni di categoria relative a professioni non appartenenti all’area tecnica scientifica;

j) organizzare conferenze professionali, simposi e ogni altro evento utile a promuovere e diffondere le conoscenze tecniche e scientifiche dei diversi settori di competenza;

k) creare le condizioni per il reciproco sostegno e la proficua collaborazione tra le professioni dell’area tecnica e scientifica e tra queste e il mondo della ricerca scientifica e tecnologica, anche attraverso il coordinamento dei Centri studi e commissioni ad hoc per tematiche di interesse comune, ed eventualmente con la costituzione di un Centro Studi comune;

l) promuovere, anche a livello legislativo, l’innovazione della normativa del settore”.

 

Chi finanzia il rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento dell’incarico?

“Il Regolamento, che dovrà disciplinare le modalità di rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento dell’incarico, non è stato ancora emanato. Tuttavia, in attesa dell’emanazione del regolamento, l’assemblea della Rpt ha deliberato che il rimborso delle spese sia, per ciascun componente dell’Assemblea, a totale carico dei rispettivi Consigli nazionali”.

 

Com’è possibile controllare l’operato della RTP?

“I singoli presidenti relazionano, sull’operato della Rpt, ognuno ai rispettivi Consigli i quali esercitano così la funzione di controllo”.

 

A che punto sono i lavori per la realizzazione di un sito web istituzionale?

“Il sito web, raggiungibile al seguente indirizzo www.reteprofessionitecniche.it, sta per essere ultimato. La struttura del sito è pronta e ogni singolo consiglio nazionale o collegio sta provvedendo a caricarne i rispettivi contenuti di competenza. A partire dal 1 novembre 2014 verrà poi aperta la sede della Rete, in Via Barberini 68 int.7 a Roma”.

 

Dopo aver letto, statuto e risposte del numero uno della RTP, mi piacerebbe ricevere l’ultimo bilancio della RTP, sapere quali sono le indennità per tutte le cariche, ma soprattutto capire per quale motivo, in un momento particolare come questo e, perché no, anche per dare un segnale ai 600.000 mila professionisti rappresentati, non si è deciso di utilizzare a rotazione una delle sedi dei Consigli Nazionali associati piuttosto che aprirne una nuova che (naturalmente) comporterà dei costi che, è utile ricordare, sono coperti da tutti gli iscritti agli ordini. Ho già inviato queste ultime domande all’Ing. Zambrano e attendo le sue risposte.

 A cura di Gianluca Oreto – @lucaoreto

ott 08 2014

La responsabilità del professionista. Esaminiamo le "obbligazioni di mezzi" ovvero obblighi e responsabilità di consulenti o professionisti che forniscono un’opera intellettuale. Cristina Liberti

Il carattere principale dell’obbligazione del professionista consiste nel porre in essere una attività strumentale al perseguimento dell’interesse del creditore – cliente. Rispetto a tale contenuto l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza si è concentrata su quella particolare categoria di obbligazioni che è convenzionalmente definita come “obbligazioni di mezzi” e che si suole contrapporre alla diversa categoria individuata nelle “obbligazioni di risultato“.

=> Consulenti in azienda: nessuna responsabilità fiscale

Obbligazioni di mezzo

La differenza sostanziale tra le due tipologie di obbligazioni in oggetto va inquadrata nel fatto che quando si chiede ad un professionista di prestare le proprie capacità professionali per la tutela di un interesse, non si può pretendere, a differenza di quanto accade nelle obbligazioni di risultato, che questi raggiunga il risultato e quindi soddisfi le speranze del cliente, ma si potrà solo pretendere che egli adotti quella diligenza che la fattispecie richiede usando tutto il suo bagaglio di esperienze e cognizioni, onde tentare di risolvere al meglio il problema; pertanto, la prestazione del professionista rientra nell’ambito dell’obbligazione di mezzi. Infatti l’opera prestata da quest’ultimo, essendo relativa solo a prestazioni intellettuali attraverso il mezzo del sapere, non può essere mirata al raggiungimento di uno scopo come risultato, ma solo al tentativo di raggiungerlo, essendo questo in ogni caso influenzato da elementi esterni molte volte imponderabili. La Corte di Cassazione (Cass. Civile, sez. II, 08.08.2000, n. 10431) ha sottolineato che:

«le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista assumendo l’incarico si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo».

=> Assicurazione professionale: quando scatta l’obbligo

Ne deriva che l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza per il quale trova applicazione, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del “buon padre di famiglia”, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176 secondo comma c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata.

La diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, ovvero la diligenza posta nell’esercizio della propria attività da un professionista di preparazione professionale e di attenzione medie. Questo, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità del professionista è attenuta configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave.

Colpa grave

La nozione di colpa grave in campo professionale comprende:

gli errori che non sono scusabili per la loro grossolanità;

le ignoranze incompatibili con il grado di addestramento o di preparazione che una data professione richiede oche la reputazione del professionista da motivo di ritenere esistenti;

la temerarietà sperimentale ed ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari che il cliente affida alle cure del prestatore d’opera intellettuale.

set 29 2014

Una gestione separata per Inarcassa, lettera al Ministero del Lavoro

L’Inarcassa scrive al Ministero del Lavoro per istituire una Gestione separata al suo interno. L’idea è assorbire le contribuzioni di 36mila architetti e ingegneri costretti a versare contributi per attività libero professionali alla Gestione separata INPS, in quanto contemporaneamente sono titolari di contratti di lavoro subordinato.

La lettera

«Circa 36.000 architetti ed ingegneri, iscritti ai rispettivi Albi professionali, che sono titolari di contratti di lavoro subordinato, esercitano anche la libera professione e per tale attività sono iscritti alla Gestione Separata INPS».

«Tali soggetti, in virtù delle norme e della disciplina statutaria e regolamentare di Inarcassa vigenti, non soddisfano, infatti, i requisiti di iscrivibilità ad Inarcassa, poiché in ragione del rapporto di lavoro subordinato in essere sono “iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie”».

«È, quindi, emersa l’esigenza di valutare la possibilità che Inarcassa provveda ai compiti di previdenza ed assistenza anche a favore di tale categoria di ingegneri ed architetti, tramite l’istituzione di una apposita Gestione separata presso Inarcassa, riservata agli ingegneri ed architetti che esercitano la libera professione, in via non esclusiva, in quanto titolari di un rapporto di lavoro subordinato».

«Gli scriventi, prima di procedere agli atti propedeutici, chiedono ai Ministeri in indirizzo di indicare la disciplina applicabile alla eventuale costituenda Gestione in parola, gli obblighi gravanti sugli iscritti, con particolare riferimento alla aliquota contributiva applicabile, e le prestazioni previdenziali e le tutele assistenziali ai medesimi erogabili».

set 27 2014

Dissesto idrogeologico, continua l’appello di Ance, Architetti, Geologi e Legambiente

A cura di Ilenia Cicirello

E’ partita lo scorso 6 febbraio e da lì non si è più fermata. Sto parlando di #DissestoItalia, la prima grande inchiesta multimediale frutto della rete creata da costruttori, professionisti e ambientalisti e realizzata dai giornalisti di Next New Media per denunciare le cause e le dimensioni del dissesto idrogeologico in Italia ma soprattutto per proporre soluzioni concrete e condivise.

 Il nuovo appello è stato lanciato ieri con un nuovo comunicato in cui si richiede maggiore coraggio da parte del Governo con una politica che realmente intervenga su una situazione ormai stagnata da anni. “Il Piano di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico deve partire subito e devono essere spese in tempi brevi le risorse che da anni sono bloccate”.

 

“Bene ha fatto il Governo, sin dal suo insediamento, a riaccendere l’attenzione su questo tema e ci auguriamo che l’unità di missione, coordinata da D’Angelis, riesca ad attuare una concreta azione di mitigazione del rischio su tutto il territorio nazionale, mettendo in campo subito i 2,5 miliardi di euro chiusi nei cassetti della pubblica amministrazione”.

 

Il reperimento delle risorse è un punto fondamentale ma è anche importante mettere in atto un’efficace politica di prevenzione e difesa del suolo, che non si limiti a interventi puntuali di messa in sicurezza ma che ragioni a scala di bacino idrografico puntando alla riqualificazione e alla rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e del territorio. Territorio diventato oggi sempre più vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici anche a causa di una cattiva gestione e di un’intensa urbanizzazione molto spesso abusiva che ha coinvolto anche le aree a maggior rischio, come hanno dimostrato anche i tragici eventi di questi giorni. La cabina di regia nazionale dovrà quindi garantire che gli interventi siano ispirati a un modello di efficacia ambientale ed economica e trasparenza delle procedure.

 

Ance, Architetti, Geologi e Legambiente ricordano, inoltre, che due mesi fa “abbiamo consegnato a Palazzo Chigi direttamente nelle mani del Sottosegretario Delrio una petizione popolare che continua a raccogliere migliaia di firme, ma l’autunno è alle porte e i cantieri della manutenzione non sono ancora partiti”.

 

“La rete di società civile, professionisti e costruttori è pronta per fare la propria parte, ma la risposta dello Stato deve essere adeguata alla drammaticità degli eventi: non possiamo più permetterci ulteriori attese né risorse col contagocce. C’è bisogno di un’assegnazione di fondi che sia strutturale e continuata e un’esclusione di questi interventi dal patto di stabilità”.

 Servirà a qualcosa questo nuovo appello?francamente visti i precedenti il dubbio lacera i miei pensieri anche se la speranza è rimane viva nel mio cuore.

set 25 2014

Nuovo attacco agli ordini professionali. La replica della Rete delle Professioni Tecniche

Con un editoriale pubblicato sul Corrieredella Sera lunedì 15 settembre 2014, il prof. Ernesto Galli della Loggia ha annoverato la regolamentazione delle professioni ordinistiche e “la chiusura corporativa degli ordini professionali” tra gli obiettivi e gli ostacoli che si frappongono al disegno riformatore avviato dal Governo del Presidente del Consiglio Matteo Renzi.Ieri è arrivata la replica della Rete delle Professioni Tecniche attraverso una lettera firmata dal Coordinatore Armando Zambrano. “Il prof. della Loggia – scrive Zambrano – dimentica che le professioni ordinistiche sono state già oggetto, negli anni 2011-2012, di un radicale intervento riformatore. Questo ha comportato la definitiva abrogazione delle tariffe; l’introduzione dell’obbligo dell’aggiornamento professionale continuo e dell’assicurazione professionale; l’obbligo della definizione di un preventivo di massima, propedeutico all’avvio dell’esecuzione della prestazione; la liberalizzazione della pubblicità informativa; la terzietà degli organismi disciplinari attraverso la loro separazione dagli organismi amministrativi elettivi degli Ordini e Collegi. A ciò si aggiunga l’assenza di limiti all’accesso (presenti solo per la professione di notaio), un sistema elettorale fondato sulle preferenze e l’incandidabilità dopo due mandati, un sistema previdenziale totalmente autofinanziato che garantisce un sostenibilità a 50 anni”.

ITALIA ALL’AVANGUARDIA NELLE REGOLE PER LE PROFESSIONI. “Gli ultimi interventi riformatori – prosegue Zambrano – pongono l’Italia all’avanguardia, nel panorama europeo e mondiale, per la regolamentazione delle professioni. Interventi che hanno comportato costi e oneri aggiuntivi non indifferenti in capo ai professionisti (soprattutto per quanto concerne aggiornamento continuo e polizza professionale), in un contesto che vede i redditi professionali in drammatica contrazione”.

ATTESO IL COMPLETAMENTO DEL DISEGNO RIFORMATORE CON L’EMANAZIONE DEL TESTO UNICO. Il Coordinatore della RPT sottolinea come “i professionisti, in particolare quelli tecnici, non solo non si sono frapposti né hanno fatto barricate contro la loro introduzione, ma attendono da tempo il completamento del disegno riformatore con l’emanazione del Testo Unico che deve raccogliere le disposizioni aventi forza di legge non abrogate, nonché la modifica delle disposizioni che regolano la costituzione delle Società tra Professionisti (STP). La possibilità di organizzare la propria attività in forma societaria è, infatti, imprescindibile per poter operare in un mercato dei servizi professionali sempre più affollato e competitivo”.

COINVOLGERE I PROFESSIONISTI NELLA PROGRAMMAZIONE E PROGETTAZIONE DEGLI INTERVENTI FINANZIATI CON FONDI UE. Zambrano, inoltre, ricorda come i professionisti italiani attendono che – come già accade in Europa – Parlamento, Governo ed Enti locali li coinvolgano, ad esempio, nelle attività di programmazione e progettazione degli interventi finanziati con i fondi europei. Garantendo ad essi una “parità di trattamento”, rispetto agli altri operatori economici e ascoltandoli, quando, come ha fatto la Rete delle Professioni Tecniche, elaborano proposte di semplificazione incentrate sul principio di sussidiarietà.

“Un cambiamento di approccio – conclude Zambrano – che sarebbe reso più agevole se anche i media guardassero agli Ordini professionali alla luce dei profondi rivolgimenti che hanno interessato questo importante comparto dell’economia nazionale negli ultimi anni”.

set 17 2014

Presente e Futuro degli Ingegneri al Congresso Nazionale

Il presente non è certo dei più rosei, il futuro non ha ancora basi solide ma la speranza è l’ultima a morire e al consueto Congresso Nazionale degli Ingegneri, tenutosi quest’anno a Caserta dal 10 al 12 settembre 2014, si è parlato di presente e di futuro riconoscendo che fino ad oggi le aspettative del mondo ingegneristico (e qui mi sento allargare la platea) sono state completamente deluse. “Noi ingegneri crediamo ancora fortemente nel nostro Paese conoscendone bene le potenzialità, la qualità dei suoi abitanti, l’attrattività del suo territorio e delle sue risorse culturali uniche al mondo, ma, permettetemi, anche la qualità e competenza dei suoi professionisti, ancora di più oggi dopo la riforma. Ma purtroppo conosciamo del Paese anche i difetti: individualismo, un sistema politico e amministrativo bloccato, un’amministrazione pubblica frenata da tanti enti spesso in conflitto tra loro, una burocrazia invadente ed autoreferenziale, un apparato produttivo debole, una giustizia lenta ed inefficiente”. Riprendo questo passo tratto della Relazione di apertura del Presidente Armando Zambrano, è possibile rilevare come le aspettative degli Ingegneri restano immutate anche a fronte di una considerazione prossima allo zero di chi Governa il Paese.

 

Pur rilevando, infatti, la maggiore attenzione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri e più in generale dei consigli nazionali delle professioni tecniche verso la politica e l’attività legislativa, è, purtroppo, lapalissiano che non si è riusciti a scalfire il sistema con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

 

Interessante è la parte della relazione introduttiva di Zambrano in cui afferma “Solo in Italia, i professionisti hanno gli obblighi che riassumo molto rapidamente, anche a dimostrazione di come siamo ormai molto più avanti sui temi dell’efficienza e della concorrenza rispetto ad altre categorie di lavoratori, sia imprenditori sia autonomi sia dipendenti”. E qui elenca:

la formazione continua;

l’assicurazione professionale;

la libertà di fare pubblicità dei propri studi professionali;

l’obbligo di formalizzare, prima dell’incarico, il preventivo delle attività da svolgere.

 

Entrando nel dettaglio, è possibile però evidenziare alcune problematiche non trattate nel corso delle giornate a Caserta ma che meriterebbero maggiore attenzione.

 

Formazione continua

Non volendo entrare nel merito della piattaforma informativa e delle procedure di certificazione delle società di formazione messe a punto dal CNI, appare evidente come la formazione continua non può essere sinonimo di qualità. Il regolamento degli Ingegneri prevede che per esercitare la professione l’iscritto all’albo deve essere in possesso di un minimo di 30 CFP e che al termine di ogni anno solare vengono detratti 30 CFP dal totale posseduto. Gli ingegneri sono quindi obbligati a frequentare corsi che gli consentano di ottenere il monte premi di 30 CFP ogni anno. Fin qui sembrerebbe tutto OK, purtroppo però è necessario capire che nella maggior parte dei casi un ingegnere (ad esempio) strutturista non troverà mai ogni anno corsi che gli interessano e sarà costretto a frequentare (e quindi perdere tempo) corsi che interessano la sua sfera professionale solo per ottemperare all’obbligo della formazione continua. E’ vero che la psicotica attività legislativa del nostro Paese impone ritmi serrati all’aggiornamento, ma è pur vero che nelle professioni tecniche generalmente la qualità e la formazione pagano sempre e un professionista scarso e poco aggiornato non ha vita facile nel mercato. Perché, dunque, non lasciare (come prima) l’incombenza dell’aggiornamento alla professionalità e capacità del tecnico?

 

Assicurazione professionale

Qui non voglio dilungarmi troppo perché ritengo sia corretto che un professionista di qualsiasi sfera stipuli un assicurazione, ma la domanda che mi pongo è: in cosa l’assicurazione rende più efficiente il professionista?

 Libertà di fare pubblicità dei propri studi professionali

Anche su questo punto c’è poco da dire se non che questa libertà unita all’incertezza di una parcella non più legata a dei minimi tariffari hanno creato un effetto distorsivo nel mercato causando un notevole danno alla professione. Oggi è possibile comprare molte prestazioni professionali direttamente su siti quali Groupon o sui social network. Il mercato ha, infatti, indirizzato i professionisti non più a curare le sfaccettature della propria attività (come l’aggiornamento) ma a cercare nuove tecniche di marketing per trovare nuovi clienti. Personalmente ritengo triste vedere come ci siano molti ingegneri che guardano a sé stessi come un brand e non più come professionisti.

 

Obbligo di formalizzare, prima dell’incarico, il preventivo delle attività da svolgere

Qui credo si sia perso troppo tempo. Un preventivo e una lettera d’incarico sono, infatti, fondamentali per tutelare il professionista.

 

Su alcuni di questi obblighi il presidente Zambrano ha affermato “La temuta diaspora degli ingegneri dopo l’introduzione dell’obbligo della copertura assicurativa e dell’aggiornamento della competenza professionale appare per il momento scongiurata”. Su questa affermazione mi piacerebbe che il Centro Studi degli Ingegneri facesse una ricerca sulla situazione economica degli Ordini professionali rilevando non solo gli iscritti ma anche e soprattutto la situazione debitoria degli ingegneri italiani ovvero quanti iscritti all’ordine pagano realmente la quota associativa annua?.

A cura di Ilenia Cicirello

set 11 2014

Rapporto Unioncamere: nel secondo trimestre 2014 Umbria soffocata dalla recessione

Si riacutizza la crisi dell’economia umbra. La regione fatica più di altre aree del Paese ad uscire dalla fase recessiva. Lo dicono i numeri dell’ultima indagine congiunturale di Unioncamere Umbria sulle imprese manifatturiere e commerciali, relativa al secondo trimestre 2014. Sono i dati ufficiali più recenti a disposizione. In generale, vanno meglio le aziende più grandi e strutturate. Le piccole e piccolissime imprese sono ancora immerse nella durissima crisi. Qualche luce arriva dai mercati esteri dove il segno positivo è comune in tutte le attività economiche anche se il rallentamento, rispetto alle performances dei mesi precedenti, appare evidente. Sulle cifre negative pesano le incertezze del polo ternano dell’acciaio che di certo condizionano le statistiche generali. Ma la battuta d’arresto appare comunque brusca, dopo una lunga sequenza di trimestri i cui risultati sembravano presagire un’imminente uscita dal periodo più difficile. Giorgio Mencaroni, presidente di Unioncamere Umbria avverte: “Di fronte a una situazione così grave occorre una risposta comune ed eccezionale di tutte le istituzioni politiche ed economiche. E’ urgente far ripartire un ciclo positivo di investimenti pubblici e privati. A partire dal settore dell’edilizia che può ridare forza a tante piccole e piccolissime imprese del nostro territorio. Le banche devono aiutare di più le aziende. Dal governo centrale ci aspettiamo che vengano liberate risorse finanziarie vitali per le imprese. E che si punti con decisione ad una vera semplificazione burocratica”. Brusca frenata del comparto delle industrie alimentari, che si era segnalato come il settore con la migliore dinamica per la lunga serie di risultati positivi, accusa un brusco stop in termini produttivi con un calo del 2,1% rispetto al corrispondente trimestre del 2013, mentre a livello nazionale il comparto fa registrare una situazione di stazionarietà. Inevitabilmente anche il fatturato ha seguito questa improvvisa inversione di tendenza accusando un calo del 2,8%. Sul fronte del mercato estero rimane il segno positivo ma si è ridotta notevolmente l’intensità della crescita passando dal + 4,5% del primo trimestre 2014 al +0,4% del secondo nei confronti degli analoghi periodi del 2013. Le previsioni per il trimestre successivo sono orientate prevalentemente ad una situazione di stazionarietà con una leggera prevalenza delle aspettative di crescita che si fanno più consistenti sul fronte degli ordinativi, soprattutto quelli provenienti dal mercato estero.

set 11 2014

“Geologi, non per caso”, studiosi italiani portano in teatro i temi dell’Expo

Perché si pensa che una città intelligente, una cosiddetta “smart city”, sia quella in cui è possibile trovare parcheggio con un’app per telefonini, e non quella che punti invece a privilegiare l’equilibrio con il territorio? Perché l’umanità è figlia dei disastri naturali e, come tutti i figli, ama i propri genitori mostrando attrazione per le catastrofi, anziché esserne terrorizzata? Cosa succede se un mare evapora, come accaduto al Mediterraneo milioni di anni fa in seguito alla chiusura dello Stretto di Gibilterra? Sono alcuni degli interrogativi cui cercheranno di dare una risposta i geologi di tutto il mondo riuniti questa settimana a Milano, nella sede dell’Università degli Studi, per il convegno “Il futuro delle geoscienze italiane”, organizzato dalla Società geologica italiana (Sgi) e dalla Società italiana di mineralogia e petrologia (Simp), le due principali società scientifiche di scienze della Terra in Italia.

Proveranno a rispondere con il rigore della scienza, illustrando i dati delle ultime ricerche. Ma anche in forma di spettacolo, con un curioso esperimento divulgativo di geologia teatrale gratuito e aperto al pubblico, intitolato “Geologi, non per caso”. “Si tratta di sette brevi monologhi di sette minuti ciascuno in cui alcuni geologi, improvvisatisi attori, simpaticamente disturbati da Patrizio Roversi – ideatore insieme a Susy Blady del programma televisivo “Turisti per caso” – illustreranno in chiave ironica le numerose ricadute della geologia sulla vita quotidiana – spiega Stefano Poli, scienziato della Terra all’Università degli studi di Milano e uno dei sette attori per caso -. Nel mio intervento all’interno dello spettacolo teatrale cercherò in breve di spiegare come, partendo dalla conoscenza delle rocce, l’uomo sia passato dal correre su ruote di pietra, come quelle delle macine, a realizzare materiali tecnologicamente avanzati come i freni in fibra di carbonio delle vetture di Formula 1”.

Tanti gli argomenti discussi al convegno, che comprende all’incirca una quarantina di sessioni scientifiche, cui parteciperanno un migliaio tra docenti, ricercatori e geologi liberi professionisti. Si passa dai temi dell’Expo 2015, sviluppo sostenibile, acqua, suolo, alimentazione, all’analisi dello stato delle riserve petrolifere del Pianeta, con un occhio alle energie rinnovabili come la geotermia, che l’Italia ha sfruttato per prima al mondo. Dallo studio del rischio sismico ai vulcani sottomarini come Marsili, il gigante sommerso del Tirreno. E ancora, dal ruolo delle regioni polari nei cambiamenti climatici, all’indomani dell’ultimo, l’ennesimo, allarme clima lanciato dalla World meteorological organization (Wmo), alla geologia extraterrestre, con speciali sessioni sul futuro dell’esplorazione di Marte di cui la Nasa ha recentemente realizzato una mappa geologica aggiornata, e sui primi dati scientifici della missione Rosetta, che il prossimo novembre manderà per la prima volta una sonda su una cometa. “Il congresso – spiega Poli – affronterà a 360 gradi i temi principali delle moderne geoscienze. Si parte dallo spazio, con la geologia planetaria, passando poi per lo studio del clima, dell’ambiente e di come creare un corretto rapporto con il territorio, fino ad arrivare – sottolinea il ricercatore italiano – allo studio della Terra, attraverso moderne tecnologie che permettono di analizzarne la struttura interna come si fa con il corpo umano tramite la Tac”.

Non mancherà, infine, una speciale sessione dedicata alle scuole e agli insegnanti. L’ultimo giorno del convegno sarà, infatti, incentrato sul tema “Le geoscienze a scuola”, con una serie di workshop e laboratori didattici ideati per favorire l’incontro tra scuola, musei, università ed enti di ricerca sui temi delle scienze della Terra. Tra le iniziative in programma “Le mani nella Terra”, un’esposizione di esperimenti scientifici, strumenti e simulazioni sulle diverse discipline della geologia, realizzati dagli stessi studenti di ogni fascia d’età.

set 06 2014

Sblocca Italia: lettera aperta degli Architetti al Governo Renzi

Il Governo lo ha definito Sblocca Italia perché avrebbe l’ardito compito di aiutare l’Italia ad uscire dall’impasse che sta distruggendo il proprio tessuto economico. C’è chi lo ha definito un decreto Sblocca burocrazia per le poche risorse messe in gioco e l’idea di poter sbloccare il paese attraverso uno snellimento burocratico. C’è anche chi lo ha definito molto simpaticamente Sbrocca Italia per i suoi contenuti “senza contenuti” che aggiungeranno l’ennesima goccia ad una brocca pronta a strabordare.

Insomma, la realtà dei fatti è che il nuovo provvedimento messo a punto dal Governo non piace né agli economisti, né ai costruttori, agli imprenditori e ai professionisti. Dopo la bocciatura di Confindustria, che pur condividendo in contenuti del decreto ne ha contestato la quantità e disponibilità dei fondi, e dell’ANCE che non ha visto un piano definito che possa realmente far ripartire il Paese, registriamo la delusione del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C. che ha inviato una lettera aperta al Governo per dimostrare il suo disappunto.

Il Presidente degli Architetti italiani Leopoldo Freyrie ha, infatti, contestato la totale assenza di una politica di rigenerazione urbana sostenibile che avrebbe potuto creare le condizioni per riavviare il commercio, promuovere le iniziative imprenditoriali, valorizzare i beni culturali e richiamare gli investimenti.

“Ma ancora una volta, – ha affermato Freyrie – come succede da anni, si procede al contrario, immaginando che affastellando singole norme che correggono altre norme che hanno corretto altre norme si possano creare le condizioni per lo sviluppo, gli investimenti, il lavoro. Questa non è rivoluzione, ma una continua involuzione che uccide le possibilità di uscire dalla crisi”.

“Il percorso dello Sblocca Italia – ha continuato Freyrie – è il sintomo preoccupante che, ancora una volta, la bizantina vischiosità legislativa, se non viene affrontata con la forza di un progetto chiaro e condiviso, sterilizza anche le migliori proposte”.

Nonostante la scarsa considerazione e attenzione della politica nei confronti delle professioni tecniche, il Presidente Freyrie, in maniera forse inutilmente fiduciosa (ma mi auguro di no!) visto il recente passato, ha rivolto un nuovo appello al governo chiedendo:

un programma nazionale di rigenerazione urbana sostenibile, da cui dedurre azioni, investimenti e norme, con una regia unica;

lo spostamento di parte delle risorse disponibili dalle grandi infrastrutture alle città, essendo dimostrato (a differenza di ferrovie e autostrade) che ogni euro di denaro pubblico investito nelle città ne attrae 4 dal mercato privato: in un quartiere rigenerato torna la vita, i negozi, i giovani imprenditori, la cultura, la ricerca;

norme edilizie chiare e prestazionali, condivise su tutto il territorio nazionale, che favoriscano la qualità dell’abitare invece della buro-edilizia fonte, tra l’altro, di corruzione e abusivismo;

certezza dei diritti e delle procedure, con solo due modelli autorizzativi: la SCIA e il Permesso di costruire, dando massima trasparenza e pubblicità ai progetti – visibili a tutta la comunità dei cittadini – ma limitando nel tempo la possibilità sia per la PA che per i terzi di bloccare un’opera già approvata in via definitiva e in cantiere (viceversa il credito sulle iniziative immobiliari non tornerà mai più);

riaprire il mercato della progettazione pubblica giudicando sul merito dei buoni progetti e non su requisiti abnormi e arbitrari richiesti ai progettisti, uscendo dallo stato di illegalità certificato dall’Autorità di Vigilanza e dalle Direttive Comunitarie. Quotidianamente gli Enti appaltanti pubblici o sottraggono alla concorrenza i progetti affidandoli alle partecipate fonti di tanti scandali (Expo, Mose, ecc) o pongono requisiti improbabili (da 4 volte il fatturato o avere minimo 40 dipendenti per un normale progetto di architettura) o impongono sconti che sono arrivati anche oltre il 90%. Il risultato? Sono esclusi il 98,7 % degli architetti italiani (e il 100% dei giovani), la qualità dell’architettura pubblica è pessima e fioriscono varianti e tangenti;

linee guida nazionali sulla tutela dei beni monumentali e paesaggistici, per uscire dalle interpretazioni autocratiche e condividere un progetto che salvaguardi la bellezza dell’Italia evitando però che i nostri borghi storici siano definitivamente abbandonati per l’impossibilità di renderli adatti ai requisiti minimi della vita quotidiana contemporanea.

Il presidente Freyrie ha rilevato come molte di queste proposte erano presenti nella versione originaria del provvedimento “per poi via via sparire fino alla clamorosa scomparsa definitiva persino del Regolamento Edilizio unico, simbolo di un approccio razionale ed europeo al tema di regole chiare, prestazionali, che garantissero adeguati standard abitativi senza impedire l’innovazione progettuale e tecnologica”.

La lettera si conclude con un accorata richiesta.

“Caro Presidente, gli architetti italiani sono molto vicino al limite della sopravvivenza, con redditi da incapienti e disoccupazione giovanile mai vista prima: però non scioperiamo né ci incateniamo davanti a Palazzo Chigi. Poiché viviamo di progetti, continuiamo a credere che possiamo progettare per l’Italia un futuro migliore, con razionalità e capacità di visione. Chiediamo al Governo la stessa caparbietà e coraggio, ascoltandoci e attuando ciò che con tanti altri da tanto proponiamo, lasciando che si sveli a tutti chi lavora per la conservazione di uno status quo che ha tutte le caratteristiche della Stige, la palude degli accidiosi, nella quale non vogliamo affogare”.

 A cura di Ilenia Cicirello

ago 31 2014

Lo smartphone cancellerà i Topografi? Le tecnologie di localizzazione costringono a ripensare la professione – Parla Cristiano Bernasconi

«Ricordi quando eravamo bambini e c’erano ancora i geometri?» Chissà se un domani i nostri figli parleranno dei professionisti della misurazione ufficiale come oggi noi parliamo dei marronai. Di fatto, loro, i geometri topografi, qualche dubbio sulla loro futura sorte se lo stanno ponendo.

In particolare da quando la potenza tecnologica dei telefonini ha portato nei nostri apparecchietti tascabili – gratuitamente – le mappe dettagliate di tutto il mondo: da quella del quartiere dove abitiamo, a quelle delle località più o meno esotiche dove andiamo in vacanza, con l’itinerario esatto calcolato in pochi secondi facendo click su Google Map. Che fine faranno i geometri, quindi? Lo abbiamo chiesto a Cristiano Bernasconi, unico membro ticinese del Think Tank di esperti svizzeri che si è recentemente chinato sul problema.

Ma davvero la vostra professione è in pericolo?

«Sarebbe esagerato affermarlo. Di lavoro per noi ce n’è ancora, eccome. Esiste un margine di specializzazione nella misurazione del territorio nel quale noi per il momento restiamo indispensabili. I dati che ognuno può produrre e rendere disponibili in Internet non sono ancora precisi come i nostri. E se parliamo di grandi cantieri o della costruzione di tunnel – penso ad esempio allo scavo del Ceneri – siamo ancora gli unici a poter fornire indicazioni della precisione del millimetro, in un ambito in cui i millimetri sono molto importanti. In altre parole, per bisogni specialistici la nostra professione ha ancora un senso. Il problema è che per i restanti compiti per i quali venivamo interpellati, che rappresentano comunque una percentuale molto importante del totale, forse non ci sarà più bisogno di noi».

Il geometra scomparirà?

«Si trasformerà, appunto. Per tanti anni il nostro lavoro di geometri o ingegneri topografi è stato quello di misurare il territorio e produrre piani conformi alla realtà. Il geometra formatosi negli anni Novanta, in fondo, facendo astrazione dalle migliorie tecnologiche, non è molto diverso dal geometra dell’Ottocento. Come lui è stato formato per possedere le tecniche di rilievo e l’uso degli strumenti che ne derivano, come il teodolite che misura gli angoli e le distanze».

E oggi?

«Oggi il rilievo dei dati sta diventando sempre più banale. Perché con un semplice telefonino chiunque è in grado di determinare esattamente dove si trova, senza avere fatto studi in geodesia, in geomatica o in cartografia. È un dato accessibile a tutti e per ottenerlo non è più necessario conoscere le scienze e le tecnologie che ci stanno dietro».

 Cosa farà, esattamente, il geometra di domani?

 “Molto probabilmente un domani noi non offriremo più il rilievo del territorio. Di fatto, con le nuove tecnologie, il territorio oggi si rileva e rivela da solo. No, quello che noi faremo è dare risposte ai quesiti della gente, dei proprietari, dei progettisti, delle amministrazioni pubbliche e dei politici che devono prendere delle decisioni. Questo non solo sulla base catastale della proprietà, ma offrendo un accesso a tantissime altre informazioni. Per esempio, a una persona che vuole costruire una casa in un certo quartiere noi potremmo offrire una visualizzazione in 3D della sua casa inserita con precisione assoluta nel quartiere prima che partano i lavori; potremmo fargli vedere in partenza tutti gli allacciamenti disponibili sotto terra, dalle fognature all’acqua potabile, al gas, alla fibra ottica. Oppure potremmo fargli sapere quale indice di occupazione del terreno è permesso, quante ore di insolazione potrebbe avere la sua casa in quel posto, quanto dista la scuola per i suoi figli, il primo ospedale, il negozio più vicino. Ma anche la vicinanza a siti inquinati, l’inquinamento fonico in quella zona, o i vincoli pianificatori di quella parcella”.

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