Architetti: siamo all’emergenza delle città o all’emergenza della professione?
Mentre mi trovo in visita alla Fiera di Rimini, Ecomondo, ricevo una mail direttamente dall’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C. e la mia vena scribacchina non può che esplodere in un turbinio di pensieri il cui unico minimo comune denominatore è: mentre il dottore studia, il paziente muore.
Mentre il Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti Leopoldo Freyrie parla, giustamente di come l’assenza di politiche di rigenerazione urbana delle città stia uccidendo città e habitat, il Ministero dello Sviluppo Economico, insieme alla Banca d’Italia e al Ministero dell’Economia delle Finanze, studiano il modo per riparare al grosso errore fatto in fase di scrittura della norma primaria (D.L. n. 179/2012) e di quella attuativa (D.M. 24/01/2014), che non avevano previsto sanzioni in caso di mancata installazione del P.O.S.
“L’Unione Europea – afferma convinto il comunicato del CNAPPC – deve mettere al centro della propria azione le politiche di rigenerazione urbana sostenibile, uscendo da una visione miope che porta ad investire, prioritariamente, sulle grandi infrastrutture di trasporto, e considerando, invece, secondarie le politiche dell’abitare; tutto ciò senza tenere conto che decine di milioni di europei vivono e lavorano nell’altra Europa, quella non collegata dalle reti veloci, dove tantissime città ricche di storia e dense di vita rischiano di morire perché abbandonate dagli investimenti pubblici e privati”.
Tutto giusto e sacrosanto, mi chiedo però se non sia prima il caso di pensare ai propri iscritti e capire quali problematiche oggi vivono i liberi professionisti italiani.
“L’architettura europea non è solo una grande risorsa culturale e scientifica per l’Unione. E’ anche capace di offrire soluzioni pratiche ai problemi della rigenerazione delle città, dell’ambiente, dell’inclusione territoriale e sociale. Ed è anche in grado di declinare il nuovo paradigma di riduzione del consumo del suolo e di riuso delle aree urbane, affinché le città europee, grandi e piccole, siano adeguate alla contemporaneità che coniuga innovazione, sviluppo e ambiente, senza lasciare che cittadini, comunità e luoghi vengano messi ai margini a causa di strategie macroeconomiche indifferenti alla vita quotidiana e cieche verso il futuro”.
Non si può che essere d’accordo con una dichiarazione che definirei assolutamente “politically correct”. Perché, però, il Presidente del CNAPPC non comincia ad essere un po’ meno correct, pensando a soluzioni pratiche che possano ridare dignità ai suoi iscritti?
Per Leopoldo Freyrie, presidente del CNAPPC “esiste una vera e propria emergenza per le città italiane: serve che il Paese adotti una politica urbana seria e una specifica politica per l’architettura, ma entrambe oggi sono del tutto assenti. Il primo passo è quello di costruire una visione organica e d’insieme capace di generale progetti ambiziosi ma realistici in grado, anche, di fruire di finanziamenti europei. Le risorse comunitarie sono una fonte importante, ma se mancano un disegno complessivo, obiettivi chiari da raggiungere e progetti definiti in ogni loro parte, il Paese non saprà come fruire delle risorse comunitarie e finirà – come spesso succede – di perderle”.
Prima di pensare ad una seria politica urbana, i rappresentanti nazionali delle professioni tecniche dovrebbero prendere seria coscienza dello stato di abbandono dei loro iscritti, della mortificazione che ogni giorno il professionista è costretto a vivere. Purtroppo, però per il CNAPPC “La questione urbana è il principale problema dei governi europei di questi anni e lo sarà anche per i prossimi: la maggior parte della vita delle persone si svolge – e sempre di più si svolgerà – negli agglomerati urbani e l’esaurimento delle risorse energetiche ne segna un destino inimmaginabile anche solo pochi decenni fa: nel mondo, come in Italia, la città e l’habitat sono a rischio “default” e l’allarme è già stato suonato dalle istituzioni internazionali e dai cittadini”.
Oggi mi sento un po’ così, sarà il tempo o la valanga di mail che ricevo da professionisti assolutamente incazzati neri o peggio disperati, fatto sta che i liberi professionisti dell’area tecnica devono cominciare a prendere coscienza di due cose:
la situazione è disperata e non va assolutamente sminuita;
è inutile affidarsi agli Ordini professionali o ai Consigli Nazionali che negli anni hanno solamente dimostrato il loro distacco dai problemi reali della professione.