Categoria: discussione-settimana

ago 07 2015

Servizio SPP: serve la laurea in ingegneria e/o architettura? Fonte (InSic)

Un quesito pervenuto alla Banca Dati Sicuromnia pone la domanda: per l’espletamento del servizio di prevenzione o protezione presso gli uffici giudiziari gli addetti e i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni devono necessariamente possedere la laurea in ingegneria o architettura?

Risponde la D.ssa Rocchina Staiano, Docente in Diritto della previdenza e delle assicurazioni sociali ed in Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro all’Univ. Teramo.

Secondo l’Esperto
No. Va ricordato che l’art. 32 del D. Lgs. 81/2008 e successive modifiche, prevede, per quel che interessa nella presente sede:
“1. Le capacità ed i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni devono essere adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.
2. Per lo svolgimento delle funzioni da parte dei soggetti di cui al comma 1, è necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore nonché di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative. Per lo svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, oltre ai requisiti di cui al precedente periodo, è necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavorocorrelato di cui all’articolo 28, comma 1, di organizzazione e gestione delle attività tecnicoamministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali. I corsi di cui ai periodi precedenti devono rispettare in ogni caso quanto previsto dall’accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 febbraio 2006, e successive modificazioni.
3. Possono altresì svolgere le funzioni di responsabile o addetto coloro che, pur non essendo in possesso del titolo di studio di cui al comma 2, dimostrino di aver svolto una delle funzioni richiamate, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003 previo svolgimento dei corsi secondo quanto previsto dall’accordo di cui al comma 2.
4. (…)
5. Coloro che sono in possesso di laurea in una delle seguenti classi: L7, L8, L9, L17, L23, e della laurea magistrale LM26 di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca in data 16 marzo 2007, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6 luglio 2007, o nelle classi 8, 9, 10, 4, di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica in data 4 agosto 2000, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 245 del 19 ottobre 2000, ovvero nella classe 4 di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica in data 2 aprile 2001, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 5 giugno 2001, ovvero di altre lauree e lauree magistrali riconosciute corrispondenti ai sensi della normativa vigente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su parere conforme del Consiglio universitario nazionale ai sensi della normativa vigente, sono esonerati dalla frequenza ai corsi di formazione di cui al comma 2, primo periodo. Ulteriori titoli di studio possono essere individuati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”
.

Come è dato osservare, la disposizione ora riportata non prevede, quale requisito per lo svolgimento dell’attività di responsabile e addetto ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni, il possesso della laurea in ingegneria o in architettura (lauree rientranti tra quelle di cui al comma 5); anzi l’ipotesi ordinariamente prevista, per ambedue le funzioni, è quella di un soggetto in possesso del titolo di istruzione secondaria superiore, che abbia anche l’attestato di frequenza di specifici corsi di formazione, variamente modulati a seconda che si tratti di addetto o di responsabile. Infatti, ciò che il successivo comma 5 prevede, dunque, non è l’individuazione di un titolo di laurea particolare, onde poter svolgere le funzioni in esame, ma solo l’esclusione dalla frequenza dei corsi di cui al comma 2 (e, dunque, del possesso delle previste attestazioni) per i laureati in determinate discipline (per quel che qui interessa, in ingegneria e in architettura).

lug 18 2015

Società di ingegneria fuori dal settore privato: cosi vanno le cose, così devono andare

Il tema è quello dei lavori privati per le Società di Ingegneria. Il ring è quello dei professionisti tecnici. La questione è l’articolo 31 del DDL Concorrenza, la cui bozza stabilisce la possibilità per le società di ingegneria di operare con la committenza privata. Lo scontro è senza fine.
La Rete delle Professioni Tecniche si è scagliata contro la misura contenuta nella bozza del disegno di legge sulla Concorrenza che stabilisce la possibilità per le società di ingegneria di operare con la committenza privata. Il coordinatore della Rete (e presidente del Consiglio Nazionale Ingegneri) Armando Zambrano, ha infatti preso posizione contro la misura e contro l’OICE (l’Organizzazione delle società di ingegneria).
“L’articolo 31, non sollecitato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, mira a superare – spiega Zambrano – la sentenza del TAR Torino del 17 dicembre 2013 , che ha ribadito quello che tutti sanno: le società di ingegneria non possono operare nel settore privato”.
Tutto ha inizio dall’audizione alla Camera dei Deputati, in occasione della quale OICE ha esposto il proprio punto di vista in merito all’art. 31 del ddl sulla concorrenza, che secondo l’OICSE chiarisce gli effetti del riconoscimento giuridico delle società di ingegneria, superando la sentenza del TAR Torino, la quale inibiva loro la possibilità di operare nel settore privato.
“L’articolo 31 – ha detto Zambrano – si configura come un vero e proprio intervento ad personam, anzi ad societatem, che mira a risolvere per via legislativa una questione che riguarda interessi di ben individuabili realtà societarie. Se l’art. 31 venisse approvato ad essere colpite sarebbero in primo luogo proprio le migliaia di società di ingegneria che fino ad oggi, correttamente, seguendo il dettato normativo, si sono astenute dall’operare nel settore privato. L’azione dell’OICE va, in primo luogo, proprio contro quelle società di ingegneria che in questi anni hanno agito correttamente. D’altronde l’OICE rappresenta il mondo delle società di ingegneria solo in maniera residuale. I suoi associati rappresentano a stento poco più del 5% delle società di ingegneria operanti in Italia”.
Il Consiglio Nazionale degli Architetti si è schierato. Per il CNAPPC il problema non è la forma societaria ma la necessità di operare in base a regole comuni valide per tutti.
Le parole degli Architetti: “Gli ingegneri non hanno alcun codice etico mentre gli architetti italiani e le società tra professionisti operano nel rispetto del codice deontologico approvato dal Ministero della Giustizia: se, per esempio, evadono il fisco vengono, giustamente, radiati dall’Albo; rispettano le molte regole della Riforma delle professioni e delle Direttive comunitarie. Tutto ciò non è previsto, invece, per le società di ingegneria”.
Alla fine (per ora) la commissione Giustizia della Camera ha bocciato l’articolo 31. Il CNAPPC ha apprezzato e conclude: “Ci auguriamo ora che quello che è stato fatto uscire dalla porta non rientri dalla finestra e che anche l’Aula confermi quanto definito in sede di commissione”. Vai alla fonte

lug 11 2015

Vacanze in Umbria: un viaggio nella storia e nella spiritualità italiana.

Incastonata nel centro dell’Italia, l’Umbria è la meta ideale per trascorrere vacanze rilassanti, nella quiete dei suoi paesaggi collinari che sembrano incantati, senza trascurare cultura e arte.

La regione è costantemente frequentata anche da un attento turismo religioso, che vi trova alcuni tra i luoghi più importanti per la fede cristiana ad Assisi, Gubbio, Cascia, Norcia. Ogni città o piccolo borgo racchiude e preserva una storia millenaria, rintracciabile nei siti architettonici e storici sparsi per la regione.

Una buona tradizione gastronomica completa un’offerta che rende l’Umbria imprescindibile meta da visitare.

Da non dimenticare gli annuali appuntamenti con il Festival Umbria Jazz e l’Eurochocolate a Perugia.

Itinerari artistici in Umbria, dove il tempo sembra essersi fermato

L’Umbria è piena di piccoli paradisi artistici. Cominciando dal capoluogo di regione, Perugia, che vanta una storia lunga: archi e mura cittadine risalgono al periodo etrusco, la Cattedrale è un misto di stile rinascimentale e gotico, la Chiesa di Sant’Angelo si erge su quello che era un tempio romano. In piazza San Francesco, nei pressi dell’etrusca porta Trasimena, si trova la chiesa di San Francesco al Prato, la cui architettura ricorda quella di Santa Chiara ad Assisi.

Proprio qui, in messo alle ondulate colline dell’Umbria, è possibile visitare la grandiosa basilica di San Francesco (1230), che conserva 28 affreschi di Giotto sulla vita del Santo. Assisi è inoltre piena di edifici, chiese e monumenti di epoca romanica e barocca.

Di particolare interesse è ancora il monastero di Eremo delle Carceri a quattro chilometri dalla cittadina. Tra i luoghi di interesse, Gubbio, la cui storia risale a prima dell’Impero Romano. Da visitare il Palazzo dei Consoli del Trecento, nel quale è ospitata la più imponente raccolta di manufatti di epoca romana della regione. Troviamo ancora Spoleto, antichissima, che vanta l’anfiteatro romano del I secolo, l’acquedotto del Ponte delle Torri risalente al Tredicesimo secolo, il Duomo del Dodicesimo secolo e la fortezza della Rocca Albornonziana del Quattordicesimo secolo. Tra le altre località storiche, Citta di CastelloOrvietoCittà della Pieve.

Eremi e monasteri, per un turismo religioso in Umbria

Umbria regione mistica. Costantemente frequentata dal turismo religioso, la regione racchiude al suo interno enormi tesori. A partire dalla preziosissima Basilica di San Francesco ad Assisi (Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco).

Si passa poi ai monasteri dedicati a San Benedetto da Norcia e a quelli di San Pietro e Santa Maria di Valdiponte presso Perugia, Sassovivo presso Foligno, San Salvatore di Monte Corona e l’Abbazia di Petroia nei pressi di Città di Castello o ilmonastero di San Benedetto sul monte Subasio, vicino ad Assisi.

A questi si aggiungono il Monastero e la Basilica di Santa Rita a Cascia, meta costante di pellegrinaggi, la Basilica dedicata aSan Valentino a Terni, San Rinaldo a Nocera Umbra, San Feliciano di Foligno, Sant’Ubaldo a Gubbio. Tra i santuari mariani ricordiamo Santa Maria della Stella nei pressi di Spoleto (XIX secolo), Santa Maria delle Grazie a Città di Castello (XV secolo) e quello in onore della Madonna di Fatima a Città della Pieve (XX).

La regione è inoltre gremita di antichi eremi francescani o di altri ordini religiosi: ad Assisi il più noto, l’Eremo delle Carceri, nell’orvietano l’Eremo S. Illuminata, e ancora l’Eremo Santa Maria Giacobbe e l’Eremo di Monte Corona.

Tradizione gastronomia in Umbria, semplicità e natura

Protagonista della tavola umbra: il tartufo nelle sue diverse varianti (tra cui molto noto quello nero di Norcia).

Da degustare anche i formaggi, di fossa, stagionati, alle erbe, al tartufo, da accompagnare con i diversi tipi di pane, nociato, caciato, di Terni, di Strettura.

Primi tipici sono gli strangozzi al tartufo nero oppure gli umbricelli in salsa di Trasimeno, mentre tra i secondi il friccò, a base di pollo. I vini liquorosi e passiti abbondano, dal Vino Santo al Sagrantino di Montefalco, dal Greghetto di Assisi alla Vernaccia.

LA FONTE http://www.agendaonline.it/vacanze-in-umbria-un-viaggio-nella-storia-e-nella-spiritualita-italiana/

mag 29 2015

Ansia da CFP? La formazione continua per gli Ingegneri e il punto di vista dei presidenti

La formazione professionale continua per gli ingegneri (e non solo) è un tema sempre al centro del dibattito. Nello specifico caso degli ingegneri essa è disciplinata dal regolamento per l’aggiornamento della competenza professionale realizzato dal CNI e pubblicato sul bollettino ufficiale del Ministero della Giustizia n. 13 del15 luglio 2013.

A misurare la formazione continua è stata adottata come unità di misura il CFP, acronimo che indica i Crediti Formativi Professionali. Per esercitare la professione, l’ingegnere iscritto all’albo deve essere in possesso di almeno 30 CFP.

Agli iscritti all’albo, alla data di entrata in vigore dell’obbligo formativo, sono stati accreditati 60 CFP. Al termine di ogni anno solare vengono detratti ad ogni iscritto 30 CFP dal totale posseduto. Al di sotto di 30 CFP, l’iscritto non potrà esercitare attività professionale, pena sanzioni disciplinari.  (vai alla fonte)

Delineato così a grandi linee la cornice, vediamo cosa ne pensano alcuni presidenti degli Ordini territoriali degli Ingegneri e lo stesso CNI.

Per Carla Cappiello, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, la formazione professionale continua “è uno strumento preziosissimo per tutti gli ingegneri, perché consente di aprire la mente e di avere nuovi spunti, ma non deve ridursi a una partecipazione giustificata solo dall’ottenimento dei CFP: agire in tal modo significa perdere delle opportunità e sprecare del tempo”.

Sulla stessa lunghezza d’onda è anche Elio Masciovecchio, numero uno dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia de L’Aquila, secondo cui “Occorre cambiare l’atteggiamento dell’ingegnere medio che soffre di ansia da CFP”.

Per Masciovecchio, il rischio (e l’errore) più grande che gli ingegneri possono fare è quello di essere presi dalla frenesia di “ottenere il prima possibile il numero di crediti richiesti, senza attendere offerte formative specifiche per le peculiari esigenze”.

Ma indipendentemente da qualsiasi considerazione la formazione continua è un dovere di legge e pertanto una realtà.

“Gli ingegneri, ragione Cappiello, al di là dell’obbligatorietà normativa, devono sempre rinnovare le proprie conoscenze. Chi ha numerosi anni di esperienza professionale in settori tradizionali, come l’edile, ha bisogno di aggiornarsi sulle nuove branche in espansione, quali quelle digitali o dell’energie rinnovabili. Così chi è un neo laureato o con pochi anni di attività ha necessità di approfondire meglio alcune tematiche, non spesso trattate dal corso di studi, ma utili da punto di vista pratico”.

Il sentiero intrapreso dal CNI ce lo dice direttamente Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli Ingegneri che rivendica la decisione, a differenza di altre categorie professionali, “di vincolare la concessione dell’autorizzazione alla verifica del possesso di specifici requisiti del soggetto interessato e non delle singole attività formative”.

Il regolamento degli Ingegneri, spiega Zambrano, consente agli iscritti di ottenere il riconoscimento di 15 crediti formativi l’anno, per le attività di aggiornamento connesse alla propria attività professionale.

Sul lato dei costi per seguire la formazione, il numero uno del CNI elenca le azioni degli ordini che “hanno svolto, dal 1° febbraio al 10 settembre 2014, 1.774 eventi formativi, di cui oltre la metà (51%) a carattere gratuito, il 12% con un contributo richiesto inferiore a 30 euro, il 13% con un contributo compreso tra 30 e 80 euro e solo il 24% con un contributo superiore a 80 euro”.

mag 21 2015

Formazione professionale: gli ordini non possono restringere la concorrenza. Corte di Giustizia UE, sez. II, sentenza 28/02/2013 n° C-1/12 Di Antonino Ciavola

 La sentenza 28 febbraio 2013 della Corte di Giustizia dell’Unione europea, II sezione, nella causa C-1/12, ci offre lo spunto per chiarire un dubbio al quale, in dottrina, sono spesso date risposte generiche che hanno coinvolto anche il legislatore nella confusione generale.

Mi riferisco alla assimilazione tra professionisti e imprese, alla luce del diritto comunitario; quella stessa (erronea) assimilazione che ha condotto all’abrogazione delle tariffe.

Partiamo dalla narrativa della sentenza in commento, riferita all’Ordine degli esperti contabili (in prosieguo e nella sentenza con acronimo: OTOC), che secondo l’allegato I del decreto legge del Portogallo 26 ottobre 2009, n. 310 è una persona giuridica di diritto pubblico di natura associativa, che ha il compito di rappresentare, attraverso la loro iscrizione obbligatoria, gli interessi professionali degli esperti contabili nonché di esercitare un controllo su tutti gli aspetti collegati con l’esercizio delle loro funzioni.

La norma prosegue indicando i compiti e in particolare, per quanto qui rileva, elenca:

difendere la dignità e il prestigio della professione, vegliare sul rispetto dei principi etici e deontologici nonché difendere gli interessi diretti e le prerogative dei suoi membri;

promuovere e contribuire al perfezionamento e alla formazione professionale dei suoi membri, in particolare organizzando attività e programmi di formazione professionale, corsi e conferenze;

esercitare il potere disciplinare sugli esperti contabili;

stabilire principi e norme di etica e deontologia professionale.

Dalla definizione e dai compiti indicati è chiaro che si tratta di un Ordine professionale esattamente assimilabile a quelli italiani che sono governati da norme analoghe.

L’OTOC gestiva il sistema portoghese dei crediti formativi (analogo al nostro) in assoluta autonomia e con una sorta di monopolio. Infatti (fino alla sentenza qui commentata) poteva organizzare i corsi, anche a pagamento, e aveva il compito di autorizzare corsi gestiti da altri.

Ciò però aveva una limitazione: la parte istituzionale, 12 crediti, doveva essere erogata esclusivamente dall’Ordine.

Per essere autorizzati dall’OTOC a impartire corsi con crediti formativi relativi alla porzione residua (professionale), gli organismi di formazione devono (dovevano) avere determinati (dallo stesso OTOC) requisiti, iscriversi a un elenco di formatori professionali dietro versamento di una tassa pari a Euro 200 e infine farsi accreditare i singoli corsi previo pagamento di un’altra tassa di Euro 100 (per ciascuno). Tasse a favore dello stesso OTOC.

Nel giudizio che è scaturito dalla protesta degli altri formatori è stata sollevata una questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione:

Se un organismo come l’OTOC debba essere considerato, nel suo insieme, un’associazione di imprese agli effetti dell’applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza (mercato della formazione).

La sentenza in argomento afferma che Secondo una costante giurisprudenza, nel contesto del diritto della concorrenza la nozione di impresa comprende qualsiasi ente che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle modalità del suo finanziamento (v., in particolare, sentenza Wouters e a., cit., punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

Quindi, alla domanda se un ordine professionale quale l’OTOC debba essere considerato un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, allorché adotta un regolamento come il regolamento controverso ovvero, al contrario, debba essere considerato un’autorità pubblica risponde che è un’associazione di imprese, perché può incidere (e incide eccome, come abbiamo visto dalle cifre e condizioni sopra riportate)non soltanto nel mercato in cui i membri di un ordine professionale esercitano la loro attività, ma anche in un altro mercato nel quale lo stesso ordine professionale esercita attività economica.

In coerenza, conclude che un regolamento che pone in essere un sistema di formazione obbligatoria degli esperti contabili al fine di garantire la qualità dei servizi offerti da questi ultimi, come il regolamento controverso, adottato da un ordine professionale quale l’OTOC, configura una restrizione della concorrenza vietata dall’articolo 101 TFUE quando elimina la concorrenza per una parte sostanziale del mercato rilevante, a vantaggio di tale ordine … e inoltre impone, per l’altra parte di detto mercato, condizioni discriminatorie a danno dei concorrenti di detto ordine professionale.

Tutto ciò configura una restrizione della concorrenza vietata dall’articolo 101 TFUE.

La giusta considerazione sulla natura degli Ordini

Così ricostruita la vicenda, si conferma quanto già affermato a proposito della vecchia versione (art. 81, ex art. 85) del trattato sulla comunità europea: “sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che… abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza…”.

In questo senso, e solo in questo senso, l’avvocato può essere visto come un’impresa e il Consiglio dell’Ordine locale, o quello nazionale (in Italia CNF) come un’associazione d’imprese; per tutti gli altri aspetti (ricognizione, creazione e custodia delle regole deontologiche, procedimenti disciplinari ecc.) gli Ordini sono autorità pubbliche delegate dallo Stato.

In sintesi, per dirla con Giuseppe Valenti e Roberto Zazza (studiosi del vecchio centro studi OUA) l’iscrizione a un ordine professionale è atto necessario per l’esercizio della professione medesima, mentre gli Ordini sono fondati sulla condivisione di una regola diversa e più stringente di quella dei profani, sancita da un giuramento la cui violazione lede l’onore collettivo (cioè la credibilità) della categoria.

L’intera categoria si fa garante verso società della lealtà, correttezza e competenza dei suoi membri: l’Ordine è quindi un corpo sociale intermedio, organizzato per tutelare attività di interesse pubblico e valenza costituzionale, e per questo è sottoposto alla vigilanza ministeriale.

Questo concetto della delega statale è ripreso dalla sentenza che commentiamo:quando uno Stato membro attribuisce poteri normativi a un’associazione professionale, definendo nel contempo i criteri di interesse generale e i principi essenziali ai quali la regolamentazione posta dall’ordine deve conformarsi nonché mantenendo il proprio potere di decisione in ultima istanza, le norme emanate dall’associazione professionale conservano un carattere pubblico e sfuggono alle norme del Trattato applicabili alle imprese (v., in tal senso, sentenza Wouters e a., cit., punto 68).

Ecco la ragione per cui la sentenza è da condividere, ma non lo sono le conseguenze ipotizzate da alcuni frettolosi commentatori: resta salda la giurisdizione disciplinare del CNF, delegata dallo Stato in ragione di interessi generali (l’autonomia dei professionisti rispetto alla magistratura), ma sottoposta al controllo di legittimità della Corte di Cassazione.

Come comportarsi per i crediti formativi? Il “modello Catania”

La sentenza in commento afferma che un sistema di concorrenza leale, come quella prevista dal Trattato, può essere garantito solo se le pari opportunità tra i diversi operatori economici sono assicurate (e tra i diversi operatori include l’Ordine, se organizza a pagamento).

Nel modello italiano il CNF, già diversi anni addietro, dettava le linee guida e suggeriva ai singoli Consigli l’organizzazione di corsi gratuiti o dietro corresponsione dei soli costi; ovviamente ciò non impedisce che privati possano organizzare corsi a pagamento, che l’Ordine autorizza secondo criteri scientifici predeterminati e senza pretendere il pagamento di alcuna tassa.

Ciò però comporta, soprattutto nei grandi Fori, l’insufficienza dell’offerta formativa e la conseguenza che gli iscritti sono costretti, per adempiere all’obbligo di aggiornamento, a seguire i corsi a pagamento.

Per ovviare all’inconveniente rispettando sia le indicazioni del CNF che le regole di libera concorrenza, l’Ordine di Catania ha realizzato un modello di successo.

Gli eventi formativi sono organizzati gratuitamente dallo stesso ordine, dalle sue promanazioni (es. la Scuola forense) e dalle associazioni forensi.

Queste ultime sono incentivate con contributi alle spese, secondo criteri predeterminati con apposito regolamento.

I contributi possono essere erogati anche ad associazioni non forensi, purché l’evento sia accreditato e non a pagamento.

Con tale modello le associazioni sono stimolate e organizzano eventi di eccellente qualità, con un’offerta formativa ampiamente sufficiente e totalmente gratuita.

I contributi coprono, in parte, le spese per manifesti, locazione di sale ecc., mentre le associazioni offrono la cultura dei propri iscritti e di eminenti giuristi, tutti ben disposti a partecipare senza alcuna indennità.

La Cultura trionfa, e la concorrenza non è frenata nè ostacolata.

(Altalex, 6 marzo 2013. Nota di Antonino Ciavola)

mag 16 2015

Competenze professionali e Cemento armato: i Geometri rispondono agli Ingegneri. A cura di Gianluca Oreto

Quello delle competenze e della sovrapposizione di molte categorie professionali con il conseguente inasprimento delle relazioni tra esse (soprattutto in un periodo dove il lavoro scarseggia) è un problema che certamente non potrà mai essere definitivamente risolto dalla giurisprudenza né tantomeno da circolari interpretative di Ordini e Consigli Nazionali. (Vai alla fonte)

Ciò nonostante, poche settimane fa il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha pubblicato una circolare (n. 526 del 24 aprile 2015) in cui ha voluto ribadire alcuni concetti di una delle ultime sentenze del Consiglio di Stato in merito alle competenze professionali dei geometri e, in particolare, sulla possibilità di progettare costruzioni civili con impiego di cemento armato (leggi articolo).

Pronta è arrivata la risposta del Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri Laureati con la Circolare n. 5126 del 7 maggio 2015 recante “Competenza dei Geometri – Eecisione Consiglio di Stato n. 883/2015, annullamento delibera Comune Torri del Benaco n. 96/2012″ con la quale, pur ammettendo di aver intrapreso un percorso di confronto con i Consigli Nazionali degli Architetti e degli Ingegneri centrato proprio sulla possibilità di appianare le loro divergenze sulle competenze professionali e su chi fa cosa, ha anche precisato di aver già intrapreso le opportune iniziative per contrastare la decisione dei giudici di Palazzo Spada.

Il Presidente dei Geometri Maurizio Savoncelli ha, innanzitutto, rimarcato come la sentenza di primo grado e quella di secondo abbiano avuto differenti e contrapposti indirizzi (leggi articolo).

Ma non solo, secondo il numero uno dei Geometri italiani, il Consiglio di Stato avrebbe da sempre avuto un orientamento interpretativo completamente restrittivo nei riguardi delle competenze professionali dei geometri, con addirittura l’effetto di far ritenere inutile la normativa stessa.

 

Entrando nel merito, Maurizio Savoncelli ha precisato che i giudici del Consiglio di Stato non hanno preso atto delle modifiche operata recentemente dal D.Lgs. n. 212/2010 che ha abrogato la riserva per le opere in cemento armato a favore di ingegneri e architetti (ex R.D. n. 2229/39). Mentre la stessa Cassazione ne ha tenuto conto in una delle ultime sentenze (Sez. II civ., n. 19989/2013).

Oltre a questo, la circolare dei Geometri ha sottolineato come la decisione del Consiglio di Stato riguarda l’attività amministrativa di un comune e, quindi, ha una portata essenzialmente locale. Proprio per questo sono stati invitati tutti i collegi dei geometri d’Italia a “non assegnare un valore assoluto alla sentenza, collegandovi effetti eccessivamente negativi, in considerazione del fatto che tale sentenza è una in un ambito, come detto, di pronunzie contrastanti”. Soprattutto perché tali pronunce negative sono conseguenza di liti giudiziarie, spesso intraprese per questioni di compenso professionale e del sopravvenuto disaccordo tra il professionista ed il cliente.

mag 09 2015

La Professione dell’Architetto al tempo della crisi: pubblicità ingannevole e deontologia violata? A cura di Gianluca Oreto

Devi ristrutturare casa ma i costi dell’architetto sono proibitivi o comunque il progetto da lui presentato non ti convince?Nessun problema, l’Italia è il Paese in cui le competenze professionali e i titoli di studio spesso non servono, è sufficiente avere un’idea di base e il gioco è fatto.

Dopo la pubblicità di una nota azienda italiana specializzata nella grande distribuzione di mobili e complementi d’arredo che tempo fa reclamizzava il regalo dell’architetto (leggi articolo) e quella ancor più degradante del Governo “E’ casa tua, decidi tu” (leggi articolo), ecco che dal web spunta un nuovo servizio messo a punto da una società con sede a Roma che, sfruttando il modello di business comunemente chiamato “Crowdsourcing” e una piattaforma internazionale online, si propone di cambiare il modo di concepire la progettazione architettonica. Vai alla fonte

Entrando nello specifico, la piattaforma dovrebbe rappresentare il punto di incontro tra clienti che vogliono ristrutturare e designer professionisti provenienti da ogni parte del mondo. Fin qui nulla di male, se non fosse che alcuni punti del servizio restano tutt’ora oscuri e le modalità di pubblicizzazione risultano essere altamente offensive nei confronti dell’intera categoria professionale degli architetti.

In riferimento ai punti oscuri, la piattaforma consente di registrarsi come “cliente” che desidera ristrutturare o come “designer” che può partecipare alle gare proponendo i propri progetti. Il primo dubbio è relativo alle competenze professionali del designer. In fase di registrazione, infatti, il designer può scegliere le seguenti categorie:

Interior Designer, se ti sei dedicato alla progettazione degli spazi interni;

Architetto, se sei laureato in Architettura e ti sei dedicato alla progettazione architettonica o al restauro;

Industrial Designer, se ti sei dedicato alla progettazione e allo sviluppo di oggetti di design e prototipi industriali;

Ingegnere, se sei laureato in Ingegneria specializzandoti nella realizzazione di progetti ed opere edili;

Urban Designer, figura non definita;

Studente, se stai ancora studiando;

Altro, se il tuo profilo non corrisponde ad uno dei precedenti.

Chi certifica le competenze dei designer e chi assicura il cliente di avere a che fare davvero con un architetto, con un ingegnere, piuttosto che con un improvvisato?

In riferimento alla pubblicità, il servizio viene proposto mettendo a confronto i metodi tradizionali e quelli innovativi della piattaforma nella seguente maniera:

- MANCANZA DI SCELTA, rivolgendosi ad un singolo architetto o ad uno studio offline normalmente non si ricevono più di uno o due progetti. Utilizzando la piattaforma in soli 7 giorni è possibile ricevere moltissimi progetti realizzati da architetti diversi.

- PUNTO DI VISTA LIMITATO, anche se si impegna a realizzare più proposte progettuali un architetto sarà in grado di analizzare la questione soltanto dal suo punto di vista. Gli architetti della piattaforma provengono da ogni parte del mondo e possono offrire prospettive ed idee diverse.

- COSTI MOLTO ELEVATI, affidandosi ad un architetto offline si sosterranno costi molto elevati, poiché spesso si paga in relazione alle ore di lavoro effettuate. Utilizzando la piattaforma è possibile spendere soltanto una piccola frazione di quello che si spende nel modo tradizionale.

 

 

 

Non penso sia necessario commentare puntualmente quanto sopra riportato, basterebbe solo ricordare a chi vuole ristrutturare che affidarsi ad un professionista costa parecchio ma non sanno quanto potrebbe costare di più affidandosi ad un improvvisato. Il Presidente del Comitato delle Professioni Tecniche, ing. Michele Privitera ricorda, però, l’art. 4 del Decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137, relativo alla libera concorrenza e pubblicità informativa:

comma 1 – E’ ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.

comma 2 -La pubblicità informativa di cui al comma 1 deve essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria.

comma 3 – La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145.

Risulta abbastanza chiaro che la pubblicità in questione violerebbe sia il comma 1 che il 2. Peccato però che in questo caso non si comprende chi debba essere l’Ente preposto a sanzionare l’illecito disciplinare: l’Antitrust?gli ordini dei professionisti che si prestano al servizio?o chi?

 

Sull’argomento mi sono confrontato sui nostri canali Social (Facebook, Twitter, Google+), riporto si seguito il commento dell’ing. Max Lusetti.

 

“L’idea di fondo potrebbe essere anche stimolante e giusta ma perde di vista quello che è un contratto di lavoro equo e stimolante per le varie parti che lo sottoscrivono e che inevitabilmente andrà a non soddisfare sia l’una che l’altra parte.

Partiamo dal messaggio promozionale veicolato attraverso il cartoon.

L’ARCHITETTO rappresentato come un vecchio che produce un progetto che di sicuro non ti piace e costoso a prescindere è qualcosa di inqualificabile. Non è una pubblicità comparativa ma una pubblicità che denigra una intera professione paragonando poi il servizio offerto dal gestore del concorso come se non fosse fatto da altri professionisti, che alla fine potrebbero essere ascritti alla categoria generica e non esaustiva dell’architetto ( geometra, arredatore d’interni, ingegnere?). Quindi si dice che c’è un “ARCHITETTO” che si fa pagare e una professionalità anonima che non si fa pagare per darti delle idee. Che cosa è questo se non sfruttamento del lavoro e schiavitù e omissione di informazioni?

Il primo fa un progetto e si suppone che operi su rilievi controllati dallo stesso, verifiche catastali, verifiche strutturali, analisi dei requisiti urbanistici e del regolamento edilizio, il secondo si fida bonariamente delle informazioni che il cliente ritiene giusto dare ( salvo poi integrare le informazioni su richiesta) e già questo è uno stravolgere le fasi progettuali e non rendere chiaro al cliente che le due cose sono ben diverse.

Volendo adeguarsi al concetto fine a se stesso “dell’idea un tanto al chilo” proposta dal servizio alla massaia sprovveduta che cade nelle sue grinfie, bisognerebbe comunque mettere i puntini sulle I e chiarire al potenziale cliente alcuni dati fondamentali.

Ci sono progetti di arredamento e progetti di architettura che sono due cose diverse.

Dovrebbe essere chiarito che il tempo per creare un progetto non può essere regalato, se si vogliono avere 10 idee diverse da dieci fornitori di servizio diversi, deve essere almeno stanziato un rimborso spese per i “professionisti” che partecipano e un premio per chi eventualmente viene eletto come disegnino vincente. L’assenza di una soglia e di un rimborso spese per progetti di così piccola dimensione è assolutamente anticostituzionale oltre che eticamente inammissibile.

Deve essere altresì chiaro e scritto a lettere cubitali che nel momento che si dovesse passare al progetto esecutivo o per l’autorizzazione o comunicazione di inizio lavori a seconda delle entità di progetto, si dovrà comunque rifare tutto da capo e alcune idee potrebbero essere non attuabili perchè non sono state precedute da un rilievo sul posto da parte del professionista.

Quindi in linea di principio sarebbe anche possibile fare una gara seguendo quella che è la deontologia professionale ma appunto facendo un controllo sulle offerte proposte. L’assenza di tariffe minime e la libera concorrenza non sono equiparabili alla mancanza di regole deontologiche.

Sarebbe interesse della piattaforma ricalibrare I servizi offerti in modo attinente alla professionalità necessarie per fare i “disegnini” che spacciano per progetto e che comunque vanno pagati.

Sarebbe quindi utile confrontarsi con una associazione di professionisti per offrire veramente un servizio professionale e non un servizio mendace.

Lo sfruttare il sottoproletariato dei giovani designers non fa certo onore alla casalinga né alla piattaforma.

Dovrebbe sorgere il dubbio alla casalinga che forse dopo aver passato mesi a spaccarsi la testa su come organizzare il proprio appartamento e ha deciso che quello non è il suo lavoro che qualcuno che ti dia un idea perdendo tempo energie e soldi solo perché tu non eri capace di farlo forse andrebbe pagato?

L’architetto non ti ha soddisfatto in reale? Figurati un “non architetto” virtuale!

Ringrazio Max Lusetti e lascio a voi ogni commento.

mag 02 2015

Progettazione, più leggeri i requisiti per partecipare alle gare

Gli architetti fanno il punto della situazione sulle nuove linee guida dell’Anac: meno vincoli su fatturato, collaboratori e opere analoghe di Paola Mammarellavedi aggiornamento del 28/04/2015

Vigilare sulla corretta applicazione delle norme per l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura. È l’obiettivo della circolare 36/2015 con cui il Consiglio nazionale degli Architetti (CNAPPC) fornisce agli ordini territoriali spiegazioni sulle linee guida dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).

Oltre a riprendere i chiarimenti sulla qualità della progettazione e i compensi dei professionisti, la circolare approfondisce il tema dei requisiti di idoneità per la partecipazione alle gare d’appalto, più volte accusati di creare confusione e restrizioni della concorrenza.

In base all’articolo 263 del Regolamento attuativo del Codice Appalti, la partecipazione alle gare per l’affidamento di servizi di ingegneria e architettura deve essere subordinata all’aver espletato, negli ultimi dieci anni, servizi relativi a lavori appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori a cui si riferiscono i servizi da affidare.

Dalla consultazione pubblica portata avanti durante lo scorso anno dall’ANAC, era però emerso il rischio che, così facendo, si creassero dei micro settori nel già limitato mercato dei lavori pubblici.

Per ovviare a questa difficoltà è stato chiarito che le attività svolte per opere analoghe a quelle oggetto dei servizi da affidare sono da ritenersi idonee a comprovare i requisiti quando il grado di complessità sia almeno pari a quello dei servizi da affidare. Per fare un esempio, si legge nella circolare, l’aver svolto servizi tecnici per la realizzazione di ospedali costituisce requisito idoneo per partecipare a gare per l’affidamento di servizi tecnici per categorie analoghe di pari o inferiore complessità (tribunali, scuole, ecc.).

Un altro dubbio, spesso lamentato dai professionisti, era la sovrapposizione tra l’articolo 41, comma 2, del Codice Appalti, e l’articolo 263, comma 1.a del Regolamento attuativo sui requisiti di fatturato. In base al Codice Appalti, sono illegittimi i criteri che fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale. Al contrario, il Regolamento attuativo prevede che per poter partecipare i professionisti devono aver realizzato, nei cinque anni precedenti alla pubblicazione del bando, un fatturato variabile tra 2 e 4 volte l’importo a base d’asta.

Per aprire il mercato al maggior numero possibile di progettisti è stato quindi chiarito che le stazioni appaltanti potranno ricorrere al requisito del fatturato solo a seguito di una apposita motivazione indicata nel bando. In linea con i nuovi orientamenti comunitari è stato inoltre spiegato che sono da ritenere congrui i requisiti che prescrivano un fatturato pari al doppio dell’importo del servizio in gara.

Un’altra causa di restrizione della concorrenza è sempre stata individuata nel numero degli addetti e collaboratori che il professionista doveva dimostrare di avere per prendere parte ad una procedura di selezione. Il regolamento attuativo stabilisce che il numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni sia tra 2 e 3 volte le unità stimate nel bando per lo svolgimento dell’incarico.

Dato che la stragrande maggioranza degli studi è composta da pochi soci e collaboratori, è stato spiegato che il requisito del numero di unità fissate nel bando di gara può essere raggiunto mediante la costituzione di un raggruppamento temporaneo di professionisti. È stato inoltre raccomandato alle Stazioni Appaltanti di effettuare un’attenta valutazione sulle unità minime richieste ai concorrenti in modo da bilanciare l’esigenza di avere un organico idoneo per l’espletamento dell’incarico con la necessità di garantire la più ampia partecipazione alla gara.

apr 29 2015

Federarchitetti: lettera al Governo sulle criticità della libera professione

Tre le questioni irrisolte: redditi minimi, non continuità del lavoro e le procedure in-house attuate da parte degli Enti

Per sollecitare l’attenzione su temi irrisolti della professione di Architetti e Ingegneri, quali la Questione dei redditi minimi, la Non continuità del lavoro, le Procedure in-house attuate da parte degli Enti, Federarchitetti S.N.A.L.P. ha inviato alle Istituzioni ed ai partiti una ”Lettera aperta” proprio sulle criticità della libera professione.

Nonostante vengano in parte apprezzati dalla categoria sia il testo sugli interventi di modifica al Codice dei Contratti, sia i principi volti a favorire l’unitarietà dei diversi livelli progettuali, l’omogeneità delle procedure e delle regole di affidamento sull’intero territorio nazionale, per Federarchitetti continuano a persistere nodi che devono essere necessariamente affrontati.

Riportiamo di seguito alcuni stralci della lettera

La volontà delle nuove generazioni nella scelta di un’attività autonoma – si legge nella nota – continua ad essere ostacolata da una realtà normativa che determina redditi medi minimi, non favorisce la continuità del lavoro e allontana prospettive pensionistiche, mentre emerge, di contro, la necessità di un ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni per offrire la possibilità di un nuovo rapporto tra settore pubblico e privato, improntato su regole certe, responsabilità definite ed assenza di percorsi discrezionali che agevolano opportunità di corruzione.

Diventa sempre più prioritario definire il ruolo che la pubblica amministrazione, in particolare con i propri uffici tecnici, deve ricoprire nel sistema strutturale del Paese.

La stessa P.A. deve predisporre regole e condizioni per un corretto sviluppo dei soggetti operanti nel mercato, senza sostituirsi al privato in improbabili funzioni interne che ne limitano gli spazi minandone ogni necessaria trasparenza. Dualmente, sono da ridurre le procedure in-house condotte da numerosi Enti che, nel controllo del proprio operato producono, nel migliore dei casi, danni economici e culturali, come ampiamente riscontrato, e che, nei contratti integrati del comparto privato, concentrano riconosciuti aspetti negativi.

Va evidenziato che le basi retributive del pubblico impiego, già sostenute a livello dirigenziale da incrementi di posizione e di risultato, non trovano alcuna giustificazione, se non in un eccesso di protezione e clientelismo politico e sindacale verso lo stesso, nel mantenimento dell’incentivo del 2% per le attività di progettazione degli Uffici tecnici, escludendone la competenza ai liberi professionisti.

Di contro, è auspicabile l’immissione di procedure che rendano sinergica l’azione pubblico-privata e la soppressione della contraddizione dei Sindacati che, agevolando i dipendenti del settore pubblico, indeboliscono la crescita degli addetti degli studi professionali da essi stessi rappresentati.

Tra i vari aspetti, fondamentale è l’effettiva riduzione delle Stazioni Appaltanti al fine di semplificare ed omogeneizzare le procedure tagliando il perpetuarsi di abusi insiti nel clientelismo locale. Ancora flebili sono i tentativi ed i risultati in tale auspicata direzione.

In linea con principi di garanzia occorre che, come per le Commissioni aggiudicatrici degli appalti, anche le funzioni dei collaudi abbiano riferimenti centralizzati, anche interregionali, concepiti per fasce di esperienze con applicazione di sistemi informatici e/o introduzione di sorteggi, onde sviluppare in condizione di trasparenza le procedure di controllo che risultano ancora foriere di gravi anomalie.

Il coinvolgimento dei giovani nel lavoro può prevedersi in misura proporzionale ed obbligatoria agli importi nella progettazione e realizzazione delle opere, mentre per i piccoli e medi studi professionali deve essere previsto l’inserimento nei grandi interventi appannaggio delle Società di ingegneria, come del resto già previsto per le imprese, non solo a favore di una crescita degli stessi ma anche a vantaggio di un più ampio confronto culturale e di qualità degli interventi.

apr 19 2015

L’ordine dei geologi: “I costi dell’emergenza costa 5 volte di più della prevenzione”

«In media ogni mese vengono segnalati all’Ordine dai 4 ai 5 bandi da controllare ed almeno il 90 % di questi non è corretto, si assiste quasi sempre ad una sottovalutazione pressoché costante della figura del geologo. Il decreto parametri (Decreto 143/2013) non viene applicato e la stragrande maggioranza dei bandi sono gare con unico parametro di valutazione il solo ribasso economico senza alcun peso o peso minimale per la qualità dell’offerta. L’abolizione dei minimi tariffari ha avuto l’effetto di produrre ribassi selvaggi con la prevedibile conseguenza di una qualità del lavoro non sempre adeguata. E proprio quando il dissesto idrogeologico e le problematiche sismiche cominciano a essere riconosciute come importanti criticità dell’Italia, la categoria continua a vivere un disagio, una marginalizzazione difficilmente giustificabile».

È l’allarme lanciato dal presidente dell’Ordine dei Geologi della Toscana, Maria Teresa Fagioli, al convegno «La geologia oggi … e domani?» che si è tenuto oggi a Firenze al quale hanno partecipato il presidente nazionale dell’Ordine, Gian Vito Graziano e i presidenti degli Ordini dei Geologi Regionali delle regioni continentali che si affacciano sul Tirreno: Liguria, Lazio, Campania e Calabria. I numeri del dissesto. A fare da corollario all’incontro, i dati sul dissesto.

I costi dell’emergenza sono da 3 a 5 volte maggiori rispetto ai costi della prevenzione. Solo dal 2010 al 2013, il costo del dissesto è stato pari a 7,5 miliardi di euro, con una media di 2,5 miliardo di euro all’anno. Il 9,8% della superficie del Paese, pari a 29.517 kmq, è a potenziale rischio idrogeologico.

I Comuni interessati sono 6.633, circa l’82% dei Comuni italiani e gli abitanti che vivono in aree a elevata criticità idraulica sono 6 milioni. Negli ultimi 25 anni le vittime del dissesto sono state 1.000, il 12% delle frane ha causato danni a cose e persone. Solo nel 2014, anno horribilis per la sicurezza idrogeologica, ci sono stati 33 morti per frane e inondazioni e circa 10.000 sfollati. Gli eventi che hanno causato morti, feriti, sfollati e senzatetto hanno colpito 220 comuni in 19 delle 20 Regioni italiane. Il geologo paladino del territorio. È Il presidente nazionale Gian Vito Graziano a spiegare l’essenza della professione e del ruolo dei geologo. «Negli ultimi anni la figura del geologo si è rafforzata come sentinella dell’ambiente in senso ampio. Abbiamo assunto una matrice ambientale che dovrebbe salvaguardare il territorio da interessi speculativi.

La nostra professione nasce per la ricerca di materia prima, acqua, petrolio, adesso ha una accezione a più ampio spettro. Abbiamo abbandonato la ricerca del petrolio per concentrarci sulla valorizzazione, tutela e ricerca idrica e abbiamo abbracciato la geotermia di bassa entalpia. Tra i nuovi aspetti della professione, c’è quello della difesa e valorizzazione del paesaggio, dello sfruttamento delle geodiversità a anche a scopi culturali, la geodiversità che diventa attrattiva. In Italia, il geologo non è legato al privato, siamo visti come paladini del territorio» Non si può fare a meno del geologo. Tutte regioni che, come la Toscana, hanno territori di alta valenza ambientale, costieri altamente turistici e zone montuose e collinari con gravi problemi di rischio idrogeologico. «E’ un momento difficile per l’Italia in generale e per i geologi nello specifico», continua Fagioli. «Sembra infatti che, in nome di generalizzate quanto illusorie economie, sia in atto una marginalizzazione che si accanisce su ogni settore della geologia. Gli accademici vedono falcidiare i Dipartimenti di Scienze della Terra per una normativa miope che valuta l’importanza di una disciplina in base al numero degli studenti o dei docenti. Ai ricercatori i fondi vengono stornati o arbitrariamente ridotti, i pubblici dipendenti sono marginalizzati o trasferiti a compiti impropri. I iberi professionisti subiscono una drastica contrazione degli incarichi per la crisi delle attività imprenditoriali e degli investimenti pubblici».

Un quadro nel quale si assiste a «irrazionali tentativi di tacitarci per fame, quasi che così disastri e dissesti, diventati da eccezione, norma in un territorio lungamente trascurato e mal gestito, cessassero di esistere perché nessuno è più in grado di riconoscerne i segni premonitori, prevenirli, capirli, individuarne i responsabili». Manca la cultura geologica. A dirlo è Fulvio Iadarola presidente del Friuli Venezia Giulia. «Prima di qualsiasi intervento ci vuole la conoscenza del sottosuolo, dell’area». E poi «si preferisce lavorare sull’emergenza mentre si lavora molto poco sulla prevenzione. Anche in Friuli, dove la protezione civile è al top, ma ci si basa sul loro appoggio ad evento avvenuto. È un soccorso, e non mi importa essere estratto salma dalla macerie in poco tempo, è che non voglio proprio diventare salma».

In Calabria 220 milioni di euro non spesi, rischiano di essere persi. È amareggiato Francesco Fragale presidente della Calabria. «Non c’è la sensibilità verso i rischi, in Italia negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto a una media di 8 metri quadrati al secondo. Adesso ne paghiamo i danni. La mancanza di cultura della prevenzione si vive anche in Calabria. Tutti i 409 Comuni della regione hanno un’area classificata a rischio idrogeologico e sono state censite 9mila frane. Siamo la regione a più elevato rischio sismico del bacino del Mediterraneo, che detiene con la Toscana il primato del rischio idrogeologico, ma non riesce a spendere 220 milioni di euro previsti per finanziare 135 progetti di messa in sicurezza. Sono passati 4 anni e adesso rischiamo di perderli questi finanziamenti». Investire in prevenzione, ma non è conveniente per la politica. La dura presa di posizione arriva da Francesco Peduto presidente dell’Ordine della Campania. «

È una situazione generalizzata in tutta Italia, paghiamo il fatto di essere una professione giovane. Quando succede un disastro è perché non c’è stata prevenzione. Per la politica non è conveniente investire in prevenzione, ma porta più voti andare in televisione il giorno dopo e dire “ecco i soldi”. Il problema, poi, è che certe norme che vengono eluse perché mancano gli stanziamenti. Come per fare prevenzione, non ci sono finanziamenti e allora si elude la norma. Basta vedere quello che è successo dopo Sarno. Era l’occasione per dare una sterzata, per fare piani che non rimangano carta straccia in un cassetto, ma non è stato fatto niente. Non viene finanziata la difesa del suolo». Ribassi anche del 100% mettono a rischio le opere. In troppi casi, la professione del geologo è al ribasso a volta anche gratuita. Come racconta Roberto Troncarelli presidente del Lazio. «Sono ormai abbastanza frequenti ribassi del 100% praticati da professionisti che caduti i veti normativi non hanno più minimi tariffari da rispettare. Fanno un lavoro solo per farsi pubblicità e farsi una clientela. Ma a questa consulenza a costo zero, corrisponde una scadente qualità del lavoro e una sicurezza delle opere molto bassa». Nel Lazio poi, si taglia anche il servizio sismico e geologico della Regione. «Lo hanno soppresso con la scusa di una falsa riduzione della spesa.

In realtà era l’unico servizio che faceva prevenzione, ma a livello politico e a livello amministrativo la prevenzione non paga come consenso». Nelle conclusioni, la presidente Fagioli sottolinea come «c’è ancora molto da fare perché una scienza ed una professione fondamentali per la pubblica incolumità e per la tranquillità della cittadinanza possano non solo sopravvivere, ma vedersi assegnate anche in Italia, e in Toscana quei ruoli che vengono loro già riconosciuti nella totalità delle nazioni avanzate e nella stragrande maggioranza di quelle in via di sviluppo.

I geologi toscani continueranno ad impegnarsi perché ciò sia fatto».

 

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apr 15 2015

Etica, competenza, trasparenza, separazione dei ruoli: la ricetta degli ingegneri contro la corruzione negli appalti

Etica, competenza, trasparenza, separazione dei ruoli: sono questi gli ingredienti indicati dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri per far cambiare passo al Paese dopo gli ultimi preoccupanti casi di corruzione che hanno facendo emergere un sistema di criminalità all’interno della cabina di comando delle pubbliche amministrazioni. (vai alla Fonte)

Intervenendo sugli recenti casi di corruzione legati alle opere pubbliche, il Presidente del CNI Armando Zambrano ha affermato “Rimettere al centro l’importanza delle competenze, affidando incarichi dirigenziali in una logica di trasparenza e di rotazione dei manager, aprendo sempre di più l’ambito pubblico a giovani preparati e determinati”.

Affermazioni semplice quanto assolutamente condivisibile che mette in luce la voglia del settore professionale di intervenire efficacemente sul vero problema che nell’ultimo decennio ha mortificato il nostro Paese. Se è pur vero che la crisi mondiale ha mortificato il tessuto economico del Paese, bisogna, infatti, riconoscere che quello della corruzione è uno dei problemi principi che chi ci governa dovrebbe affrettarsi a risolvere, perché la corruzione l’Italia non se la può più permettere.

 

Il Presidente Zambrano è, inoltre, intervenuto sui casi di Ingegneri iscritti all’Albo arrestati “La recente riforma, che ha introdotto i Consigli di disciplina terzi rispetto agli organi amministrativi degli Ordini, consente di sanzionare con maggiore tempestività i comportamenti scorretti dei nostri iscritti.

e si reintroducesse l’obbligo per i tecnici che svolgono attività professionale nell’ambito della pubblica amministrazione di essere iscritti all’albo, si consentirebbe agli Ordini di poter concorrere con il proprio controllo deontologico, svolto ora da organi terzi composti da soggetti anche esterni all’Ordine, nominati dal Presidente del Tribunale competente territorialmente, di poter affiancare e supportare l’azione della magistratura a tutela del corretto realizzarsi dell’azione amministrativa”.

 

Il Presidente del CNI è andato oltre parlando del problema della regolamentazione delle società di ingegneria “Vi è un altro vulnus etico nel sistema e riguarda le società di ingegneria. Anche per loro non vige l’obbligo di iscrizione all’albo. Quelle coinvolte in casi di corruzione possono continuare ad operare indisturbate, semplicemente sostituendo il proprio Direttore tecnico sottoposto a giudizio o arrestato. Ciò comporta anche una disparità di trattamento con i professionisti e le società tra professionisti che invece hanno l’obbligo di iscrizione all’albo ed in caso di arresto dei propri titolari o dei propri soci, sono immediatamente e automaticamente sospese dall’albo, con la conseguente impossibilità di continuare ad operare sul mercato”.

Aldilà però dei casi particolari, il Presidente Zambrano ha suggerito una chiave di lettura più generale “Aldilà delle responsabilità personali questi eventi sono originati da un sistema che si fonda su un quadro normativo complesso, reso di fatto inapplicabile dalle centinaia di interventi di modifica che il legislatore ha introdotto e continua a introdurre senza soluzione di continuità.

Questo determina la necessità, nell’emergenza, di derogare ad un quadro normativo inapplicabile, concentrando i poteri decisionali sempre sulle stesse persone”.

Le possibili soluzioni

Esiste una soluzione ai problemi di corruzione del Paese?secondo il Presidente Zambrano sì e suggerisce anche alcuni possibili accorgimenti, semplici e immediatamente applicabili. “Rotazione e ridefinizione delle competenze delle figure dirigenziali che operano nella PA. Gli eventi delle ultime settimane provano la quasi totale mancanza di rotazione delle funzioni dirigenziali, ciò anche a causa del blocco del turn over nelle amministrazioni pubbliche per tagli alle risorse. Si parla oggi di riforma e di rinnovamento della Pubblica Amministrazione, iniziamo a dare sostanza a questa riforma anche attraverso figure professionali appropriate e processi di selezione e valutazione delle competenze che siano corretti e trasparenti”.

Separazione dei ruoli

“Bisogna, inoltre – ha continuato il presidente Zambrano – ripristinare una rigida separazione dei ruoli, che consenta di tagliare alla radice la possibilità di quella commistione di interessi che sta alla basa del fenomeno corruttivo nel settore dei lavori pubblici. Ci significa ricondurre l’appalto integrato di progettazione e costruzione ai limitati casi che la normativa prescrive. Reintrodurre la regola aurea della prima Merloni, con una separazione netta tra attività di progettazione e quella di costruzione, il cui affidamento deve essere reso possibile solo sulla base di un progetto esecutivo. Occorre abrogare la disposizione che consente al concessionario di nominare il direttore dei lavori, il quale ultimo che essere indicato esclusivamente dalla stazione appaltante. L’attività di verifica del progetto, nel caso quest’ultimo sia stato predisposto dagli uffici tecnici interni alla pubblica amministrazione, non deve poter essere svolta dagli stessi uffici ma essere affidata a professionisti esterni”.

Trasparenza

Secondo il Presidente Zambrano “E’ evidente che il settore degli appalti pubblici sia un comparto chiuso, dove a vincere gli appalti sono sempre i soliti soggetti e dove incarichi milionari possono essere affidati senza gara a pochissimi soggetti, sempre gli stessi. E’ necessario rendere trasparenti questi dati, con l’istituzione di una anagrafe nazionale degli affidamenti che possa consentire di evidenziare l’eventuale presenza di posizioni oligopolistiche. Oltre all’azione meritoria dell’Anac, vorremmo vedere anche in questo settore gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza che finora è rimasta immotivatamente silente”.

apr 11 2015

Partita IVA liberi professionisti: quando è obbligatoria?

Un dipendente di azienda pubblica o privata che venisse chiamato saltuariamente a svolgere atti di libera professione per cui si richiede la iscrizione ad un albo profesionale, può rilasciare una ricevuta per prestazione occasionale o é obbligato ad aprire comunque una partita IVA, anche se l’importo della prestazione fosse minore dei limiti consentiti per il rilascio della sola ricevuta per prestazione occasionale?

I liberi professionisti iscritti all’albo che contestualmente all’attività principale svolgono un secondo lavoro dipendente attinente però alla attività professionale che richiedela iscrizone a sdun albo, devono obbligatoriamente aprire la partita IVA.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con nota del 25 febbraio 2015, prot. n. 4594 ha chiarito che solo impropriamente queste attività collaterali si fanno rientrare nella collaborazioni “occasionali”.

Il caso di specie riguardava un soggetto iscritto all’ albo degli ingegneri e contestualmente titolare di un rapporto di lavoro dipendente con un ente pubblico.

La nota rappresenta quindi una risposta a un documento firmato dal Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri sulle prestazioni occasionali di professionisti iscritti ad albi.

Ecco dunque quanto stabilito in tema di liberi professionisti e partita IVA obbligatoria.

Il Ministero ha precisato nella nota de qua che, qualora l’attività svolta dal soggetto rientri tra leattività tipiche della professione per il cui esercizio è appunto avvenuta l’iscrizione all’albo, i compensi relativi vanno considerati alla stregua di redditi di lavoro autonomo, con conseguente soggezione integrale degli stessi alla disciplina ad hoc. Questo a prescindere dalla durata del rapporto professionale o dall’entità del corrispettivo.

La nota rappresenta un precedente importante a cui far riferimento per casi analoghi, non rari.

La pronuncia del Ministero dell’Economia e delle Finanze riesce finalmente a fare chiarezza su una questione border line che spesso ha lasciato spazio a comportamenti al limite della legittimità.

A tutti i liberi professionisti in questa situazione quindi viene imposta espressamente l’apertura di una partita IVA.

Il riferimento del Mef si collega a due note diramate dal Cni: la prima (n. 488 del novembre 2014) rappresenta un approfondimento sulle cosiddette prestazioni occasionali rese da quei professionisti per i quali l’attività professionale rappresenti un surplus rispetto una primaria attività lavorativa legata a rapporti di lavoro subordinato in qualità di dipendenti pubblici o privati; la seconda (n. 31/2015) è in risposta alle numerose richieste di chiarimento ricevute dal Consiglio nazionale.

apr 01 2015

Etica, competenza, trasparenza, separazione dei ruoli: la ricetta degli ingegneri contro la corruzione negli appalti. A cura di Gianluca Oreto

Etica, competenza, trasparenza, separazione dei ruoli: sono questi gli ingredienti indicati dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri per far cambiare passo al Paese dopo gli ultimi preoccupanti casi di corruzione che hanno facendo emergere un sistema di criminalità all’interno della cabina di comando delle pubbliche amministrazioni. A cura di Gianluca Oreto La Fonte

Intervenendo sugli recenti casi di corruzione legati alle opere pubbliche, il Presidente del CNI Armando Zambrano ha affermato “Rimettere al centro l’importanza delle competenze, affidando incarichi dirigenziali in una logica di trasparenza e di rotazione dei manager, aprendo sempre di più l’ambito pubblico a giovani preparati e determinati”. Affermazioni semplice quanto assolutamente condivisibile che mette in luce la voglia del settore professionale di intervenire efficacemente sul vero problema che nell’ultimo decennio ha mortificato il nostro Paese. Se è pur vero che la crisi mondiale ha mortificato il tessuto economico del Paese, bisogna, infatti, riconoscere che quello della corruzione è uno dei problemi principi che chi ci governa dovrebbe affrettarsi a risolvere, perché la corruzione l’Italia non se la può più permettere.

Il Presidente Zambrano è, inoltre, intervenuto sui casi di Ingegneri iscritti all’Albo arrestati “La recente riforma, che ha introdotto i Consigli di disciplina terzi rispetto agli organi amministrativi degli Ordini, consente di sanzionare con maggiore tempestività i comportamenti scorretti dei nostri iscritti. Se si reintroducesse l’obbligo per i tecnici che svolgono attività professionale nell’ambito della pubblica amministrazione di essere iscritti all’albo, si consentirebbe agli Ordini di poter concorrere con il proprio controllo deontologico, svolto ora da organi terzi composti da soggetti anche esterni all’Ordine, nominati dal Presidente del Tribunale competente territorialmente, di poter affiancare e supportare l’azione della magistratura a tutela del corretto realizzarsi dell’azione amministrativa”.

Il Presidente del CNI è andato oltre parlando del problema della regolamentazione delle società di ingegneria “Vi è un altro vulnus etico nel sistema e riguarda le società di ingegneria. Anche per loro non vige l’obbligo di iscrizione all’albo. Quelle coinvolte in casi di corruzione possono continuare ad operare indisturbate, semplicemente sostituendo il proprio Direttore tecnico sottoposto a giudizio o arrestato. Ciò comporta anche una disparità di trattamento con i professionisti e le società tra professionisti che invece hanno l’obbligo di iscrizione all’albo ed in caso di arresto dei propri titolari o dei propri soci, sono immediatamente e automaticamente sospese dall’albo, con la conseguente impossibilità di continuare ad operare sul mercato”.

Aldilà però dei casi particolari, il Presidente Zambrano ha suggerito una chiave di lettura più generale “Aldilà delle responsabilità personali questi eventi sono originati da un sistema che si fonda su un quadro normativo complesso, reso di fatto inapplicabile dalle centinaia di interventi di modifica che il legislatore ha introdotto e continua a introdurre senza soluzione di continuità. Questo determina la necessità, nell’emergenza, di derogare ad un quadro normativo inapplicabile, concentrando i poteri decisionali sempre sulle stesse persone”.

 Le possibili soluzioni

Esiste una soluzione ai problemi di corruzione del Paese?secondo il Presidente Zambrano sì e suggerisce anche alcuni possibili accorgimenti, semplici e immediatamente applicabili. “Rotazione e ridefinizione delle competenze delle figure dirigenziali che operano nella PA. Gli eventi delle ultime settimane provano la quasi totale mancanza di rotazione delle funzioni dirigenziali, ciò anche a causa del blocco del turn over nelle amministrazioni pubbliche per tagli alle risorse. Si parla oggi di riforma e di rinnovamento della Pubblica Amministrazione, iniziamo a dare sostanza a questa riforma anche attraverso figure professionali appropriate e processi di selezione e valutazione delle competenze che siano corretti e trasparenti”.

Separazione dei ruoli

“Bisogna, inoltre – ha continuato il presidente Zambrano – ripristinare una rigida separazione dei ruoli, che consenta di tagliare alla radice la possibilità di quella commistione di interessi che sta alla basa del fenomeno corruttivo nel settore dei lavori pubblici. Ci significa ricondurre l’appalto integrato di progettazione e costruzione ai limitati casi che la normativa prescrive. Reintrodurre la regola aurea della prima Merloni, con una separazione netta tra attività di progettazione e quella di costruzione, il cui affidamento deve essere reso possibile solo sulla base di un progetto esecutivo. Occorre abrogare la disposizione che consente al concessionario di nominare il direttore dei lavori, il quale ultimo che essere indicato esclusivamente dalla stazione appaltante. L’attività di verifica del progetto, nel caso quest’ultimo sia stato predisposto dagli uffici tecnici interni alla pubblica amministrazione, non deve poter essere svolta dagli stessi uffici ma essere affidata a professionisti esterni”.

Trasparenza

Secondo il Presidente Zambrano “E’ evidente che il settore degli appalti pubblici sia un comparto chiuso, dove a vincere gli appalti sono sempre i soliti soggetti e dove incarichi milionari possono essere affidati senza gara a pochissimi soggetti, sempre gli stessi. E’ necessario rendere trasparenti questi dati, con l’istituzione di una anagrafe nazionale degli affidamenti che possa consentire di evidenziare l’eventuale presenza di posizioni oligopolistiche. Oltre all’azione meritoria dell’Anac, vorremmo vedere anche in questo settore gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza che finora è rimasta immotivatamente silente”.

mar 23 2015

Riforma del Catasto, la proposta dei Geometri

Il Consiglio Nazionale dei Geometri propone un nuovo sistema di calcolo e gestione dei dati per potenziare la Riforma del Catasto facedola diventare una best practise internazionale.

Rendere la Riforma del Catasto un’occasione per favorire una fiscalità sugli immobili più equa, trasparente, semplificata e finalizzata alla crescita: è l’obiettivo del Consiglio Nazionale Geometri, che scende in campo con una proposta e una simulazione concreta sulla Riforma del Catasto, presentandola al convegno “Catasto 2.0“, organizzato sabato 21 marzo nell’ambito dell’exhibition “MADEexpo“, in un confronto con l’Agenzia delle Entrate.

Riforma del Catasto: ecco come funziona

Fra i relatori, oltre a Maurizio Savoncelli e Antonio Benvenuti, Presidente e Vice Presidente di CNGeGL (Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati), Gianni Guerrieri, Direttore Centrale OMISE – Agenzia delle Entrate, e Franco Maggio, Direttore Centrale Catasto e Cartografia – Agenzia delle Entrate. Ricordiamo che la Riforma del Catasto, contenuta nella delega fiscale, ha compiuto i primi passi con il decreto per la formazione delle Commissioni Censuarie, che dovranno appunto rivedere le rendite catastali, con criteri che le avvicinino maggiormente ai valori di mercato.

Vediamo quali sono le proposte del Consiglio Nazionale dei Geometri. L’idea di base è quella di non limitare la trasformazione alla rettifica dei valori patrimoniali degli immobili e delle rendite catastali, ma di cambiare il metodo di calcolo dell’imponibile. L’idea è di applicare una funzione estimativo-statistica, basata per il patrimonio sul valore di mercato dell’immobile, e per la rendita sul probabile canone lordo al quale l’immobile può essere locato. Si tratta di un metodo relativamente semplice, che consente di raggiungere velocemente l’obiettivo anche disponendo di pochi dati sull’immobile.

I Geometri argomentano sottolineando i seguenti punti a favore:

la gradualità: le valutazioni iniziali possono essere migliorate via via che si rendono disponibili informazioni più dettagliate come, per esempio, le caratteristiche tecniche dell’immobile e prezzi di mercato più aggiornati;

l’equità di applicazione per tutti gli immobili e una lettura aggiornata dell’intero patrimonio immobiliare del Paese;

la trasparenza nei confronti del contribuente, che viene messo in condizione di comprendere e verificare il processo di revisione del sistema estimativo, con una conseguente drastica diminuzione del contenzioso e dei costi sociali associati;

la semplicità per tecnici e contribuenti, che possono attraverso le funzioni di stima lineari operare confronti e verifiche evitando contenziosi tributari;

l’attendibilità: applicando metodologie di calcolo estimative e procedure statistiche e calcoli consente maggiore aderenza dei risultati alle realtà del mercato.

I Geometri propongono anche la creazione di un Catasto Dinamico, una banca dati in grado di contrastare l’obsolescenza e la staticità dell’attuale sistema censuario, attraverso la registrazione in tempo reale delle modifiche del territorio e del mercato immobiliare. Gli obiettivi indicati si possono perseguire anche grazie alle norme previste dalla Riforma dalla Catasto, come il passaggio dai vani ai metri quadri per determnare la rendita catastale, che rende il sistema più omogeneo e vicino al mercato. I geometri insistono poi su due punti:

la creazione di nuove competenze (e qui entrano in gioco le categorie professionali in grado di fare idagini sugli immobili): si pensa a riconoscere ai professionisti lo status di pubblici ufficiali per svolgere perizie ineccepibili, autorevoli e funzionali;

la collaborazione fra Comuni, professionisti, e cittadini: per stimolare i contribuenti, si propone in particolare un credito d’imposta a parziale compensazione delle spese sostenute per contribuire all’aggiornamento degli archivi catastali, presentando denuncia dello stato reale e del proprio immobile.

Secondo il Consiglio dei Geometri, questo sistema rappresenterebbe una best practise a livello internazionale. «Il nostro paese – spiega Maurizio Savoncelli -, è fortemente penalizzato dalla mancanza dei dati», e deve «riconquistare la posizione di prim’ordine» che aveva «nel 1940, con l’avvento delle operazioni di accertamento e classamento dell’allora Nuovo Catasto Edilizio Urbano». Però, conclude il presidente del CNGeGL, facciamo attenzione a non confondere «la tassazione con la definizione di un archivio imponibile certo. Nel primo caso, i coefficienti vengono decisi dalla politica, nel secondo, il geometra può divenire un “alleato” prezioso». (Fonte: il video sulla proposta del CNGeGL)

mar 19 2015

Sicurezza nei cantieri: intervista all’Arch. Giancarlo Maussier, presidente di Federarchitetti Roma. A cura di Marco Brezza

Anche quest’anno Federarchitetti organizza la Giornata Nazionale per la Sicurezza nei Cantieri. Si tratta della sesta edizione della importante manifestazione che si svolgerà a Roma il 26 Marzo 2015, presso l’acquario Romano, in piazza Manfredo Fanti 47 (e contemporaneamente in altre città italiane: Milano, Parma, Rimini, Avezzano, Benevento, Caserta, Salerno e Catania). L’idea è quella di promuovere e sviluppare capillarmente una vera e propria “cultura della sicurezza”, affinché essa diventi un patrimonio condiviso da tutti (operatori e non) del comparto edile, del mondo del lavoro, insomma, dell’intera collettività.

Per saperne di più sulla manifestazione e per comprendere meglio come si definisce il tema della sicurezza in cantiere nell’attuale dibattito, la redazione di Ediltecnico ha raggiunto il presidente di Federarchitetti Roma, l’Arch. Giancarlo Maussier, per una intervista.

Ediltecnico: Gli architetti sono protagonisti della sicurezza in ambito edile: come questa figura si sta confrontando nell’attualità con il fondamentale ed ineludibile tema della sicurezza sul cantiere?

Giancarlo Maussier: Gli architetti, insieme agli altri rappresentanti delle professioni tecniche quali ingegneri, geometri e periti vengono largamente impiegati nei cantieri edili con ruoli di elevatissima responsabilità, per i quali la più modesta delle inadempienze viene pesantemente sanzionata, dal momento che essi si devono occupare della sicurezza e dell’incolumità delle persone. Purtroppo i professionisti che hanno ruoli e responsabilità per la sicurezza nei cantieri, come ho avuto modo di affermare più volte, sono schiacciati tra gli interessi dei committenti, che vogliono spendere il meno possibile, e quelli delle imprese che vogliono guadagnare il massimo possibile, e sono quindi vittime di questo meccanismo perverso che rende loro molto difficile garantire la sicurezza, in quanto vengono nominati (e pagati) dal committente, che alla fine preferisce un professionista più indulgente che gli eviti quindi il ricatto di un’impresa che pretende compensi maggiori .

Ediltecnico: Gli infortuni sul lavoro continuano ad essere molto diffusi nel settore costruzioni: si stanno facendo passi in avanti in materia di sicurezza per limitare tali accadimenti? In quale modo?

Maussier: I dati sugli infortuni e le morti bianche rappresentano invero un quadro complessivo in calo significativo, ma ciò non è dovuto tanto ad una diminuzione in assoluto di tali eventi negativi, quanto ad un sensibile e ridotto impiego di manodopera conseguente alla crisi che attanaglia il comparto delle costruzioni. Si stanno comunque facendo passi in avanti a livello nazionale e periferico e molti di più se ne possono fare per promuovere in ogni ambito la “cultura della sicurezza”, che, nel nostro paese è un vero e proprio prodotto di eccellenza del quale possiamo andare orgogliosi. Noi di Federarchitetti siamo da anni impegnati su questo fronte in particolare con le “Giornate Nazionali per la Sicurezza nei Cantieri”, giunte quest’anno alla sesta edizione, che hanno visto gratificato l’impegno profuso dal nostro Sindacato con prestigiosi riconoscimenti quali le sei medaglie di rappresentanza della Presidenza della Repubblica e i patrocini, tra gli altri, della Presidenza del Senato, della Presidenza della Camera, e della Presidenza del Consiglio.

Ediltecnico: Sono in corso alcuni cambiamenti che stanno caratterizzando la figura del coordinatore della sicurezza nell’ultimo periodo?

Maussier: A dire il vero non si registrano significativi cambiamenti sul piano normativo per questa figura, oltre che i suoi ruoli e le sue responsabilità, fatta eccezione per alcuni documenti di cantiere in versione semplificata, quali il PSC (Piano di Sicurezza e di Coordinamento) a cura del coordinatore, il POS (Piano Operativo di Sicurezza) a cura dell’impresa, e altri documenti. Per dirla tutta, si tratta di semplificazioni di facciata che comportano comunque sostanzialmente gli stessi impegni di prima. Il vero problema è che, come più volte segnalato e lamentato, tutte i protagonisti del comparto edile, ovvero le imprese e gli operai sono ampiamente rappresentate nella Commissione permanente consultiva di cui si parla nel d.lgs. 81/2008 (il Testo Unico per Sicurezza nei Luoghi di lavoro, ndr), ad eccezione dei professionisti che operano quotidianamente con ruoli di responsabilità e che potrebbero pertanto dare un contributo concreto per un miglioramento e/o un aggiornamento normativo.

Ediltecnico: L’importanza della formazione (“è un’opportunità non un obbligo”, affermava lei stesso un paio di anni fa intervistato da RaiNews24) per esercitare le funzioni di coordinamento sicurezza nei cantieri. A oggi qual è la risposta dei tecnici? La formazione è percepita come un valore aggiunto o come un obbligo da espletare il prima possibile?

Maussier: Un paio di anni orsono, a proposito dell’obbligo di aggiornamento quinquennale per i coordinatori della sicurezza previsto dall’Allegato XIV del d.lgs. 81/2008, mi piaceva parlare di opportunità, piuttosto che di obbligatorietà, in quanto, a prescindere dall’obbligo ritenevo, e ritengo, utile e opportuno un aggiornamento normativo e un “ripasso” della materia. Devo dire però che, a distanza di qualche hanno, abbiamo riscontrato un calo sensibile nelle iscrizioni ai corsi di aggiornamento che Federarchitetti propone, ma ciò è sostanzialmente dovuto ad un ridotto interesse dei colleghi conseguente ad una ridottissima attività professionale. Sono moltissimi i colleghi, da me sentiti, che preferiscono aspettare l’incarico professionale di coordinatore per frequentare un corso, sia pure in “zona Cesarini”.

Ediltecnico. Quale sarà il tema principale che caratterizzerà questa Sesta Giornata Nazionale per la Sicurezza nei Cantieri? Suggerisce tre motivi per i quali è importante partecipare alla giornata?

Maussier: Il tema che caratterizza la Sesta Giornata Nazionale per la Sicurezza nei Cantieri è Rischincantiere. Ci siamo cioè proposti di affrontare il problema dei principali rischi presenti nei cantieri edili (rischio elettrico, rischio caduta dall’alto, ecc.) che sono stati trattati sia nella rivista sia in un concorso fotografico bandito per la prima volta quest’anno da Federarchitetti che, già dalla prima edizione ha avuto un buon riscontro sia sul piano quantitativo che qualitativo.

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