L’ambito dell’esclusiva degli architetti sulle opere edilizie sottoposte a tutela dei beni culturali è stato oggetto di un vivace dibattito, tanto tra le corte amministrative, quanto tra i vari ordini professionali. Tra questi, quelli degli architetti propugnano un’interpretazione restrittiva della norma che fonderebbe tale esclusiva (art. 52 R.D. n. 2537/1925), mentre quelli degli ingegneri, come è ovvio, provano ad accreditarne un’applicazione meno rigorosa, denunciandone persino il preteso contrasto con l’ordinamento comunitario.
Il dibattito non si è sopito nemmeno dopo la sentenza della Corte di Giustizia (21 febbraio 2013, causa C-111-12) che è intervenuta ex professo sulla questione e la successiva sentenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 21) che ha definito il giudizio in senso sfavorevole alle tesi sostenute dagli ingegneri.
In effetti, la norma, redatta 90 anni fa, lascia qualche dubbio interpretativo, soprattutto a motivo dell’utilizzo di termini ed espressioni – figlie del contesto ordinamentale in cui a suo tempo si inserivano – che, però, hanno col tempo perso pregnanza mano a mano che progrediva e si specializzava la legislazione ordinistica sui lavori pubblici.
Partiamo, dunque, dalla lettura delle norme di riferimento, ossia degli artt. 51 e 52 R.D. n. 2537/1925:
Art. 51: “Sono di spettanza della professione d’ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo”.
Art. 52: “Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”.
Alcuni punti fermi.
Nessun dubbio sul fatto che sulle opere diverse dall’edilizia civile (es. condutture fognarie, reti stradali, etc.) l’ingegnere ha competenza esclusiva ai sensi dell’art. 51. In questo senso si è espressa costantemente la giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado. Tra i tanti, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1150/2013; Sez. IV, n. 2938/2000; Tar Sicilia, Palermo, n. 2274/2002; Tar Calabria, n. 354/2008; Tar Veneto, n. 1153/2011; Tar Puglia, Lecce, n. 1270/2013; TAR Lazio, Latina, n. 608/2013.
Nemmeno è dubbio che l’art. 52 ponga una regola (competenza promiscua per le opere di edilizia civile), un’eccezione (competenza esclusiva dell’architetto per le opere sottoposte a tutela ai sensi della legge fondamentale del 1939, oggi Codice Urbani, ovvero per le opere, anche di nuova realizzazione, comunque giudicate “di rilevante carattere artistico” pur non essendo sottoposte a tutela), ed un’eccezione all’eccezione (la “parte tecnica” è comunque sempre di competenza promiscua) che vale a ristabilire la regola generale (competenza promiscua).
E, ancora, è pacifico che la competenza esclusiva dell’architetto può essere predicata anche con riferimento d un’opera (ovvero: bene immobile) non sottoposto a tutela ma comunque “di rilevante carattere artistico”, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2303; Tar Lombardia, Milano, 24 luglio 2014, n. 2016).
Dove, invece, si avverte il bisogno di un intervento chiarificatore, anche, se del caso, in sede di interpretazione autentica, è in ordine agli esatti confini dell’eccezione all’eccezione. Che vuole dire, “tradotto” nel linguaggio dei lavori pubblici (ovvero: dei servizi attinenti l’architettura e l’ingegneria), “parte tecnica” di un’opera di edilizia civile sottoposta a tutela o comunque di rilevante interesse artistico? Alcune corti amministrative non hanno dubbi: progettazione esecutiva e direzione lavori costituiscono la “parte tecnica” e possono essere svolte anche dagli ingegneri, pur quando si tratti di beni sottoposti a tutela (Tar Lazio, 30 marzo 2015, n. 4713: “La stesura del progetto esecutivo, quindi, si presenta come la ingegnerizzazione del progetto definitivo, in modo tale che la relativa attività può essere demandata anche ad ingegneri, senza alcun contrasto con la previsione di cui all’articolo 52, comma 2, del richiamato R.D. n. 2537 del 1925”; Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 21, secondo cui l’ambito dell’esclusiva riguarda soltanto “le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico”, restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, ossia “le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria (…)” (in tal senso: Cons. Stato, VI, 11 settembre 2006, n. 5239)”.
In particolare, non sembra agevole individuare in modo univoco, con un criterioex ante, “le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti”. Ed è perciò che è auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore, in difetto del quale la soluzione del caso concreto sarà affidata, di volta in volta, alla “sensibilità” dell’interprete. Vai alla fonte