Categoria: discussione-settimana

feb 20 2016

Congruità delle Parcelle

Certificazione energetica: quando il Comune prende per il collo i professionisti

Certificazione energetica: quando il Comune prende per il collo i professionisti

Dunque vediamo … qual è il prezzo onesto per la diagnosi energetica e redazione del relativo attestato di prestazione energetica per una palestra comunale e due edifici scolastici? Un Comune della Provincia di Pavia ritiene che un certificatore energetico possa assumere l’incarico per la cifra complessiva di 1.500 euro. Ovviamente comprese tutte le spese, l’IVA e gli oneri per la cassa previdenziale. Superfluo aggiungere che l’importo fissato è quello a base d’asta e l’offerta (al ribasso) concorrerà per il 40% alla determinazione della graduatoria.

Non molto tempo addietro ci siamo interrogati su quale potesse essere il prezzo giusto per un APE, esaminando i costi medi chiesti dai professionisti nelle diverse città italiane.

 La media, come forse ricorderanno i nostri lettori, era di 120 euro e l’indagine scatenò un vivace dibattito tra i tecnici nel gruppo di LinkedIn dedicato ai professionisti per le costruzioni.

“La somma di 500 euro per ognuno degli Audit e per la redazione dell’APE è a dir poco indecente per la qualità e la quantità del lavoro che deve essere svolto”, ci indica l’ing. Domenico Pepe, progettista esperto in tematiche legate al risparmio e all’efficienza energetica in edilizia.

In particolare, sottolinea Pepe, “è incredibile che nel bando pubblicato non si faccia riferimento a nessun criterio per il calcolo della parcella e ad alcuna norma per le modalità di redazione dell’Audit per la preparazione del quale ci sono differenti norme ben precise”.

Dalla lettura del bando, infatti, non emerge nessuna “tensione” verso la realizzazione di un lavoro ben eseguito. “Non si richiede l’uso di strumentazione specifica! Nemmeno un rilievo di tipo qualitativo tramite termografia”, continua l’ing. Pepe che si chiede quale professionista possa partecipare a un bando simile che svilisce decisamente la professione tecnica.

Al momento in cui stiamo scrivendo, non sappiamo se la gara sia andata deserta o se ci sia stato qualche partecipante (a proposito, il bando precisa che “si procederà all’aggiudicazione anche in presenza di una sola offerta valida, purché ritenuta congrua e vantaggiosa per l’amministrazione comunale”.

Considerando che si parte da una base di 1.500 euro per tre edifici di dimensioni decisamente più impegnative di un appartamento medio di 80 metri quadri, crediamo che qualunque offerta sarà “congrua e vantaggiosa”. Solo per una parte, però.

feb 13 2016

LIBERE PROFESSIONI

Fondi Europei, l’attività del libero professionista costituisce attività di impresa?

 

feb 10 2016

TAR: l’ingegnere può progettare e dirigere i lavori su edifici storico-artistici

Bocciato il ricorso dei concorrenti che rivendicavano la competenza esclusiva degli architetti

Con la sentenza n. 36/2016 la prima sezione del Tar Emilia-Romagna si è pronunciata, tra l’altro, sulla legittimità dell’invito alla gara di un ingegnere per il compimento di attività di progettazione e direzione lavori che, riguardando opere relative ad un bene di interesse storico-artistico assoggettato a tutela ex d.lgs. n. 42 del 2004, sarebbero riservate alla competenza degli architetti.

Il Collegio ha chiarito l’ambito di applicabilità dell’art. 52, comma 2, del r.d. n. 2537 del 1925: si tratta della previsione secondo cui “…le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”. Questa previsione va intesa – secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale – nel senso che non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico, restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, ossia le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria, quali – in particolare – le lavorazioni strutturali ed impiantistiche (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2014 n. 21), se si limitano, ad es., alla messa in sicurezza dell’immobile e alla revisione degli impianti senza intaccare l’aspetto estetico dell’edificio (v. TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 29 ottobre 2015 n. 2519).

RIPRISTINO STRUTTURALE DELLA PORZIONE DELLE STRUTTURE LESIONATE DAL SISMA DEL 2012. Nel caso di specie, nel deliberare l’avvio della procedura di ricerca dell’affidatario dell’incarico in questione, il Comune approvava il «documento preliminare all’avvio della progettazione» ex art. 15 del d.P.R. n. 207 del 2010, il quale precisava – tra l’altro – che “l’intervento è volto al ripristino strutturale della porzione delle strutture lesionate dal sisma” e che si doveva provvedere ad “interventi di riparazione con rafforzamento locale”, così inquadrando le relative prestazioni in una sfera di misure di risanamento e salvaguardia dell’immobile danneggiato da ricondurre all’ambito di operatività dell’art. 3 del regolamento allegato all’ordinanza commissariale n. 120 del 2013 (“Per la realizzazione degli interventi di riparazione con rafforzamento locale degli edifici ricompresi nel Programma, che presentano danni lievi, oltre la riparazione del danno, si dovrà conseguire, tenendo conto del tipo e del livello del danno, un incremento della capacità dell’edificio di resistere al sisma mediante opere di rafforzamento locale progettate ai sensi del punto 8.4.3. delle “Norme tecniche per le costruzioni” approvate con il D.M. 14/01/2008”). Si trattava, quindi, di intervenire essenzialmente sulla struttura dell’edificio per ripararla e consolidarla attraverso opere di edilizia civile riconducibili alla c.d. «parte tecnica» di cui all’art. 52, comma 2, del r.d. n. 2537 del 1925, nella lettura ampia che ne ha dato la giurisprudenza, ovvero restandone ricomprese tutte le lavorazioni che non incidono sui profili estetici e di rilievo culturale degli edifici vincolati.

Dal che, alla luce del particolare contesto in cui l’intervento di ripristino dell’edificio andava effettuato – ovvero la rimozione dei pregiudizi strutturali prodotti dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012 e l’apprestamento di misure idonee a proteggere l’immobile dal rischio di simili fatti naturali –, la corretta individuazione della figura professionale dell’ingegnere quale soggetto abilitato a curare la relativa progettazione e direzione dei lavori. vai alla fonte

feb 02 2016

da Ingegneri.info

Riforma appalti diventa legge, l’Oice: “Finalmente il progettista torna centrale”

La soddisfazione dell’associazione delle società di ingegneria per l’approvazione definitiva, in Senato, del testo che va a riformare il sistema degli appalti

 

Per l’associazione delle società di ingegneria, aderente a Confindustria, il ddl ha migliorato e rafforzato il ruolo del progetto e del progettista attraverso una serie di decisioni sulle quali l’Oice insiste da molto tempo: l’eliminazione dell’incentivo del due per cento per i progettisti interni alla P.A., la limitazione dell’appalto integrato, il divieto di affidamento degli incarichi al prezzo più basso, la limitazione delle varianti e il rilancio della funzione di verifica dei progetti.

“Avevamo da subito affermato che l’occasione del recepimento delle direttive europee e della riforma del codice appalti andava colta per dare un colpo deciso alla corruzione attraverso una maggiore trasparenza delle procedure e un rafforzamento dei poteri dell’Anac e tutto questo lo ritroviamo ben calibrato nei settanta criteri direttivi della legge delega”, spiega Lotti. “In particolare, il ruolo centrale affidato all’Autorità nazionale anticorruzione, che terrà l’albo dei commissari di gara e giocherà un ruolo decisivo sia per la messa a punto di bandi e contratti-tipo, sia per la vigilanza sulla esecuzione dei contratti, rappresenta una garanzia per tutti gli operatori del settore in termini di trasparenza e lotta alla corruzione”.

Il varo della riforma è però soltanto il primo passo di un iter lungo e complesso: “Oggi – conclude il Presidente Lotti – dobbiamo ringraziare Governo e Parlamento per l’importante lavoro fatto, al quale noi come tutte le altre componenti del settore abbiamo dato un contributo di esperienza importante e correttamente ascoltato, nell’interesse pubblico. Adesso il lavoro più difficile è in capo alla commissione ministeriale che dovrà attuare la delega. Siamo convinti che gli esperti chiamati a questo compito sapranno rendere ancora più efficaci ed effettivi i principi direttivi della delega, portando in consultazione pubblica un testo che certamente renderà la normativa più chiara e semplice, consentendo a tutti, compresi i progettisti, le imprese e le amministrazioni di concentrarsi non sui ricorsi e sulle interpretazioni normative, ma sul lavoro e sul fine ultimo da perseguire: programmare, progettare e realizzare opere di qualità ed efficienti, utili alla collettività. Per nostra parte ci siamo e ci saremo sempre”

gen 21 2016

Ingegneri, contributi a Inarcassa anche sulle attività connesse

Tribunale di Bari: non è necessario che la prestazione sia riservata agli iscritti all’ Albo, è sufficiente dover usare le stesse conoscenze tecniche

Bisogna versare a Inarcassa i contributi sui redditi percepiti per lo svolgimento di attività collegate, anche indirettamente, con l’esercizio della professione di ingegnere. Lo ha ribadito il Tribunale di Bari con la sentenza 4776/2015.

Come più volte affermato anche da precedenti pronunce, non è necessario che le attività siano riservate al professionista. È infatti sufficiente unacorrelazione per rendere quei redditi assoggettati alla contribuzione presso la Cassa di appartenenza.

Questo significa che nella fattura per la prestazione svolta, il professionista deve indicare anche il contributo previdenziale dovuto alla Cassa di categoria.

Secondo i giudici, deve essere inteso in senso ampio il concetto di “redditi professionali”, che possono essere prodotti non solo da attività tipiche, riservate agli iscritti negli appositi albi, ma anche da prestazioni che presentano un nesso con la professione.

Esiste un nesso se, per svolgere queste attività “non tipiche”, sono comunque necessarie le stesse conoscenze tecniche di cui il professionista si avvale per l’esercizio della sua attività.

Nel caso preso in esame, un ingegnere aveva emesso una fattura per un servizio svolto senza inserire la percentuale dovuta a Inarcassa, Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi professionisti. Inarcassa aveva quindi emesso una cartella di pagamento, contro la quale, però, il professionista si era opposto affermando che i pagamenti percepiti non si riferivano alla sua attività d ingegnere.

Il Tribunale di Bari ha dato ragione a Inarcassa spiegando che il concetto di “esercizio della professione” non deve essere interpretato in senso statico e rigoroso perché è necessario tenere conto dell’evoluzione subita dalle specifiche competenze rispetto agli anni in cui sono state regolamentate le professioni.

Questa interpretazione, hanno concluso i giudici, è valida per tutte le categorie professionali.

gen 04 2016

Salute e sicurezza sul lavoro, chiarimenti dal Ministero sui criteri di qualificazione del formatore Risposta a una istanza di interpello presentata da Federcoordinatori

La Federazione Sindacale Italiana dei Tecnici e Coordinatori della Sicurezza (Federcoordinatori), ha avanzato istanza di interpello in merito al decreto interministeriale 6 marzo 2013 relativo ai criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro.

In particolare l’istante chiede dì sapere se “con il termine alternativamente si intende che nell’arco dei tre anni il formatore-docente deve effettuare sia attività di docenza che seguire corsi di aggiornamento ovvero è da considerarsi valevole quale aggiornamento se per i primi tre anni effettua solo attività di docenza, per un minimo di 24 ore, e per i tre anni successivi frequenta solo corsi di aggiornamento e convegni per almeno 24 ore”.

Al riguardo va premesso che il decreto 6 marzo 2013, in vigore dal 18 marzo 2014 – attuativo della previsione di cui all’art. 6, comma 8, lettera m-bis, del d.lgs. n. 81/2008 – definisce i criteri di qualificazione della figura di formatore per la salute e sicurezza sul lavoro dei quali deve essere in possesso il docente dei corsi di formazione per datori di lavoro che intendano svolgere i compiti del servizio di prevenzione e protezione nonché per lavoratori, dirigenti è preposti.
LA RISPOSTA DEL MINISTERO DEL LAVORO. Tutto ciò premesso, la Commissione per gli interpelli del Ministero del Lavoro ha fornito, in data 2 novembre 2015, le seguenti indicazioni.
Il decreto 6 marzo 2013 stabilisce l’obbligo di aggiornamento professionale, con cadenza triennale, per il formatore-docente. Il triennio decorre:
- dalla data di applicazione (12 mesi dopo la pubblicazione su G.U.) per chi è già qualificato a tale data;
- dalla data di effettivo conseguimento della qualificazione per gli altri.
L’obbligo di aggiornamento si articola in due diverse modalità, il formatore-docente è tenuto alternativamente:
1. alla frequenza, per almeno 24 ore complessive nell’area tematica di competenza, di seminari, convegni specialistici, corsi di aggiornamento, organizzati dai soggetti di cui all’articolo 32, comma 4. del d.lgs n. 81/2008 s.m.i.. Di queste 24 ore almeno 8 ore devono essere relative a corsi di aggiornamento;
2. ad effettuare un numero minimo di 24 ore di attività di docenza nell’area tematica di competenza.
Con il termine “altemativamente” il legislatore ha inteso dare la possibilità al formatore-docente di scegliere liberamente la tipologia di aggiornamento più confacente alla sua figura e non ha, viceversa, inteso che le due modalità vadano alternate nei consecutivi trienni ovvero per tre anni solo docenza e per tre anni successivi solo corsi di aggiornamento e convegni.

dic 05 2015

Crediti Formativi Professionali (CFP): lo stato dell’arte per Architetti e Ingegneri

Da quando è entrata in vigore la formazione continua?quanti crediti formativi professionali (CFP) è necessario maturare ogni anno?con quali criteri? Sono solo alcune delle domande che periodicamente riceviamo in redazione in merito alla formazione professionale obbligatoria a cui dall’1 gennaio 2014 anche Architetti e Ingegneri devono far fronte.

Cominciamo dal principio e per categoria professionale.

Formazione continua Ingegneri
Il Regolamento per l’aggiornamento della competenza professionale della categoria degli ingegneri è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 13 del 15 luglio 2013.
L’art. 3 del Regolamento (Attività di formazione professionale continua: misura e minimo obbligatorio per l’esercizio della professione), stabilisce che per esercitare la professione l’iscritto deve essere in possesso di un minimo di 30 CFP che si possono conseguire:
con un accredito iniziale all’atto dell’iscrizione;
con le attività di aggiornamento professionale continuo non formale, informale e formale (l’scritto è libero di scegliere quali attività intende svolgere).

Il numero massimo di CFP che ogni iscritto può cumulare è 120 (superata questa soglia, la formazione sarà inutili ai fini della formazione continua). Ogni anno vengono detratti 30 CFP dal totale posseduto (arrivati a 0 non vengono attuate ulteriori detrazioni).

Come si accumulano i CFP?
Al momento dell’iscrizione all’Albo si accreditano:
agli iscritti all’Albo alla data di entrata in vigore dell’obbligo formativo vengono accreditati 60 CFP;
in caso di prima iscrizione all’Albo entro 2 anni dal conseguimento dell’abilitazione: 90 CFP;
in caso di prima iscrizione all’Albo dopo 2 anni e fino a 5 anni dal conseguimento dell’abilitazione: 60 CFP;
in caso di prima iscrizione all’Albo dopo 5 anni dal conseguimento dell’abilitazione: 30 CFP.

I crediti conferiti al momento della prima iscrizione all’Albo comprendono 5 CFP sull’etica e deontologia professionale da conseguite obbligatoriamente entro il primo anno solare successivo a quello dell’iscrizione.

Qualora un iscritto abbia esercitato la professione senza aver assolto all’obbligo di aggiornamento della competenza professionale, il Consiglio dell’Ordine territoriale di appartenenza è tenuto a deferirlo al Consiglio di Disciplina territoriale per le conseguenti azioni disciplinari.

Esoneri
Possono essere motivo di esonero dall’obbligo di aggiornamento della competenza professionale, concesso da parte degli Ordini territoriali, su domanda da parte dell’iscritto, i seguenti casi:
a) maternità o paternità, per un anno;
b) servizio militare volontario e servizio civile;
c) grave malattia o infortunio;
d) altri casi di documentato impedimento derivante da accertate cause oggettive o di forza maggiore.

Formazione continua Architetti
Il Regolamento per l’aggiornamento della competenza professionale della categoria degli architetti p.p.c. è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 17 del 15 settembre2013.

Diversamente dagli Ingegneri, gli Architetti parlano di triennio formativo come riferimento temporale per tutti gli iscritti, ivi compresi coloro i quali si iscrivono all’Ordine nel secondo o terzo anno di un triennio formativo. Il primo periodo di valutazione dell’aggiornamento e sviluppo professionale continuo decorre dall’1 gennaio 2014 al 31 dicembre 2016, il secondo dall’1 gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, e così via.

Nel primo periodo di valutazione dell’aggiornamento e sviluppo professionale continuo i Crediti Formativi Professionali da acquisire sono limitati a 60, con un minimo di 10 crediti annuali di cui almeno 4 crediti formativi professionali per ogni anno derivanti da attività di aggiornamento e sviluppo professionale continuo sui temi della Deontologia e dei Compensi professionali.

Nei trienni successivi (a partire dall’1 gennaio 2017) dovranno essere acquisiti 90 CFP con un minimo di 20 CFP annuali di cui 4 CFP, per ogni anno, derivanti da attività di aggiornamento e sviluppo professionale continuo sui temi delle discipline ordinistiche. È ammesso riportare eventuali crediti maturati in eccesso rispetto a quanto stabilito al comma precedente da un triennio al triennio successivo con un limite massimo di 10 CFP.

Per chi si iscrive all’albo per la prima volta. l’obbligo formativo decorre dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello dell’iscrizione, con facoltà dell’interessato di chiedere ed ottenere il riconoscimento di eventuali crediti formativi maturati nel periodo intercorrente fra la data di iscrizione all’albo e l’inizio dell’obbligo formativo.

Esoneri
Le linee guida per la formazione degli architetti prevedono la possibilità di esonero dalla formazione per i seguenti casi:
a) maternità, si riduce l’obbligo formativo di – 20 cfp nel triennio sperimentale e – 30 cfp nel triennio ordinario, ivi compresi i 4 cfp obbligatori;
b) malattia grave, infortunio, assenza dall’Italia, che determinino l’interruzione dell’attività professionale per almeno sei mesi continuativi;
c) altri casi di documentato impedimento derivante da cause di forza maggiore e situazioni di eccezionalità.
d) per gli iscritti con almeno 20 anni di iscrizione all’albo la obbligatorietà formativa cessa al compimento del 70esimo anno di età.

Sia per Architetti che per gli Ingegneri, i CFP potranno essere ottenuti solo attraverso partecipazione ad eventi riconosciuti dai Consigli Nazionali.

nov 08 2015

Terni: «Quel vizietto chiamato cemento»

di Lorenzo Carletti
Segretario Prc Terni
La speculazione edilizia è un male che si è protratto per lunghi anni nella nostra città, stravolgendo drasticamente il tessuto paesaggistico e ambientale che di Terni ne aveva fatto la storia.
L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) in un indagine pubblicata nel 2014, ha stimato che nel 2008 a Terni si è raggiunto un consumo del suolo di 2.575 ettari all’anno, pari al 12,2% del territorio comunale.
Uno sviluppo non adeguamente pianificato, ha dato origine all’insediamento dal centro urbano verso l’esterno, di nuclei abitativi di notevoli dimensioni, con ampiezze ben più grandi rispetto a quelle di altre città con pari numero di abitanti.
Oggi, dopo la pesante crisi e l’arresto della crescita demografica, ci troviamo di fronte a innumerevoli aree con cantieri abbandonati e opere incompiute, che si accompagnano a palazzine semivuote, a causa delle forti difficoltà economiche che attanagliano la maggioranza dei cittadini.
Basti pensare a zone come Toano,Tuillo, o Santa Maria Maddalena, dove l’accaparramento di terreni agricoli a basso costo e la complicità di una mala amministrazione, ha permesso negli anni passati l’edificazione di nuove aree residenziali dalle cubature spropositate.
Enormi le difficoltà che i residenti vi si trovano a dover affrontare: oltre al disagio di vivere fra i cantieri abbandonati, che spesso diventano luogo di malaffare, si scontrano contro servizi carenti e opere di urbanizzazione che non sono state mai realizzate, da quelli stessi costruttori, che spesso mantengono titolarità sui terreni non ancora edificati.
Eppure, nonostante i risultati di anni di scellerate scelte siano ancora oggi sotto gli occhi di tutti, il Partito Democratico non ha trovato di meglio per rilanciare una morente economia che dare l’avvio,con il recente regolamento edilizio approvato,ad una nuova stagione di cementificazione selvaggia.
L’idea parte dalla Regione, dove la Presidente Marini,è stata molto chiara sul tema: il nuovo regolamento prevederà un taglio del 20% sul costo degli oneri di urbanizzazione per la realizzazione di nuovi insediamenti residenziali, che arriverà oltre il 25% nel caso di ampi interventi di edilizia abitativa; il risparmio del 10% previsto sugli oneri a carico dei nuovi insediamenti produttivi, avvantaggerà solo alcuni tipi di attività, anche se lesive per il territorio, privilegiando le grandi catene di distribuzione di massa.
Mentre le agevolazioni previste per la ristrutturazione di edifici già esistenti, rappresentano una vera foglia di fico: anche in questo caso sarà facile che il costruttore scelga il “nuovo” piuttosto che il “vecchio”, per ben più ampi margini di guadagno; inoltre ci sarà validità retroattiva per tutti quei progetti di edificazione già depositati nei cassetti degli uffici comunali, ma non ancora approvati.
Così il Comune di Terni in vista dell’arrivo del grande capo, nonchè dirigente in aspettativa della Legacoop Umbria, per l’innagurazione dell’ennesimo centro commerciale, guarda caso Coop, in una località come Gabelletta dove ben visibili sono i segni di una urbanizzazione brutale; non ha trovato modo migliore di accoglierla, che approvando i diktat di un regolamento su misura per le tasche dei palazzinari.
Una vera vergogna, se si pensa a tutti quei ternani che vivono quotidianamente sotto la paura di sfratti, pignoramenti, o che nella migliore ipotesi sognano la prima casa, a fronte degli innumerevoli appartamenti vuoti presenti nella città.
Ma oltre al danno c’è pure la beffa; di fatti gli oneri di urbanizzazione, che da tempo rientrano nei sanguinosi bilanci comunali, hanno la finalità di essere utilizzati oltre che per l’allaccio delle opere realizzate alla rete dei servizi primari, anche per la costruzione e manutenzione di: scuole, strade, impianti sanitari,sportivi,culturali e sociali e aree verdi di quartiere.
Il sacrificio di tali servizi amministrativi, già carenti, rappresenterebbe un ulteriore aggravio per la collettività, con un proseguio dell’erosione del territorio ternano, nel nome del mattone; crediamo invece che una giusta politica di rilancio edile dovrebbe puntare esclusivamente sul recupero di quanto già esistente e su un piano di opere pubbliche strategiche per la città.
Per questo, non possiamo accettare che la tutela di migliaia di cittadini e la salvaguardia del territorio, vengano sacrificati in nome degli interessi di ditte speculative, spesso di dubbia provenienza,che aspettano insaziabili l’ennesimo obolo di scambio da parte di un Partito, che di Democratico ha solo i propri interessi.

nov 02 2015

Elenchi di Professionisti e AGCM: no a criteri che determinano una ingiustificata restrizione della concorrenza

Nessuna restrizione della concorrenza negli avvisi di gara per la formazione di elenchi di professionisti. Lo ha confermato ancora una volta l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), interpellata dal Consiglio Nazionale dei Geologi in merito alla formazione da parte della Regione Marche degli elenchi di professionisti (geologi, ingegneri e geometri) cui affidare incarichi di microzonazione sismica e di analisi della condizione limite per l’emergenza (c.d. CLE) nei Comuni a rischio.

In particolare, dall’esposto dei Geologi, l’AGCM è entrata nel merito dell’avviso della Regione Marche in cui veniva previsto per la formazione di elenchi di professionisti per l’affidamento di incarichi, anche di limitato importo, un criterio di selezione che premia l’esperienza pregressa sul territorio e l’iscrizione all’albo provinciale o regionale. Secondo l’AGCM tale criterio risulta essere idoneo a favorire i professionisti già attivi nel territorio, in violazione del principio di non discriminazione che vieta di effettuare una selezione di concorrenti “privilegiando coloro che esercitano prevalentemente la loro attività nell’ambito territoriale in cui devono essere svolte le prestazioni”.

L’AGCM ha, quindi, pubblicato nel Bollettino n. 36 del 12 ottobre 2015 la segnalazione inviata alla Regione Marche ed alla Stazione appaltante intercomunale (centrale di committenza), in cui svolge alcune considerazioni di natura concorrenziale in merito alla formazione da parte della Regione Marche degli elenchi di professionisti (geologi, ingegneri e geometri) cui affidare incarichi di microzonazione sismica e di analisi della condizione limite per l’emergenza (c.d. CLE) nei Comuni a rischio.

L’avviso in questione prevedeva la formazione di elenchi di elenchi di professionisti per l’affidamento di incarichi al di sotto di 20.000 Euro di microzonazione sismica e di microzonazione sismica e di professionisti per analisi CLE (cosiddetta CLE) nei comuni a rischio, e, assegnando un punteggio massimo in centesimi, considerava requisiti premianti e costituenti titoli curriculari le “esperienze documentate”, per entrambi gli studi/analisi, relative alla conoscenza approfondita del territorio (35 punti).

L’Antitrust ha richiamato l’attenzione sulle distorsioni della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato dei servizi professionali offerti da geologi, ingegneri e geometri per gli studi/analisi di micronazione sismica e CLE che derivano dalle disposizioni concernenti la formazione degli elenchi di professionisti. Prevedendo, infatti, quale titolo preferenziale per la formazione dell’elenco di professionisti il criterio della documentata “conoscenza approfondita del territorio” in cui dovrà essere svolto l’incarico e assegnando a tale criterio il maggior punteggio attribuibile (35/100), gli Schemi di contratto Allegati al Decreto n. 1/2015 e l’Avviso di Gara, introducono una ingiustificata restrizione alla prestazione dei servizi in questione.

Come segnalato dal Consiglio Nazionale dei Geologi, ogni professionista, anche attivo in altri ambiti territoriali ma con esperienza nei servizi affidati, è in grado, avvalendosi della tecnologia in uso nel settore, di acquisire la necessaria conoscenza delle caratteristiche geologiche e strutturali del territorio, a prescindere dall’ambito nel quale ha svolto la propria attività pregressa e/o dall’albo professionale di appartenenza. Ciò, peraltro, a prescindere dalla considerazione che acquisire tale conoscenza costituisce un mero e doveroso adempimento rientrante nella diligenza professionale. In altri termini, il criterio di selezione previsto è idoneo a favorire i professionisti già attivi nel territorio, in violazione del principio di non discriminazione che vieta di effettuare una selezione di concorrenti “privilegiando coloro che esercitano prevalentemente la loro attività nell’ambito territoriale in cui devono essere svolte le prestazioni.

L’Autorità ha concluso precisando che, benché l’importo complessivo, per ciascun Comune, per il servizio di microzonazione e CLE sia ampiamente inferiore a 40.000 € (20.000 ai sensi dell’art. 267 del D.P.R. n. 207/10) e, dunque, ai sensi dell’art. 125, comma 11, del D.Lgs. n. 163/06 sia possibile ricorrere ad affidamenti diretti nelle procedure in economia o di cottimo fiduciario, la previsione e valorizzazione di un requisito su base territoriale come quello segnalato ha l’effetto di restringere arbitrariamente la platea di soggetti tra i quali l’amministrazione è chiamata a scegliere. Ciò si pone in contrasto con i principi di liberalizzazione delle attività economiche sanciti, in particolare, dagli artt. 10 e 12 del D.Lgs. n. 59/10, che recepisce la c.d. Direttiva Servizi, come più volte sottolineato dall’Autorità in tutti i casi in cui norme o atti amministrativi hanno posto requisiti di accesso/esercizio dell’attività su base territoriale

ott 24 2015

Medici competenti- Jobs Act ovvero della “semplificazione mancata”

Pubblichiamo il commento di A.Pro.Me.L. (Attività Professionale del Medico del Lavoro/Medico Competente) la sezione tematica della S.I.M.L.I.I. dedicata specificamente all’attività professionale del medico del lavoro/medico competente, ai decreti del Jobs Act.

 
Dopo una lunga attesa, in seguito all’approvazione da parte del consiglio dei ministri e al successivo parere del Parlamento, sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23.9.2015 sono stati pubblicati gli ultimi decreti relativi alla legge delega del cosiddetto Jobs ActSi ricorderà che la legge delega, tra l’altro, aveva imposto al Governo di emanare uno o più provvedimenti legislativi “allo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro”,per cui uno di questi decreti – il DL n. 151 del 14/09/2015 – reca norme specifiche in materia di sicurezza sul lavoro e modifica anche qualche articolo del D.Lgs. 81/08, in particolare con il capo III intitolato “Razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
Purtroppo, occorre premettere subito che i medici del lavoro e tutti i medici competenti hanno accolto l’emanazione e la successiva pubblicazione dei decreti delegati con grande delusione ed amarezza. Si tratta, infatti, come già detto anche in altre occasioni e da parte di molti esperti del settore, dell’ennesima occasione mancata da parte del nostro sistema politico e istituzionale. A testimonianza della scarsa attenzione politica per quanto riguarda il tema specifico, d’altronde, sono ancora numerosi i decreti attuativi previsti dal D.Lgs. 81/08 non ancora approvati, alcuni neanche in fase di elaborazione.
 
Nonostante il titolo, infatti, il decreto 151/2015 non modifica a fondo la normativa vigente né procede a concrete semplificazioni della stessa se non con alcuni interventi di ristrutturazione di alcuni comitati, introduzione di nuove sanzioni, correzione di alcuni (pochi) errori materiali dell’81/08, chiarimenti di alcune esclusioni della sua applicazioni (lavoro domiciliare, badanti etc.), obbligo di trasmissione telematica di certificati INAIL, abolizione del registro infortuni etc. E’ da ribadire che, nonostante i numerosi e ripetuti interventi della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale presso i competenti organi istituzionali, funzionari ministeriali ed esponenti politici e del governo (in primis il Ministero del Lavoro), non è stata apportata nessuna modifica nel senso di razionalizzazione, semplificazione o altro inerente l’attività professionale del medico competente. Restano invariati gli errori materiali, le incongruenze del testo legislativo, gli adempimenti di difficile (talora quasi impossibile) accoglienza da parte del medico competente che erano stati puntualmente sottoposti all’attenzione di funzionari ministeriali ed esponenti politici del Governo con vari documenti e prese di posizione chiare e precise. Addirittura, con una decisione non del tutto comprensibile, nel testo pubblicato sulla G.U. è scomparso anche quanto presente nello schema di decreto inviato dal Governo al Parlamento per il parere delle competenti commissioni di Camera e Senato, cioè quella modifica dell’art. 41 del D.lgs. 81/08 che giustamente aboliva la scorretta ripetizione, nello stesso articolo, della “ visita medica preventiva in fase preassuntiva”, che ha dato adito a interpretazioni difformi che possono rendere complesso l’adempimento di tale obbligo di legge.
 
L’articolo 20 del citato DL 151/2015 prevede una serie di modiche e/o integrazioni di diversi articoli del D.Lgs. 81/08, in assenza di una complessiva rivisitazione dell’impianto legislativo (iniziativa auspicabile, ma che in effetti sarebbe andata al di là dei limiti della delega imposta) e di una reale razionalizzazione o semplificazione.
 
Una presunta semplificazione riguarda la modifica della composizione della Commissione Consultiva, organo pletorico ma che, tutto sommato, finora aveva lavorato con una discreta efficienza. In seguito a tali modifiche, la Commissione comprenderà ancora trenta componenti, per cui si tratta comunque di un organo che non può dirsi particolarmente snello; occorrerà verificare nel prossimo futuro come riuscirà a organizzar la sua attività. La modifica introdotta riduce il numero dei componenti indicati dalle Regioni e dalle parti sociali e aggiunge alcuni nuovi componenti, tra cui tre esperti – rispettivamente – in medicina del lavoro, igiene industriale e impiantistica industriale. Tali soggetti dovranno essere individuati e inseriti nella Commissione in seguito ad apposito decreto del Ministero del Lavoro (ancora da emanare). L’inserimento nella Commissione di esperti in Medicina del Lavoro era una delle richieste SIMLII che non compariva nell’iniziale documento del governo ed è stata recepita nel testo pubblicato in G.U., anche in seguito alla discussione in sede parlamentare. E’ auspicabile che quanto previsto nel nuovo dettato legislativo comporti la scelta di membri autorevoli e dotati di sufficiente esperienza, provenienti dalle società scientifiche e dalle associazioni del settore più rappresentative a livello nazionale, in grado di proporre soluzioni e indicazioni adeguate alla realtà sociale e professionale del nostro Paese.
 
Il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, costituito ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs 81/08, viene parzialmente modificato nella sua composizione e la sua direzione viene affidata al Ministero della Salute; si confida che questa variazione abbia importanti sviluppi per la tutela, la prevenzione e la promozione della salute nei luoghi di lavoro avente come protagonista il medico competente, purtroppo ancora troppo penalizzato dalla rigida normativa e dalle condizioni di mercato.
 
L’articolo 28 del D. Lgs. 81/08 viene integrato con la previsione che l’INAIL possa rendere disponibili al datore di lavoro “strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei livelli di rischio” e il successivo articolo 29 viene modificato con la previsione di ulteriori “strumenti semplificati di supporto per la valutazione dei rischi”, tra cui anche strumenti informatizzati, come ad esempio il sistema europeo OIRA (Online Interactive Risk Assessment). Non è chiaro, peraltro, come questa indicazione potrà tradursi concretamente nella pratica, soprattutto nelle piccole e medie aziende (la maggioranza del sistema produttivo italiano), in cui la valutazione del rischio è quasi sempre affidata a tecnici esterni all’impresa e spesso considerata come adempimento puramente formale. Allo stesso tempo spiace notare come non venga adeguatamente precisato e valorizzato il ruolo del medico competente in questa iniziale fase di valutazione, nonostante l’obbligo di collaborazione sancito dall’art. 25 del D.Lgs. 81/08, che ha dato adito a tante discussioni e contenziosi.
 
Anche l’impianto sanzionatorio del D.Lgs 81/08 è stato parzialmente modificato, senza però prevedere alcuna riduzione o abolizione delle sanzioni a carico del medico competente, modifiche più volte invocate dalla SIMLII e da tutte le associazioni del settore. Si rimanda al testo del decreto 151/2015 per i dettagli, ma può essere utile far presente la modifica che riguarda il raddoppio o la triplicazione della sanzione per il datore di lavoro qualora lo stesso (o il dirigente incaricato) ometta di “inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico”. In questi casi l’importo della sanzione prevista dall’articolo 55 viene raddoppiato se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori e triplicato se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori. Inutile sottolineare l’importanza che tale previsione riveste per le ricadute pratiche a carico dei medici competenti, soprattutto nel caso di aziende o enti pubblici con numerosi dipendenti, ove non sempre si riesce, per motivi di forza maggiore, a essere puntuali nell’effettuare le visite entro la scadenza prevista. Quella che è stata da più parti considerata come una effettiva semplificazione è il nuovo obbligo della trasmissione telematica del primo certificato medico di infortunio o malattia professionale – così l’articolo 21 del DL 151/15 modifica l’art. 53 del DPR 1124/65 – con efficacia pressoché immediata, a 180 giorni dalla pubblicazione in G.U. (entro il 21 marzo 2016). Nel frattempo l’INAIL dovrebbe mettere a punto un sistema informatizzato atto a consentire l’adempimento di tale nuovo obbligo, che riguarda ovviamente non solo i medici competenti ma – in generale – tutti i medici italiani. Anche qui è lecito dubitare sul reale impatto di semplificazione di tale atto sanitario, atteso che l’obbligo di trasmissione telematica di tali certificati comporta la necessità di accreditare al sistema informatico INAIL (ancora da realizzare) tutti i medici iscritti all’albo professionale, che quindi dovranno essere dotati di strumenti informatici e di una connessione alla rete adeguata. Non è chiaro, inoltre, come la notizia dell’infortunio o della malattia professionale possa giungere in tempi congrui al datore di lavoro, che a sua volta dovrebbe compilare (sempre per via telematica) la relativa denuncia all’ente assicuratore.
 
In conclusione, rimane ancora rilevante l’obiettivo di una reale semplificazione e di una modifica integrale delle norme vigenti in tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro nonché, per quanto ci riguarda, dei requisiti, delle prerogative e delle responsabilità dei medici competenti, che sarebbe il caso di cominciare a definire più correttamente e modernamente “medici della prevenzione occupazionale”, ampliando il ventaglio delle loro competenze e rendendo più utile ed efficace il loro operato, specialmente nel momento attuale in cui la Sanità Pubblica è soggetta a una profonda revisione allo scopo di eliminare sprechi e pratiche inappropriate.
 
A tale proposito, è necessario oggi più che mai continuare a incalzare tutte le forze politiche e governative, come già fatto in passato, con una azione comune che coinvolga tutte le parti interessate, convergendo su proposte e obiettivi condivisi e concretamente realizzabili in tempi congrui e senza rimandare a un imprecisato e mai definito “futuro”.
 
E. Ramistella – Coordinatore nazionale
C. Mirisola – Segretario nazionale
set 24 2015

Ingegneri: il CNI definirà standard prestazionali per certificare le competenze

E’ in partenza l’iniziativa del Consiglio Nazionale Ingegneri (CNI) per definire gli standard prestazionali oggettivi che gli ingegneri potranno certificare di possedere.

Nella circolare 586/2015 il CNI illustra gli obiettivi di tale processo e la direzione che intende prendere, chiedendo aiuto e suggerimenti agli ordini provinciali.

Il Consiglio Nazionale infatti ha messo a punto un sistema per certificare, in modo oggettivo, le competenze professionali degli ingegneri, nei diversi settori dell’ingegneria. Gli standard definiranno i contenuti dei preventivi di affidamento degli incarichi, obbligatori per legge, e consentiranno di poter svolgere quella verifica sugli obblighi e sulla qualità delle prestazioni, con lo scopo, secondo il CNI, di far emergere i professionisti che svolgono correttamente la loro attività. Tutto questo si baserà su riferimenti oggettivi ed indiscutibili assicurati da un organismo “terzo”, ovvero l’ente di normazione UNI.

Per il CNI tale iniziativa è d’interesse primario per tutti gli iscritti all’albo che potranno definire e pubblicizzare le proprie competenze con “strumenti idonei e oggettivi in grado di definire al meglio i contenuti minimi delle prestazioni oggetto di incarico per superare la distanza che c’è tra l’immaterialità della prestazione offerta, la concretezza dell’offerta economica e la realtà del ‘prodotto’ effettivamente eseguito dal progettista”.

Inoltre il CNI mette in evidenza che “dalla possibilità di verifica della qualità e completezza della prestazione alla possibilità di ipotizzare costi minimi per lo svolgimento delle prestazioni il passo è decisamente breve”; in questo modo sarà possibile individuare e pubblicizzare parametri tariffari riferiti almeno ai costi minimi necessari.

Il CNI in questo modo vuole coniugare “la tutela dell’attività professionale con la tutela del Cliente, e quindi, della società”. Infatti il progetto vuole valorizzare i professionisti che svolgono seriamente e secondo precise regole deontologiche il proprio lavoro, in un mercato senza regole e controlli.

Il Consiglio Nazionale Ingegneri, concludendo la circolare esorta gli ordini provinciali a partecipare all’iniziativa indicando 15 aree di specializzazione in campo ingegneristico, per le quali si ritiene prioritario svolgere l’attività di definizione degli standard prestazionali.

Certificazione competenze: le azioni nel tempo del CNI
Ricordiamo che il CNI e l’UNI, con l’Accordo stipulato nel mese di aprile 2014, hanno concordato di procedere allo sviluppo degli standard prestazionali, legati allo svolgimento della libera professione di ingegnere, che definiscono azioni, strumenti e comportamenti finalizzati a garantire prestazioni di qualità.

Successivamente, nel mese di maggio 2015, il CNI e UNI hanno dato avvio al programma delle attività stabilendo le funzioni ed il ruolo di ciascun organismo, la composizione dei gruppi di lavoro, il metodo ed i contenuti del lavoro per la definizione degli standard prestazionali.

Per prima cosa il CNI, nell’ambito dei tre settori dell’ingegneria (civile e ambientale; industriale; dell’informazione) individuerà un primo insieme di ambiti di attività per i quali verranno definiti gli standard prestazionali. Una volta identificato l’ambito di riferimento e la singola prestazione, il gruppo di lavoro procederà ad identificare: l’articolazione del singolo processo; le fasi che compongono il processo; il compito, ovvero la singola attività di una fase.

Inoltre i gruppi di lavoro dovranno identificare i tempi entro cui ciascuna prestazione deve essere ragionevolmente portata a termine (data la complessità e le caratteristiche della prestazione) e dovranno introdurre specifiche procedure di controllo del processo di svolgimento delle attività modulate anche sulle diverse forme (singola, associata, società; mono o multidisciplinare ) in cui viene svolta l’attività professionale.

Secondo il CNI l’elaborazione di schemi predefiniti “tutela non solo il committente (che avrà elementi di riferimento per verificare il processo di lavoro e la sua qualità), ma anche il libero professionista, il quale avendo standard di riferimento non potrà essere sottoposto ad un ampliamento o ad una riduzione eccessiva dei tempi di consegna del lavoro o a compensi talmente contenuti da determinare l’impossibilità di rispettare gli standard prestazionali di base”.

Inoltre gli standard “consentiranno di distinguere con più esattezza le differenze tra le prestazioni che possono essere erogate dagli ingegneri e dagli ingegneri iuniores, riconoscendo a ciascuna figura professionale il ruolo spettante a seconda dei contesti lavorativi”. Vai alla fonte

E’ in partenza l’iniziativa del Consiglio Nazionale Ingegneri (CNI) per definire gli standard prestazionali oggettivi che gli ingegneri potranno certificare di possedere.
 
Nella circolare 586/2015 il CNI illustra gli obiettivi di tale processo e la direzione che intende prendere, chiedendo aiuto e suggerimenti agli ordini provinciali.
 

Prestazioni professionali ingegneri

Il Consiglio Nazionale infatti ha messo a punto un sistema per certificare, in modo oggettivo, le competenze professionali degli ingegneri, nei diversi settori dell’ingegneria. Gli standard definiranno i contenuti dei preventivi di affidamento degli incarichi, obbligatori per legge, e consentiranno di poter svolgere quella verifica sugli obblighi e sulla qualità delle prestazioni, con lo scopo, secondo il CNI, di far emergere i professionisti che svolgono correttamente la loro attività. Tutto questo si baserà su riferimenti oggettivi ed indiscutibili assicurati da un organismo “terzo”, ovvero l’ente di normazione UNI.

Per il CNI tale iniziativa è d’interesse primario per tutti gli iscritti all’albo che potranno definire e pubblicizzare le proprie competenze con “strumenti idonei e oggettivi in grado di definire al meglio i contenuti minimi delle prestazioni oggetto di incarico per superare la distanza che c’è tra l’immaterialità della prestazione offerta, la concretezza dell’offerta economica e la realtà del ‘prodotto’ effettivamente eseguito dal progettista”.
 
Inoltre il CNI mette in evidenza che “dalla possibilità di verifica della qualità e completezza della prestazione alla possibilità di ipotizzare costi minimi per lo svolgimento delle prestazioni il passo è decisamente breve”; in questo modo sarà possibile individuare e pubblicizzare parametri tariffari riferiti almeno ai costi minimi necessari.
 
Il CNI in questo modo vuole coniugare “la tutela dell’attività professionale con la tutela del Cliente, e quindi, della società”. Infatti il progetto vuole valorizzare i professionisti che svolgono seriamente e secondo precise regole deontologiche il proprio lavoro, in un mercato senza regole e controlli.
 
Il Consiglio Nazionale Ingegneri, concludendo la circolare esorta gli ordini provinciali a partecipare all’iniziativa indicando 15 aree di specializzazione in campo ingegneristico, per le quali si ritiene prioritario svolgere l’attività di definizione degli standard prestazionali.
 

Certificazione competenze: le azioni nel tempo del CNI

Ricordiamo che il CNI e l’UNI, con l’Accordo stipulato nel mese di aprile 2014, hanno concordato di procedere allo sviluppo degli standard prestazionali, legati allo svolgimento della libera professione di ingegnere, che definiscono azioni, strumenti ecomportamenti finalizzati a garantire prestazioni di qualità.
 
Successivamente, nel mese di maggio 2015, il CNI e UNI hanno dato avvio alprogramma delle attività stabilendo le funzioni ed il ruolo di ciascun organismo, la composizione dei gruppi di lavoro, il metodo ed i contenuti del lavoro per la definizione degli standard prestazionali.
 
Per prima cosa il CNI, nell’ambito dei tre settori dell’ingegneria (civile e ambientale; industriale; dell’informazione) individuerà un primo insieme di ambiti di attivitàper i quali verranno definiti gli standard prestazionali. Una volta identificato l’ambito di riferimento e la singola prestazione, il gruppo di lavoro procederà ad identificare: l’articolazione del singolo processo; le fasi che compongono il processo; il compito, ovvero la singola attività di una fase.
 
Inoltre i gruppi di lavoro dovranno identificare i tempi entro cui ciascuna prestazione deve essere ragionevolmente portata a termine (data la complessità e le caratteristiche della prestazione) e  dovranno introdurre specifiche procedure di controllo del processo di svolgimento delle attività modulate anche sulle diverse forme (singola, associata, società; mono o multidisciplinare ) in cui viene svolta l’attività professionale.
 
Secondo il CNI l’elaborazione di schemi predefiniti “tutela non solo il committente (che avrà elementi di riferimento per verificare il processo di lavoro e la sua qualità), ma anche il libero professionista, il quale avendo standard di riferimento non potrà essere sottoposto ad un ampliamento o ad una riduzione eccessiva dei tempi di consegna del lavoro o a compensi talmente contenuti da determinare l’impossibilità di rispettare gli standard prestazionali di base”.
 
Inoltre gli standard “consentiranno di distinguere con più esattezza le differenze tra le prestazioni che possono essere erogate dagli ingegneri e dagli ingegneri iuniores, riconoscendo a ciascuna figura professionale il ruolo spettante a seconda dei contesti lavorativi”.

set 17 2015

Ddl Concorrenza: è scontro tra RPT e OICE

È ormai scontro totale tra Consigli Nazionali dell’area tecnica, rappresentati dalla Rete delle Professioni Tecniche (RPT), e OICE. Il nodo è sempre lo stesso: il Ddl Concorrenza all’esame della Commissione Finanze e Attività Produttive della Camera ed in particolare l’art. 31 che nell’ultimo anno ha subito diverse e spesso contrastanti modifiche.

L’ultima modifica approvata obbligherebbe le Società di Ingegneria che intendono operare nel settore privato a rispettare gli stessi requisiti richiesti alle Società tra Professionisti (StP) ed, in particolare, l’iscrizione all’ordine professionale che dall’OICE sarebbe stato definito un “illogico regalo agli ordini professionali” (leggi articolo).

Mentre, da una parte, sembrerebbe stata ormai chiarita la possibilità per le Società di Ingegneria di operare nel settore privato (la sentenza del Tribunale di Bologna n. 2481/2015 conferma che “il divieto di esercitare attività libero professionale in forma societaria è stato abrogato dalla legge 266/1997, e l’articolo 17 comma 6 della legge 109/94 detta una definizione delle società che possono effettuare attività di progettazione, direzione lavori ed accessori applicabile anche ai lavori privati”), dall’altra l’OICE ha criticato fortemente l’art. 31 del Ddl Concorrenza perché “introduce vincoli e balzelli per condizionare la – invece pacifica – legittimità dei contratti stipulati dalle società di ingegneria con committenti privati”.

Positiva è stata, naturalmente, la reazione della Rete delle Professioni Tecniche che, rappresentando i Consigli Nazionali delle Professioni Tecniche e quindi gli Ordini e Collegi professionali, non poteva essere che soddisfatta di quest’ultima modifica. “Ringraziamo il Governo e le Commissioni della Camera – ha commentato il Coordinatore Nazionale Armando Zambrano – per aver dato ascolto alle nostre istanze. Si blocca il tentativo di chi vorrebbe operare fuori dalle regole, violando evidenti principi Costituzionali ma anche della concorrenza.

In un comunicato dell’ultima ora la RPT ha affermato che “I professionisti tecnici italiani esprimono soddisfazione per la tanto auspicata modifica dell’articolo 31 del Ddl Concorrenza, in tema di società di ingegneria. Nel corso dell’esame, infatti, le Commissioni Finanze e Attività Produttive della Camera hanno approvato l’emendamento 31.7 Senaldi che consente alle Società di ingegneria di operare nel settore privato solo a patto di possedere gli stessi requisiti già richiesti alle Società tra Professionisti (STP) ed agli stessi professionisti che già operano in questo campo. Da quanto risulta,il provvedimento dovrebbe andare in aula entro il prossimo 23 settembre per l’approvazione definitiva alla Camera, per poi passare al Senato”.

In particolare, anche le Società di Ingegneria dovranno:
prevedere che l’esecuzione dell’incarico professionale sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta;
avere una copertura assicurativa;
essere iscritte all’Albo professionale;
rispettare le norme deontologiche.

Il comunicato della RPT è andato, però, oltre precisando che “In caso di assenza dei suddetti requisiti le Società di ingegneria continueranno a non poter operare nel mercato privato” e, quindi, ammettendo implicitamente che fin’ora non siano abilitate a operare nel mercato privato.

Pesantissime le parole del Coordinatore Zambrano che avrebbe affermato “come ha affermato la stessa Commissione Giustizia nel suo parere al provvedimento, la formulazione originaria dell’art.31 avrebbe creato una condizione anticoncorrenziale, attribuendo un enorme vantaggio competitivo alle Società di ingegneria che solo soggetti poco rispettosi dei principi della libera concorrenza e del mercato, su un campo così delicato come la tutela dei committenti privati, possono pretendere di difendere”, sottintendendo che l’OICE sarebbe il soggetto poco rispettoso dei principi di libera concorrenza (o sono io che penso male?).

“L’art. 31 – termina Zambrano – non nasce da una sollecitazione dell’Autorità per la Concorrenza, ma dalla protervia di chi mira ad ottenere attraverso la legge vantaggi e protezioni. Le migliaia di società di ingegneria che hanno operato correttamente negli anni nel settore dei lavori pubblici, astenendosi dall’intrattenere rapporti con la committenza privata, e che non si sentono oggi adeguatamente rappresentate, plaudono con noi professionisti all’equilibrata soluzione elaborata dal Governo e dalle Commissioni parlamentari”.

Pronta è arrivata la risposta del Presidente OICE Ing. Patrizia Lotti che ha inviato a noi una nota affermando: “Il presidente Zambrano sarebbe bene che si limitasse a parlare ai e per i suoi iscritti, evitando di menzionare le società di ingegneria e un settore imprenditoriale rispetto al quale non ha alcuna competenza e, men che meno, rappresentanza”.

“Le società di ingegneria – ha continuato il numero uno dell’OICE – tutto stanno facendo tranne che “plaudire” allo scempio giuridico che, con la disattenzione colpevole del Governo e dei parlamentari, è stato scelleratamente posto in essere, con ripercussioni e danni che potranno agevolmente essere fatti presenti in tutte le sedi, anche a livello comunitario. Al massimo potrà parlare per quelle 12 società tra professionisti che, grazie al flop della legge 183/2011, sono state costituite in quasi tre anni. Lezioni sul piano della concorrenza non le accettiamo da nessuno visto che da 20 anni e più contribuiamo a portare alto il nome dell’ingegneria italiana all’estero con le nostre società che si confrontano con realtà molto più robuste, strutturate e complesse”.

“Al di là delle provocazioni – ha terminato l’ing. Lotti – inviterei tutti, Governo, Parlamento e professionisti in buona fede, ivi compresi tutti i presidenti degli ordini provinciali proprietari di società di ingegneria, a leggere la sentenza del tribunale di Bologna del 7 agosto 2015 n. 2481 che legittima i contratti che le loro società hanno stipulato negli anni scorsi con committenti privati; capiranno anch’essi quanto sia inutile e dannoso il permanere della norma votata la scorsa settimana”.

Certo che la questione non si chiuderà facilmente, lascio a voi ogni commento.

A cura di Gianluca Oreto Vai alla fonte

set 05 2015

L’ambito dell’esclusiva degli architetti in materia di beni culturali. avv. Riccardo Rotigliano

L’ambito dell’esclusiva degli architetti sulle opere edilizie sottoposte a tutela dei beni culturali è stato oggetto di un vivace dibattito, tanto tra le corte amministrative, quanto tra i vari ordini professionali. Tra questi, quelli degli architetti propugnano un’interpretazione restrittiva della norma che fonderebbe tale esclusiva (art. 52 R.D. n. 2537/1925), mentre quelli degli ingegneri, come è ovvio, provano ad accreditarne un’applicazione meno rigorosa, denunciandone persino il preteso contrasto con l’ordinamento comunitario.

Il dibattito non si è sopito nemmeno dopo la sentenza della Corte di Giustizia (21 febbraio 2013, causa C-111-12) che è intervenuta ex professo sulla questione e la successiva sentenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 21) che ha definito il giudizio in senso sfavorevole alle tesi sostenute dagli ingegneri.

In effetti, la norma, redatta 90 anni fa, lascia qualche dubbio interpretativo, soprattutto a motivo dell’utilizzo di termini ed espressioni – figlie del contesto ordinamentale in cui a suo tempo si inserivano – che, però, hanno col tempo perso pregnanza mano a mano che progrediva e si specializzava la legislazione ordinistica sui lavori pubblici.

Partiamo, dunque, dalla lettura delle norme di riferimento, ossia degli artt. 51 e 52 R.D. n. 2537/1925:

Art. 51: “Sono di spettanza della professione d’ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo”.

Art. 52: “Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”.

Alcuni punti fermi.

Nessun dubbio sul fatto che sulle opere diverse dall’edilizia civile (es. condutture fognarie, reti stradali, etc.) l’ingegnere ha competenza esclusiva ai sensi dell’art. 51. In questo senso si è espressa costantemente la giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado. Tra i tanti, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1150/2013; Sez. IV, n. 2938/2000; Tar Sicilia, Palermo, n. 2274/2002; Tar Calabria, n. 354/2008; Tar Veneto, n. 1153/2011; Tar Puglia, Lecce, n. 1270/2013; TAR Lazio, Latina, n. 608/2013.

Nemmeno è dubbio che l’art. 52 ponga una regola (competenza promiscua per le opere di edilizia civile), un’eccezione (competenza esclusiva dell’architetto per le opere sottoposte a tutela ai sensi della legge fondamentale del 1939, oggi Codice Urbani, ovvero per le opere, anche di nuova realizzazione, comunque giudicate “di rilevante carattere artistico” pur non essendo sottoposte a tutela), ed un’eccezione all’eccezione (la “parte tecnica” è comunque sempre di competenza promiscua) che vale a ristabilire la regola generale (competenza promiscua).

E, ancora, è pacifico che la competenza esclusiva dell’architetto può essere predicata anche con riferimento d un’opera (ovvero: bene immobile) non sottoposto a tutela ma comunque “di rilevante carattere artistico”, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2303; Tar Lombardia, Milano, 24 luglio 2014, n. 2016).

Dove, invece, si avverte il bisogno di un intervento chiarificatore, anche, se del caso, in sede di interpretazione autentica, è in ordine agli esatti confini dell’eccezione all’eccezione. Che vuole dire, “tradotto” nel linguaggio dei lavori pubblici (ovvero: dei servizi attinenti l’architettura e l’ingegneria), “parte tecnica” di un’opera di edilizia civile sottoposta a tutela o comunque di rilevante interesse artistico? Alcune corti amministrative non hanno dubbi: progettazione esecutiva e direzione lavori costituiscono la “parte tecnica” e possono essere svolte anche dagli ingegneri, pur quando si tratti di beni sottoposti a tutela (Tar Lazio, 30 marzo 2015, n. 4713: “La stesura del progetto esecutivo, quindi, si presenta come la ingegnerizzazione del progetto definitivo, in modo tale che la relativa attività può essere demandata anche ad ingegneri, senza alcun contrasto con la previsione di cui all’articolo 52, comma 2, del richiamato R.D. n. 2537 del 1925”; Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 21, secondo cui l’ambito dell’esclusiva riguarda soltanto “le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico”, restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, ossia “le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria (…)” (in tal senso: Cons. Stato, VI, 11 settembre 2006, n. 5239)”.

In particolare, non sembra agevole individuare in modo univoco, con un criterioex ante, “le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti”. Ed è perciò che è auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore, in difetto del quale la soluzione del caso concreto sarà affidata, di volta in volta, alla “sensibilità” dell’interprete. Vai alla fonte

set 01 2015

Formazione professionale – Gli Ordini Non possono restringere la concorrenza

La Corte di giustizia europea chiarisce che l’Ordine professionale non può imporre un sistema di formazione obbligatoria stabilendo condizioni discriminatorie a danno dei suoi concorrenti.

L’Ordine professionale non può imporre ai propri iscritti un sistema formativo obbligatorio che lo avvantaggia rispetto agli altri enti di formazione. Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea nella Causa C-1/12 del 28/02/2013.

L’obbligo per un Ordine professionale di porre in essere un sistema di formazione obbligatoria non sottrae le norme che esso emana dal campo di applicazione del diritto dell’Unione: «Secondo una costante giurisprudenza, nel contesto del diritto della concorrenza la nozione di impresa comprende qualsiasi ente che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle modalità del suo finanziamento».

La sentenza offre lo spunto per chiarire un dubbio al quale, in dottrina, sono spesso date risposte generiche vale a dire l’assimilazione tra professionisti e imprese. La Corte europea precisa che il regolamento adottato da un Ordine professionale deve essere considerato come una decisione presa da un’associazione di imprese ai sensi del diritto dell’Unione in materia di concorrenza; il fatto che un Ordine sia tenuto per legge a porre in essere un sistema di formazione obbligatoria destinato ai suoi membri non sottrae le norme da esso promulgate ed ad esso esclusivamente imputabili dall’ambito di applicazione del diritto europeo in materia di concorrenza.

Riservandosi l’esclusiva di erogare alcuni corsi e attribuendosi il compito di omologare quelli erogati da altri enti l’Ordine di fatto esercita un’attività economica nel mercato della formazione professionale imponendo condizioni discriminatorie a danno dei suoi concorrenti.

La sentenza in oggetto è particolarmente importante ed attuale in quanto i Consigli Nazionali stanno predisponendo i regolamenti per l’aggiornamento professionale, in attuazione dell’art. 7, comma 1, del D.P.R. 07/08/2012, n. 137 di riforma degli ordinamenti professionali che impone ai professionisti di «curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale», pena una sanzione per violazione delle norme deontologiche.

Nel caso in esame l’Ordine degli esperti contabili (Otoc) del Portogallo, un ordine professionale di natura associativa ad iscrizione obbligatoria, aveva adottato un regolamento che obbligava i propri iscritti a conseguire 35 crediti formativi all’anno, attraverso corsi erogati o omologati dall’Otoc.

La Fonte

ago 08 2015

Opere pubbliche e controlli che non ci sono: servirà il nuovo codice appalti?

Nel disastro delle varie opere pubbliche, inutili, incompiute, esose o ancor peggio mal realizzate c’è da chiedersi chi (o addirittura se) abbia controllato. Esiste, dalla notte dei tempi, e cioè dal Regio Decreto 350 del 1895, un istituto, il collaudo, attraverso il quale dovrebbero essere effettuati tutti gli accertamenti, i saggi, le prove e le verifiche su un’opera pubblica.Ovviamente tale istituto è stato sempre confermato, pur con piccole modifiche, nei vari testi di legislazione sugli appalti, dalla Legge Merloni ad oggi. Occorre infatti ricordare quanto sia fondamentale questo istituto tenuto conto che: “Il collaudo ha lo scopo di verificare e certificare che l’opera o il lavoro siano stati eseguiti a regola d’arte, secondo il progetto approvato e le relative prescrizioni tecniche, nonché le eventuali perizie di variante, in conformità del contratto e degli eventuali atti di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati. Il collaudo comprende altresì tutte le verifiche tecniche previste dalle leggi di settore”.

Ancora più delicato ed incisivo il collaudo in corso d’opera e finale esperito, specie nei restauri, quando si tratta di compiere diverse visite in cantiere durante lo svolgimento dei lavori al fine di verificare il fisiologico o patologico loro andamento. Fondamentale questa fase perché si possono individuare criticità, problematiche e porre i provvedimenti atti ad evitare anomalie e ritardi, varianti onerose, vizi laddove progettista e direzione lavori non siano intervenuti sufficientemente. Il collaudatore può e anzi deve attenersi alla “verifica della buona esecuzione di un lavoro effettuata attraverso accertamenti, saggi e riscontri che l’organo di collaudo giudica necessariù”.

Appare evidente che più frequenti e minuziose saranno le visite, più saranno concrete le possibilità di prevenire e correggere in tempo difetti ed errori e va da sé che il collaudatore dev’essere un professionista rigoroso, preparato, indipendente e non coinvolto e non colluso con stazione appaltante, impresa e quindi ancor meglio se distante dal territorio.

Viceversa il collaudo si è via via trasformato in una pratica da sbrigare al più presto, sorvolando anche su macroscopici errori, al fine ultimo del rilascio di un certificato/patentino di corretto espletamento delle opere, una specie di condono tombale per lavori mal progettati, mal diretti e mal realizzati. Questo lo si può dedurre da vari Bandi di collaudo in corso d’opera al massimo ribasso anche in zone disagiate. Basta guardare i bandi pubblicati nell’ultimo biennio affidati con il 70% di sconto.

Questo è l’ennesimo risultato del famigerato Decreto Bersani che ha ancora più evidenziato non solo la poca serietà e dignità di alcuni professionisti, ma anche l’obiettivo di molte, troppe stazioni appaltanti, di garantirsi a buon prezzo l’immunità dei propri disastri con i risultati di scuole, chiese, viadotti fatiscenti crollati dopo pochi anni dal termine lavori e con costi lievitati durante l’esecuzione degli stessi.

Il collaudatore rigoroso così come il responsabile della sicurezza, anziché essere apprezzato viene allontanato in quanto non garantisce la connivenza malavitosa tra stazione appaltante, Dl, impresa ed è del tutto evidente che un collaudatore, o un responsabile della sicurezza, deve avere la garanzia di poter operare in serenità di pensiero ed anche economica. Tutto ciò premesso, al netto viceversa di collaudi (o Dl) milionari affidati ad un ristretto giro di professionisti collusi con cricche varie, come i recenti fatti di cronache giudiziarie hanno dimostrato (basti  ricordare i più noti e recenti riferiti al Sistema Mose e Tav a Firenze), i quali benché super retribuiti, ponevano lo stesso scarsa attenzione nel seguire il mandato loro affidato.

Ritorno sull’argomento in quanto in dirittura d’arrivo il Nuovo Codice Appalti dove si accenna all’esclusione del massimo di ribasso per i servizi tecnici ed un possibile Albo dei Collaudatori e Dl da tenersi presso il Ministero delle Infrastrutture. Il principio del non conflitto d’interessi (essere controllore e controllato), della rotazione degli incarichi, della assoluta rettitudine personale e professionale degli incaricati,come parrebbe dal Nuovo Codice (c’è da stabilire quali debbano essere i requisiti di moralità), dovrebbero essere il minimo sindacale per affidamenti atti a garantire la certificazione delle nostre, ahimè disastrate, opere pubbliche. Fonte:Il Fatto Quotidiano” aricolo di Donatella d’angelo 

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