Categoria: discussione-settimana

nov 16 2013

Lettera aperta di un ingegnere italiano

Come ogni mattina, anche oggi mi sono svegliato presto; per dovere, e per abitudine, scorro il consueto promemoria, osservo intorno a me e vado avanti. Mi ritrovo così nel mio studio, nella stanza di lavoro; una mia fotografia di vent’anni fa, appesa alla parete, restituisce un’immagine del passato: io nel ghiacciaio del Monte Bianco, con zaino sulle spalle e atteggiamento fiero, di colui che esplora la vita, con tutte le sue meraviglie.

 Avevo ventisette anni, laureato in ingegneria, abilitato all’esercizio della professione, servizio militare assolto. La montagna, la sua vetta, lo spazio rarefatto del ghiacciaio, l’acqua dei ruscelli, rappresentavano un premio per i normali impegni di studio e di lavoro; i miei genitori potevano essere orgogliosi di me, i loro sacrifici erano stati onorati, e anch’io ne ero fiero.

 Per me, che venivo da un piccolo paese di provincia, arrivare a Roma era già una conquista. Andai ad abitare in un piccolo appartamento del quartiere Aurelio – lontano dall’università – che condividevo con mio fratello. Mi alzavo alle cinque e dieci del mattino (prendevo tre autobus) per evitare il traffico di Roma e per giungere in tempo all’università. Con i compagni di corso ci imbucavamo in qualsiasi spazio libero, per ripassare le lezioni, in attesa della riapertura delle aule per le esercitazioni del pomeriggio. Ricordo un giorno in cui, insieme ad un amico calabrese, per la preparazione all’esame scritto di “Fisica Uno”, ci rifugiammo in un’aula della facoltà di Economia e Commercio, adiacente alla sede di ingegneria di Via Castro Laurenziano. Un’aula spaziosa occupata da poche persone, nelle prime file verso la cattedra; noi eravamo nell’ultima fila, distaccati dal gruppo di studenti. Erano circa le tre del pomeriggio quando, nel silenzio delle persone presenti, udimmo una voce: “Ehi voi, lassù! Vi faccio passare la voglia di disturbare. Uno di voi venga alla lavagna!” Era la voce del professore di “Matematica Generale” che si accingeva ad iniziare la lezione. Non ci eravamo accorti della sua presenza, mentre ripassavamo tra di noi gli appunti di fisica. Andai alla lavagna, senza dire al professore che non ero uno studente della facoltà di Economia. Mi fece risolvere un limite, una derivata e un’integrale e poi disse: “Va bene, vai a posto!” Ci furono altri episodi simili, nelle aule di Economia e Commercio, in quelle di Biologia e in altri luoghi che utilizzavamo esclusivamente per lo studio. Spesso ci ritrovavamo a studiare all’interno di un vecchio pulmino “Fiat 900″, quello dal profilo tronco e bombato.

 Ricordo le lotte politiche per il diritto allo studio. Mi impegnai, in prima persona, per evitare l’introduzione del numero chiuso, contribuendo a raccogliere le necessarie firme all’ingresso delle aule di Via Castro Laurenziano e di Via Scarpa. Ancora oggi credo fermamente che qualsiasi attività, anche quella dello studio, vada sperimentata sul campo, con una selezione meritocratica naturale, senza “quiz americani”, che premiano spesso chi passa il tempo con divertimenti enigmistici, secondo una logica superficiale che bypassa qualsiasi realtà complessa. Faccio un esempio: i corsi del biennio iniziavano alla fine di settembre, con una frequenza che arrivava a sfiorare le trecento persone; dopo le festività natalizie solamente un terzo degli studenti continuava a seguire i rispettivi corsi. Questa è la selezione naturale! Nei corsi del triennio la selezione continuava, fino ad arrivare all’agognata laurea, che incoronava un “culturista del sapere”, preparato ad hoc per sopportare il peso delle future competizioni.

 Erano i primi anni novanta quando, per mia deliberata scelta, iniziai la libera professione di ingegnere. Ricordo l’emozione del mio primo lavoro, la cura ossessiva dei dettagli tecnici, lo scambio di opinioni con i colleghi più esperti, ore ed ore di ininterrotto lavoro, saltando spesso il pranzo o la cena, il tutto per imparare a lavorare e per conquistare la fiducia della committenza. Dal progetto si passava al cantiere: l’opera veniva analizzata in ogni dettaglio e, man mano che prendeva forma, si materializzava tutto l’impegno e il sacrificio. Tecnici ed operai rappresentavano i componenti essenziali di un complesso sistema artistico, nessuno poteva esimersi nell’espletare il proprio ruolo, nel miglior modo e con la massima dedizione.

Il premio finale, per quell’impegno, era spesso un fine settimana di svago con gli amici, poche ore con la ragazza o una fugace vacanza.

 Finito un lavoro, operai, imprenditori, tecnici progettisti, direttori dei lavori, venivano retribuiti con “equo compenso”, e ciò consentiva a tutti di poter investire nel proprio futuro, di acquistare macchine, software, attrezzature di lavoro, assumere personale dipendente e di supporto, in poche parole ciascuno poteva sperare di star bene nel prossimo futuro, per trasmettere ai figli, o a chiunque esprimeva volontà di fare, l’idea di poter tentare nell’impresa con un trampolino sicuro, frutto del progresso, della preparazione acquisita, dell’esperienza e del reciproco rispetto.

 Fare l’ingegnere non è difficile, è sicuramente impegnativo; impegnarsi significa assumere un obbligo, mantenere una promessa, investire energie per ottenere un concreto risultato: una scommessa con la società civile finalizzata al benessere collettivo, quello che oggi sembra solo uno slogan, una metafora scolorita ed anacronistica priva di qualsiasi senso pratico.

Vent’anni di professione non sono poi tanti, davanti a me ci sarebbero ancora molti sogni da dover realizzare – avendo dilazionato il tempo per onorare appieno una promessa – con l’impegno di un adulto che non scorderà mai i sacrifici suoi e dei propri genitori, le molteplici rinunce, su cose che oggi sembrano scontate (andare in discoteca, coltivare hobby, vacanze ecc.), tutto questo nei migliori anni della vita, quelli in cui sognare era per tutti l’unica cosa accessibile e veramente gratuita.

 Qualsiasi generazione, forte della propria esperienza, espone la sua storia con malinconica nostalgia, esaltandone gli aspetti positivi: l’educazione, il sacrificio, la voglia di vivere, la realizzazione di un progetto di vita. Chiunque di noi ricorda bene gli anni della propria gioventù, disconoscendo spesso la vita dei giovani di oggi, nel suo insieme come nei singoli dettagli. Ancora adesso sentiamo parlare dei “mitici anni sessanta” soprattutto dagli ultrasessantenni di oggi, così come i “mitici anni ottanta” sono una prerogativa degli ultraquarantenni, cui anch’io appartengo; è un gioco delle parti, l’importante è saper discriminare le differenze e valutarle in funzione della naturale evoluzione socio-culturale. Con questa premessa, possiamo senz’altro affermare che non esiste un El Dorado storico, un’epoca d’oro della felicità, ogni epoca porta con se aspetti positivi e negativi, che vengono valutati con la nostra esperienza pregressa; questo è il vero limite del giudizio: valutare senza volontà di conoscere a fondo, con il proprio passato come unico elemento di paragone.

 La mia formazione di vita o, se vogliamo, la mia educazione, hanno rafforzato in me un senso critico nella valutazione degli eventi e nella soluzione dei problemi. Un aspetto del carattere, forse a volte ridondante, che mi porta ad analizzare a fondo – questa è almeno la mia percezione – qualsiasi evento sociale, prima ancora di risolvere eventuali conflitti ed interferenze, per far si che il mio stato di benessere sia messo a disposizione per costruire ed implementare il benessere collettivo.

 Certamente, non essendo io né un santo né un missionario, cerco di portare avanti questa mia vocazione sociale senza pagarne tutte le spese. Con questo spirito, e a scanso di equivoci, espongo dunque il mio punto di vista sulla trasformazione dell’ingegneria italiana e degli attori che la rappresentano, in primis di noi ingegneri.

 Conosciamo tutti il valore dell’ingegneria italiana del recente passato, i suoi protagonisti e il contributo nella ricerca in ogni settore dell’attività umana. Questa capacità tecnica – sicuramente supportata da una passione per la professione di ingegnere – è anche il frutto di un’adeguata preparazione teorico-pratica e di una volontà dinamica di affrontare le varie sfide di una società in continua evoluzione. L’attività dell’ingegnere non può essere slegata dalle esigenze sociali del momento, è quindi necessario che si instauri un connubio tra richieste sociali e capacità tecniche, quest’ultime indispensabili per soddisfare al meglio le varie esigenze. Di qui la necessità di una rigorosa formazione accademica – dalle scuole elementari, alle scuole medie di primo e secondo grado, fino alle università -, con accesso garantito a chiunque e con selezione meritocratica, attuata durante l’intero corso degli studi. Meglio pochi ma buoni, anziché importare ingegneri dall’estero o costringere i nostri laureati a ridimensionare la loro attività a livelli parziali e marginali del settore dell’ingegneria, ovvero a doversi trasferire all’estero alla ricerca di terreno fertile per nuove ed improvvisate competenze. Grazie alla naturale flessibilità, che caratterizza il nostro popolo, l’ingegnere italiano, ancorché oggi spesso “malformato”, se la cava comunque, non in quanto ingegnere, ma per il fatto che è italiano; è un peccato non approfittare di questa “dote genetica” e non andare oltre. Lo studio tutto, e quello universitario in particolare, rappresenta un’occasione unica ed irripetibile per allenare la mente (soprattutto all’età giusta), per essere poi originali e per non annoiarsi mai. Faccio un appello, ai presidi delle facoltà di ingegneria italiane, affinché si facciano portavoce dell’evidente malessere cui versano le nostre università, frammentate in una miriade di corsi di laurea e di insegnamento, con sedi universitarie – spesso solo con qualche decina di iscritti – sparse ovunque nel territorio nazionale. Le sedi universitarie, in Italia, sono oramai dappertutto, avere l’università sotto casa priva l’alunno di quella sana indipendenza, che nel passato scaturiva dalla necessità di doversi trasferire in un’altra città, lontano dai genitori e dagli amici; il budget economico doveva bastare per un periodo prefissato, e questo favoriva la capacità di autonomia, spesso rafforzata con qualche lavoro occasionale che serviva per far quadrare i conti e per contribuire attivamente al bilancio familiare. Siamo sicuri che avere l’università sotto casa rappresenti una riduzione di spesa? Per un bilancio a lungo termine – non solo monetario – forse ciò non conviene, quindi: ripensiamoci. Il Corriere della Sera, di qualche giorno fa, riportava la notizia dell’incremento di iscrizioni alle facoltà di ingegneria italiane, questa sarebbe senz’altro una bella notizia se, a valle dell’iscrizione, ci fosse una formazione adeguata, e una società civile, quella italiana, pronta ad accogliere gli ingegneri laureati con fiducia e rispetto, e non, come accade sistematicamente oggi, trattandoli come ladri e mangiapane a tradimento, come coloro che guadagnano tanto per “qualche calcolo” e “due disegni”, tra l’altro “fatti dal computer”. Non pretendo, comunque, che tutti conoscano l’attività dell’ingegnere, le scienze che sono alla base della sua professione, il continuo aggiornamento e, non per ultimo, i costi di gestione. Faccio un esempio comparativo: un software di calcolo strutturale arriva a costare decine di migliaia di euro, contro qualche centinaia di euro di un software di scrittura di uno studio notarile. Da sottolineare, inoltre, che il notaio usa uno o, al più, due software e una calcolatrice di circa tre euro che fa le operazioni aritmetiche di base (necessaria per calcolare l’onorario minimo, ancora adottato da tutti i notai italiani), l’ingegnere utilizza decine di software, con costi di aggiornamento che costituiscono altrettante tasse annuali fisse, oltre a computer, stampanti, plotter ed apparecchiature di rilievo. Ci sono poi le spese di assicurazione obbligatoria, altre spese di assicurazione per ciascun incarico pubblico di progettazione esecutiva, spese di registrazione di contratti pubblici, spese per corsi di aggiornamento obbligatori (corsi necessari, dal gennaio del prossimo anno, per mantenere l’iscrizione all’ordine professionale e per esercitare la professione), spese di conto corrente fiscale obbligatorio, spese per contributi previdenziali obbligatori, che sfiorano il venti per cento del reddito, spese di iscrizione all’ordine professionale, spese per la firma elettronica, spese di affitto dello studio, ovvero l’IMU (o tassa equivalente) per uno studio di proprietà, spese per la TARES, dieci volte superiore alla relativa spesa per un’abitazione, spese per attrezzature e materiali di consumo, spese per l’installazione e la gestione del POS, obbligatorio dal gennaio del prossimo anno, spese per il commercialista, spese per le utenze ed altre spese in funzione della specifica prestazione tecnica. Tornando all’esempio, un notaio redige un atto in una frazione di ora, con responsabilità marginali, e spesso implicitamente demandate alle parti contraenti, per tale prestazione esige subito il pagamento dell’onorario, ancor prima della trascrizione dell’atto nell’apposito registro; la prestazione di un ingegnere segue un gestazione lunga e contorta, colpa anche del sistema burocratico italiano, con autorizzazioni e nulla-osta multipli, un’operazione psicologica non indifferente, prima ancora che una prestazione tecnica. L’onorario viene liquidato, quando ciò avviene, solamente dopo aver acquisito tutti i pareri tecnici e dopo aver concluso il procedimento autorizzativo. Per non parlare della fase realizzativa e di collaudo, che interessa anche le imprese esecutrici, oltre al responsabile del procedimento e a tutti gli organi di controllo. In Italia per completare un’opera di modesta entità (qualche centinaio di euro di lavori) occorrono anni; lavori iniziati, spesso vengono sospesi, per cause non riconducibili alla volontà e alla responsabilità dell’ingegnere direttore dei lavori; in tal caso anche l’onorario viene congelato e tutto il lavoro svolto è appeso ad un incerto destino. Ad esempio, molti cantieri pubblici sono oggi sospesi a causa della mancata liquidazione degli stati d’avanzamento dei lavori già maturati; le imprese non se la sentono di sostenere i costi dei lavori rimasti, in quanto non liquidabili dalla pubblica amministrazione, e i relativi cantieri sono nell’abbandono completo, con le nostre responsabilità sempre attive e non certo retribuite.

 Si sente dire, spesso, che un dipendente pubblico guadagna poco, è tassato alla fonte e non può evadere un centesimo, mentre un libero professionista, e anche un ingegnere, è fortunato, perché guadagna molto di più e può evadere allegramente. Quanta ipocrisia in queste affermazioni! In termini di bilancio, un dipendente pubblico lavora otto ore al giorno, il professionista ingegnere non conosce orari, con una media che non scende al disotto delle dodici-tredici ore al giorno; si porta appresso il lavoro, in quanto viene contattato a tutte le ore del giorno, senza periodi di festa o di riposo. Un dipendente pubblico che si ammala ha garantito un periodo di malattia retribuito, il professionista ingegnere che si ammala deve organizzarsi per portare avanti il suo lavoro, pagando i collaboratori ovvero recuperando il tempo di malattia dopo la guarigione, incrementando così i ritmi di lavoro. Un dipendente pubblico ha a disposizione trenta giorni di ferie retribuite, il professionista ingegnere non ha questo privilegio e, se va in “ferie”, poi deve recuperare. Al dipendente pubblico spetta una mensilità retribuita, cosiddetta tredicesima, cosa non prevista per il professionista ingegnere. Al dipendente pubblico spettano, inoltre, premi di produttività, incentivi, agevolazioni varie e, cosa più importante, uno stipendio ben definito e sicuro, che viene periodicamente stabilito dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. Per il libero professionista ingegnere esisteva, fino a qualche ano fa, la cosiddetta Tariffa Professionale, una sorta di prezzario che rappresentava una retribuzione minima di legge, proporzionata alla tipologia e all’entità della relativa prestazione. I minimi tariffari, adottati soprattutto in ambito pubblico, erano, di fatto, dei massimi di legge, che costituivano dei riferimenti per le prestazioni professionali di ingegneria ed architettura; gli enti pubblici potevano derogare dalle tariffe con ribassi che non potevano superare il venti per cento. In tal modo veniva riconosciuta una dignità professionale, al pari delle prestazioni degli altri lavoratori, sia del settore pubblico che del settore privato. Il Ministro Bersani, mosso a mio avviso da una miope invidia sociale, con il Decreto omonimo, ha spazzato via le tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti. Da allora si è cercato di ricreare dei parametri di contrattazione con la pubblica amministrazione, per poter stabilire l’equo compenso di una prestazione professionale. La mancanza di una storia pregressa degli onorari professionali, in regime di libero mercato, ha creato, e sta creando tutt’oggi, dei seri problemi nei rapporti con la pubblica amministrazione; la contrattazione avviene spesso sulla base dei residui disponibili nel quadro economico dell’opera, con delle sperequazioni sempre al ribasso per il professionista, che si trova nelle condizioni di prendere o lasciare, senza poter intraprendere alcuna contrattazione reale. In altri casi si fa ricorso ai bandi di gara per l’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura, con evidenza nazionale anche per importi a base di gara di qualche migliaio di euro, a fronte di prestazioni professionali onerose in termini di impegno tecnico, di tempi burocratici di istruttoria e di spese da sostenere.

 Anche qui gli importi posti a base di gara sono spesso casuali ed incongruenti rispetto alle attività elencate nel bando. I requisiti richiesti sono, per legge, sia di natura tecnico-organizzativa (dipendenti dello studio, attrezzature disponibili, ecc.), sia di ordine economico (fatturato in relazione alla tipologia e all’importo dell’opera), oltre al requisito di aver già realizzato opere della stessa tipologia di quella richiesta dal bando, fino alla concorrenza di un determinato importo. A questo si aggiunge la necessità di essere in regola con i versamenti contributivi (certificazione di regolarità contributiva rilasciata dalla cassa previdenziale di competenza) oltre al possesso dei requisiti generali previsti dalla legge. Si arriva al paradosso in cui molti studi professionali non possono partecipare ad un bando in quanto studi con il solo titolare o con un numero non sufficiente di dipendenti, per una prestazione professionale che potrebbe svolgere benissimo una sola persona, oppure al caso più frequente di giovani che vengono tagliati fuori dal mondo dei lavori pubblici anche per incarichi di bassa qualità tecnico-economica, che potrebbero invece costituire la naturale palestra per l’avvio della professione. Per i bandi di progettazione, si arriva spesso ad avere centinaia di offerte, con ribassi senza limite, anche dell’ottanta-novanta per cento, a fronte di una base d’asta quasi sempre sottostimata.

 Tutto questo “rigore di legge” non è poi accompagnato da un comportamento altrettanto rigoroso della pubblica amministrazione che, sguazzando nel caos, aggiusta la norma a modo suo e, d’altra parte, nessuno al governo nazionale fa nulla per cambiare queste scellerate norme. Per fare un confronto con gli altri paesi europei, basti sapere che in Germania sono tutt’ora vigenti le tariffe professionali per gli ingegneri e gli architetti, che sono state recentemente aggiornate e non abrogate come da noi. Evidentemente i tedeschi riconoscono la dignità dei lavoratori autonomi, ben sapendo che è meglio scaricare le spese del Welfare, non attaccando i lavoratori autonomi che pagano le tasse e che finora non hanno preteso nessuna tutela e nessun ammortizzatore sociale; un “do ut des” accettato da tutti, al riparo di qualsiasi invidioso sociale animato da velleità distruttive.

 L’ingegnere in Italia, anche ai tempi in cui la formazione era rigorosa e selettiva, è stato comunque sempre bistrattato, sia come libero professionista (considerato un privilegiato, colui che guadagnava tanto senza sudare, reminescenza, questa, di un’Italia rurale che pesava il lavoro dai calli delle mani e dalle camicie macchiate di sudore), sia come dipendente di un’impresa o dell’industria (ancora oggi gli ingegneri vengono retribuiti al pari, o anche meno, di geometri o periti industriali, tanto debbono solo firmare e la legge, da sempre, non fa differenze); i dipendenti pubblici ingegneri sono anch’essi inquadrati in ruoli anomali, con responsabilità senz’altro non riconosciute e non retribuite rispetto agli altri lavoratori; un ingegnere impiegato civile del Ministero della Difesa, ad esempio, guadagna persino la metà di un maresciallo di pari qualifica, con le medesime mansioni e con responsabilità spesso ridotte. Per molti giovani professionisti, e per altri non più giovani, non c’è via d’uscita, inquadrati spesso come liberi professionisti – titolari di partita IVA – che lavorano non in forma automa, bensì alle dipendenze di altri studi professionali; questi professionisti fungono da ammortizzatori fiscali per le esigenze contabili di coloro che li sfruttano.

 Gli ingegneri dipendenti dell’industria vengono inquadrati nel lavoro con contratto di metalmeccanico di quinta-sesta categoria, non è previsto per loro un diverso riconoscimento delle competenze tecniche e delle responsabilità rispetto ad un perito industriale o ad un qualsiasi diplomato. I sindacati – che stipulano i contratti collettivi nazionali di lavoro – ancora oggi rinnegano di fatto il lavoro intellettuale, uniformando tutti i lavoratori in una mescola amorfa che non tutela nessuno.

 

E così, dopo questo lungo racconto, si può comprendere il perché l’ingegnere italiano viene invitato ad andarsene dal suo Paese; i governi politici sono sordi al richiamo di migliaia di professionisti ingegneri che chiedono solamente di lavorare con dignità e professionalità, di ristabilire una logica meritocratica, nei limiti del possibile e con le scarse risorse di cui disponiamo. Non disperdiamo la nostra tradizione storica, per una diaspora senza ritorno che porterà solamente caos e miseria.

 

L’ingegnere è un dono di Dio, e un popolo che odia gli ingegneri odia anche il Creatore; perciò, al diavolo gli invidiosi sociali! Io la mia parte la farò, nessuno potrà mai interrompere quel sogno, iniziato molti anni fa nei banchi della facoltà di ingegneria di Roma: i miei compagni di studio, che non ho più rivisto, le calde giornate d’estate passate a studiare, il giorno della laurea, la stretta di mano con i professori della commissione, l’immagine di mia madre che piangeva dalla gioia, la libertà racchiusa in quel giorno, quella meritata libertà che porterò sempre con me, per gridare grazie! Sono fiero di essere un ingegnere italiano! Cari colleghi, riprendiamoci il Paese! Gli sciacalli che ci hanno ferito svaniranno come le ceneri di un fuoco di paglia, e noi torneremo ancora più forti, per servire il nostro popolo, per la nostra vita, per i nostri figli, per la nostra libertà.

 Pietro Francesco Nicolai, un ingegnere italiano.

nov 13 2013

Professionisti e partite Iva: ecco i "proletari" del III millennio

I nuovi proletari. Se nel XIX secolo furono i lavoratori dipendenti (operai alla catena di montaggio del fordismo) ad essere sfruttati con salari da fame, all’alba del XXI secolo sono i professionisti (avvocati, architetti, periti, archeologi), lavoratori autonomi a diventare i nuovi poveri.

«Un processo inarrestabile di proletarizzazione dei ceti professionali», come la definisce Cesare Damiano. L’analisi del professor Patrizio De Nicola della Sapienza di Roma su dati Inps e Istat non ammette repliche. Il reddito medio dei 1 milione 682 mila iscritti alla gestione Separata, a cui versano i loro contributi le partite Iva e co.co.pro., nel 2012 è stato 18.073 euro. Ma su questa media pesa la categoria “ricca” degli amministratori (sindaci di società, ecc.) che hanno un reddito medio di quasi 37mila euro. Se poi si passa dal reddito lordo a quello disponibile, la disparità con i lavoratori dipendenti aumenta ancora di più.

Tenendo conto della tassazione e della contribuzione, se paragoniamo un reddito di 1.000 euro mensili lordi, un dipendente a tempo indeterminato si mette in tasca 811 euro; una partita Iva solamente 545 euro! E dal primo gennaio, causa aumento della aliquota contributiva dal 27 al 28 per cento, la cifra scenderà ulteriormente a 485 euro. All’interno di questo mondo esistono poi «tre grandi disparità – spiega il professor Di Nicola – la prima riguarda le donne, che guadagnano il 30-40 per cento in meno; la seconda riguarda le età, con i trentenni che guadagnano la metà dei 55enni; l’ultima è territoriale, al Sud un iscritto guadagna metà della media nazionale».

La dinamica della categoria è però molto mutata negli ultimi anni. Solo nel 2012 il calo degli iscritti alla gestione sono calati del 3,6 rispetto al 2011. Ciò in parte è dovuto agli effetti della riforma Fornero che ha previsto una stretta sui contratti co.co.pro e alle finte partite Iva: i co.co.pro. iscritti alla Gestione separata sono calati di 45mila unità, i professionisti di 21mila. Ma secondo l’Istat il calo dei co.co.pro. è molto più alto: 133mila lavoratori in meno.La presentazione di oggi si lega poi alla battaglia per lo stop all’aumento contributivo per le partite Iva. La riforma Fornero prevedeva già dal 2013 un aumento di un punto per arrivare dal’attuale 27 per cento a regime al 33 per cento. Un emendamento del Pd alla scorsa manovra aveva congelato l’aumento per quest’anno.

Ora il problema si ripropone. Le associazioni delle partite Iva, spalleggiate dai giovani del Pd, dall’Associazione Alta Partecipazione e dall’associazione XX Maggio chiedono di bloccare per sempre l’aumento. I motivi sono presto detti. «Se nel caso dei co.co.pro. l’aumento contributivo era in teoria suddiviso per due terzi a carico del committente e per un terzo a carico del lavoratore, sulle partite Iva il peso è tutto sul professionista. E sappiamo benissimo che è così anche per il co.co.pro. perché il committente fissa il lordo totale e il resto è tutto a carico del lavoratore – spiega il professor Di Nicola – : la verità è che ogni volta che aumenta l’aliquota, diminuisce il reddito del lavoratore».

L’altra motivazione guarda i conti dell’Inps: i contributi versati alla gestione separata sono diminuiti del 20,6 per cento dal 2011 al 2012: da 1 milardo 260 milioni, a 1 miliardo tondo tondo. «E ciò significa che nel frattempo aumenta il nero», chiosa Di Nicola.

Per affrontare e migliorare la situazione il Pd si è impegnato già a partire dalla legge di stabilità. «Abbiamo già presentato un emendamento per congelare ulteriormente l’aumento della contribuzione dal 27 al 28 per cento per le partite Iva, in attesa di un riordino che ne riconosca la loro assimilabilità ai lavoratori autonomi, che hanno l’aliquota al 24 per cento», annuncia il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano. «In più puntiamo ad allargare il bonus precari a questi lavoratori e, in prospettiva, a riprendere la vecchia idea della Carta dei diritti dei lavoratori: un sistema di tutele a cerchi concentriche ma standard universali in caso di licenziamento». Assieme a questo ritorna di attualità l’equo compenso per i co.co.pro., rilanciato da una risoluzione presentata dalla giovane parlamentare Pd Chiara Gribaudo e appoggiato dalla responsabile lavoro Pd Cecilia Carmassi.

 

nov 12 2013

Mediazione: gli indirizzi interpretativi del Coordinamento della Conciliazione Forense

L’Assemblea del Coordinamento della Conciliazione Forense, riunitasi a Pesaro nei giorni scorsi, ha costituito l’occasione per gli Organismi di mediazione forense di confrontarsi sulla recente normativa in materia di mediazione.

Il D.L. 69/2013 (cosiddetto «decreto del fare»), infatti, come convertito nella L. 98/2013, ha innovato significativamente la normativa sulla mediazione civile e commerciale di cui al D.Lgs. 28/2010, già oggetto dell’intervento demolitorio della Corte costituzionale. L’obbligatorietà della mediazione è stata reintrodotta nella formula più attenuata (e meno costosa) dell’incontro preliminare, ma soprattutto è stato ampiamente riconosciuto, sotto diversi profili, il ruolo dell’avvocato nello svolgimento del procedimento di mediazione.

Chiamati, dunque, a cogliere tutte le potenzialità insite

 

 

nel nuovo modello di mediazione (proposto in via sperimentale per quattro anni), gli avvocati facenti parte del Coordinamento hanno formulato i propri indirizzi interpretativi su alcuni aspetti relativi al procedimento, nonché ulteriori standard operativi, da condividere con tutti gli organismi forensi, con il Consiglio Nazionale Forense e con il Ministero della Giustizia.

In merito all’assistenza obbligatoria dell’avvocato viene precisato quanto segue:

1) tutte le parti della mediazione devono partecipare ad ogni incontro e all’eventuale stipula dell’accordo con l’assistenza di un avvocato iscritto all’albo, sia ordinario che speciale. La domanda di mediazione può essere sottoscritta anche dalla parte personalmente, eventualmente indicando l’avvocato che provvederà all’assistenza o riservandosi di avvalersene direttamente all’incontro;

2) l’assistenza dell’avvocato deve ritenersi obbligatoria per tutti i procedimenti di mediazione, siano essi obbligatori, facoltativi, disposti dal giudice o obbligatori in forza di clausola contrattuale.

Sulla competenza territoriale, il Coordinamento della conciliazione forense sottolinea che:

1) l’ODM e il mediatore non sono in alcun modo tenuti a declinare la propria competenza in favore di un altro organismo eventualmente ritenuto competente per territorio, né sono tenuti a formulare alcuna eccezione in tal senso. Il modello di domanda di mediazione può richiamare l’attenzione dell’istante sulle previsioni della legge che dispongono la competenza territoriale;

2) il mediatore è tenuto a dare atto a verbale dell’eventuale eccezione della parte invitata che compaia al primo incontro o che abbia comunicato tale eccezione per iscritto prima dell’incontro.

Ancora, sulle spese di mediazione viene stigmatizzato che la parte che attiva un procedimento di mediazione è tenuta a corrispondere, al momento del deposito della domanda, le spese di avvio, nella misura forfettaria, già prevista dal D.M. 180/2010, di euro 40,00, oltre alle ulteriori spese documentate che l’ODM volesse richiedere. Tutte le altre parti della mediazione sono parimenti tenute a corrispondere le spese di avvio al momento dell’adesione o, in ogni caso, al momento della comparizione al primo incontro. Ogni ulteriore indennità è dovuta soltanto in caso di prosecuzione della mediazione oltre il primo incontro o, comunque, in caso di accordo di conciliazione.

Il Coordinamento formula inoltre le seguenti proposte, auspicando gli opportuni chiarimenti interpretativi o i necessari interventi regolamentari:

- stante l’obbligatorietà dell’assistenza dell’avvocato, si auspica che, nei casi di cui all’art. 17, co. 5bis, D.Lgs. 28/2010, sia consentito espressamente, ai soggetti che si trovano nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di poter beneficiare delle stesse condizioni di assistenza giudiziale anche in sede di mediazione, con possibilità di liquidazione delle spese da parte del giudice del successivo eventuale giudizio;

- si ritiene che l’accordo di conciliazione che sia stato sottoscritto anche dagli avvocati, ai sensi del novellato art. 12, co. 1, D.Lgs. 28/2010, possa essere posto in esecuzione dall’ufficiale giudiziario, con la sola produzione del titolo in originale e senza alcuna necessità di apposizione di una formula esecutiva;

- in vista dell’approvazione dei nuovi parametri forensi, in attuazione della legge 247/2012, si ritiene utile e necessario che sia prevista, in conformità alla proposta del Consiglio Nazionale Forense, una voce autonoma di parametro per l’assistenza dell’avvocato nella procedura di mediazione ed una distinta voce per l’assistenza alla redazione dell’accordo di conciliazione; con riferimento alla prima delle due voci, si potrebbe utilmente precisare che il compenso non è dovuto all’avvocato, ove la mediazione fallisca al primo incontro, non svolgendosi pertanto alcuna effettiva attività di mediazione.

ott 28 2013

Occupazione, in Umbria 30mila scoraggiati

PERUGIA – Sono 30 mila gli “scoraggiati” che, in Umbria, si aggiungono ai 42mila disoccupati in senso stretto. Una massa di 72mila persone (in Italia i disoccupati in senso stretto sono 3 milioni, oltre 2,9 milioni milioni gli scoraggiati, per un totale di quasi 6 milioni), 42mila donne e 30 mila uomini, che rappresentano la forza di lavoro potenziale aggiuntiva a quella attuale ma che, tuttavia, non riesce a trovare un’occupazione. Se si tiene conto degli scoraggiati, il tasso di disoccupazione in Umbria sale al 16,7%, rispetto al 10,5% che rappresenta il tasso di disoccupazione in senso stretto.

Un enorme spreco di risorse umane, nella maggior parte dei casi con buoni livelli di scolarizzazione. Risorse che, se impiegate, farebbero innalzare il prodotto interno lordo della regione (e, nel caso italiano, dell’Italia), che non a caso potrebbe avere un aumento potenziale, secondo gli esperti, di circa il 18-19%. Tuttavia non è così e non solo queste 72mila persone non partecipano alla creazione della ricchezza dell’Umbria, ma le loro vite sono caratterizzate, ben che vada, da un elevatissimo livello di precarietà, quando non da gravi situazioni di disagio socio-economico. E con la prospettiva, per chi ha superato i 30-35 anni senza aver avuto la possibilità di lavorare in regola e non ha nell’immediato orizzonte vere e proprie occasioni do lavoro, di avere una vecchiata povera a causa di pensioni che, a fronte di un livello non adeguato di contributi previdenziali, saranno inevitabilmente basse, quando non proprio minime ora che il sistema pensionistico contributivo è entrato a regime per tutti, in luogo del ben più generoso sistema retributivo.

I dati sono stati forniti dall’Istat in occasione della Giornata italiana della statistica, e reperibili anche sul sito www.Istat.it nella sezione I.Istat alla voce lavoro, aprendo poi la sottovoce “occupati” e scaricando la tabella in excel.

I disoccupati in senso stretto

Il tasso di disoccupazione, in verità, sarebbe meglio chiamarlo tasso della disperazione. Perchè, per l’Istat, che utilizza i criteri Eurostat validi in tutta l’Unione europea è disoccupato chi presenta, contemporaneamente, queste caratteristiche: non avere un’occupazione; avere svolto una ricerca attiva di lavoro (domande, invio curriculum, partecipazione a concorsi…) nelle 4 settimane precedenti la rilevazione Istat: essere disponibile – praticamente in modo immediato – ad accettare un qualsiasi lavoro venga offerto, senza porre condizioni di distribuzione dell’orario; essere disposto ad accettare un qualsiasi lavoro nel raggio di 40 chilometri dal luogo di residenza. Ad esempio, un laureato che cerca lavoro, ma che non accetterebbe impieghi sotto un certo livello di qualità, non rispettando uno dei criteri non è considerato disoccupato e finisce tra le non forze di lavoro (di cui fanno parte anche coloro che cercano lavoro ma non solo disponibili a svolgere una qualsiasi occupazione). Fuori dai disoccupati, e quindi dalle forze di lavoro (date dalla somma occupati+disoccupati), è, ad esempio, anche una mamma che cerca lavoro, ma che è obbligata ad accettare, qualora gli venga offerta, solo un’occupazione che preveda orari compatibili con qualli relativi all’accudire i figli.

In Umbria, nel primi 6 mesi del 2013, i disoccupati in senso stretto sono 42mila (in crescita di 4mila rispetto ai 38mila del primo semestre 2013 e di ben 23mila rispetto ai 19mila del primo semestre 2007, prima dell’arrivo della recessione). Di questi, 21mila sono uomini (erano 16mila nel 2012 e solo 7mila nel 2007) e 21mila donne (22mila nel 2012 e 12mila nel 2007).

Gli scoraggiati

Gli scoraggiati, nel primo semestre 2013, in Umbria sono 30mila, (erano 20mila nel primo semestre 2012 e 22mila nei primi sei mesi del 2007). In Italia, come detto, nel primo semestre 2013 sono oltre 2,9 milioni. Si dividono in due sottogruppi.

1° tipo – Coloro che cercano lavoro ma non attivamente. Si tratta di coloro che non lavorano ma l’impiego non lo cercano con continuità, scoraggiati dai precedenti insuccessi. Nella regione nel primo semestre di quest’anno sono 26mila, rispetto ai 15mila dello stesso periodo del 2012 e ai 7mila del primo semestre 2007. In sostanza, dal 2007 ad oggi sono quasi quadruplicati.

2° tipo – Coloro che non cercano lavoro, ma sono disponibili a lavorare. Di questa categoria fanno parte coloro ancora puiù scoraggiati rispetto ai primi. I lavoro, infatti, non lo cercano proprio più, delusi dagli insuccessi precedenti (le persone nella voce precedente, invece, il lavoro lo cercavano, ma non attivamente, ossia in modo continuativo). In Umbria, sempre nel primo semestre 2013, sono 14mila, rispetto ai 15mila dello stesso periodo 2012 e ai 15mila del 2007.

Il totale

In totale, come detto nella regione gli scoraggiati sono 30mila, nel primo semestre 2013, lo stesso numero del 2012. Nel primo semestre 2007, prima della recessione, erano invece 22mila. A questi numeri occorre aggiungere quelli dei disoccupati in senso stretto.Facendo il confronto 2007-2013 si può dire, dati Istat alla mano, che la recessione è costata 23mila disoccupati e 8mila scoraggiati in più, con il tasso di disoccupazione allargato (ossia aggiungendo gli scoraggiati ai disoccupati) che è cresciuto di 6,4 punti percentuali (dal 10,3% al 16,7%).

ott 23 2013

Nella Prima giornata dell’ingegneria della Sicurezza un commento al ‘Decreto del Fare’

Promossa dal Consiglio Nazionale degli ingegneri in collaborazione con il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, la “Prima giornata dell’ingegneria della Sicurezza” si è tenuta a Roma lo scorso 18 ottobre 2013.

Quanto emerso dall’incontro avvenuto presso l’Istituto Superiore Antincendi, è che nel recente “Decreto del fare” sono contenute novità legislative in materia di snellimento procedurale, ma la maggior parte di queste misure è demandata a decreti attuativi. In tal modo gli adempimenti formali che allungano i tempi, amplificano i costi, creano solo inutile burocrazia. “Quindi tutto cambia affinché nulla cambi”, affermano gli ingegneri, il cui portavoce Armando Zambrano, Presidente del Cni, dichiara:”la sicurezza è connaturata al nostro essere ingegneri. Per noi è un valore sociale e culturale, in quanto il lavoro da noi è finalizzato proprio alla tutela dei cittadini.” Un contributo fondamentale che trova riscontro nelle attività svolte dagli ingegneri operanti nel settore della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, che garantiscono con professionalità e competenza il raggiungimento dei più adeguati livelli di sicurezza. .

“Crediamo sia prioritario fare fronte a questa grave emergenza, perché si tratta di un fenomeno che oltre a rappresentare un costo dal punto di vista umano, pesa anche sul bilancio dello Stato”, ha sottolineato Gaetano Fede, Consigliere Delegato alla sicurezza del Cni.

Negli ultimi anni, infatti, si sono registrati rilevanti progressi sul fronte della prevenzione, ma c’è ancora tanta strada da fare. I recenti dati Inail evidenziano che nell’Industria e Servizi nel 2012 sono stati 584.915 i casi di infortunio sul lavoro rispetto ai 790.427 di quattro anni fa. La flessione la si riscontra anche nell’agricoltura: 42.825 incidenti contro i 53.387 del 2012.

Nel settore pubblico i numeri sono più ridotti ma ugualmente significativi: 28.774 infortuni contro 31.512.

Il caso virtuoso di questa collaborazione tra ingegneri e vigili del fuoco è un punto a favore della sburocratizzazione della macchina amministrativa. Il lavoro degli uffici provinciali dei vigili del fuoco, chiamati ad esprimere pareri sulle progettazioni e richieste di certificazione antincendio è risultato, da una recente indagine realizzata dal Centro Studi del Cni, al primo posto in termini di efficienza nella gestione delle procedure tecnico-amministrative.

ott 09 2013

L’ordine dei geologi lancia l’allarme: "Maggiore cura del reticolo idrogeologico per prevenire disastri a ogni pioggia"

Parla la presidente Maria Teresa Fagioli: “Occorre investire in manutenzione di fossi e torrenti e un nostro coinvolgimento prima che siano decise le scelte urbanistiche”

“La strage strisciante continua, 50 anni dal disastro del Vajont sono serviti se non a nulla, a poco. Anche in Toscana”. Inizia la stagione delle piogge, ed è subito emergenza alluvioni. Maria Teresa Fagioli, presidente dell’Ordine dei Geologi della Toscana, parla di necessità di interventi di manutenzione e di prevenzione. “Il cinquantesimo anniversario della strage di Longarone, viene celebrato in Toscana e Puglia con l’apertura delle stagione dei disastri idrogeologici, anche se di minor rilevanza”.

I morti, in Toscana, sono arrivati da piccoli corsi d’acqua, fossi, che all’improvviso si gonfiano. “Nuovamente a far vittime è stata quella rete minore della quale spesso è complicato anche individuare il soggetto responsabile della manutenzione. Manutenzione nei secoli curata da contadini e montanari, la cui cultura si è rarefatta ed estinta quando queste operose generazioni di nostri antenati hanno avuto la possibilità di sfuggire alla miseria cui erano state costrette”.

Attenzione politica. Ecco che quindi occorre un doppio livello di attenzione. Primo tra tutto politico, poi mediatico.

Ma “forse allora è il caso di dirlo chiaro: se non c’è la volontà politica di investire in manutenzioni che non ripagano in ritorni elettorali, se i geologi li si coinvolge sempre solo dopo che le scelte urbanistiche sono state fatte e finanziate, o quando il danno è avvenuto, se si preferisce incolpare il cielo (meteorologicamente parlando) per non ammettere l’assenza di vigilanza e tutela sul territorio, allora ad ogni pioggia si dichiari lo stato d’assedio, si chiudano la porte dell’Urbe e si attenda il sereno».

Parola d’ordine, manutenzione. Quello che pesa è la mancanza di cura del reticolo di regimazione delle acque. “Come per il Vajont, noi geologi sappiamo perfettamente che la rete idrografica minore, la meno curata, è un vero e proprio campo minato, che si innesca a ogni temporale intenso”.

C’è bisogno di una maggiore attenzione al problema, anche, soprattutto prima che accada un disastro.

“È importante parlare di manutenzione dei fossi, di pulizia degli alvei, di segnalazioni agli automobilisti a non avvicinarsi neppure ai ponti quando il torrente, anche piccolino, li sormonta, di informazione ai cittadini, che non tentino di salvare la macchina dal box quando l’acqua lo sta invadendo, pena fare la fine del topo».

Attenzione mediatica. Oltre alla volontà politica, spesso manca la comunicazione del pericolo. “Almeno, si abbia il buon senso di segnalare la pericolosità di ponticelli e chiaviche, quando l’acqua li sormonta, perché i cittadini, quelli che vivono in città, non ne conoscono il pericolo, e finisce che ci rimettono la vita”.

Purtroppo “come negli anni che precedettero il disastro del Vajont, anche oggi ci si guarda bene dall’informare, educare, avvisare l’opinione pubblica e le future potenziali vittime sullo stato di rischio in cui si trovano. Salvo poi lanciarsi sulla salma fresca, che “la morte in diretta” si sa, fa audience».

 Fonte: Ordine dei Geologi della Toscana

set 30 2013

La mediazione civile e commerciale ritorna di attualità con la conversione in legge del decreto 69 del 2013: novità, criticità e commenti.

La mediazione civile e commerciale ritorna a far parlare di se dopo che la sentenza della Corte Costituzionale l’aveva momentaneamente messa ai margini eliminando l’obbligatorietà del procedimento nelle fattispecie previste dall’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 28 del 2010.

Pur ricordando che la mediazione e’ sempre rimasta in vigore nel nostro ordinamento, seppur solo volontaria, il mondo politico si è subito reso conto che la lacuna andava colmata e bisognava al più presto riattivare la normativa inizialmente prevista dal sopracitato Decreto Legislativo. Non dobbiamo purtroppo dimenticare le frange ideologiche , specie di una importante categoria professionale, che hanno da sempre osteggiato la mediazione con mal celati obiettivi di malsano corporativismo. Costoro hanno erroneamente creduto che con la sentenza della Corte Costituzionale la mediazione fosse definitivamente accantonata e ci si dovesse preparare alla solita gestione del conflitto solo ed esclusivamente all’interno dei Tribunali, al massimo con qualche timido tentativo di tavoli di negoziazione guidati solo da una categoria professionale.

L’emanazione da parte del governo del decreto del fare ( Decreto Legge 69 del 2013), ha dato l’occasione per sanare la lacuna normativa creatasi e, nella meraviglia di alcuni, la mediazione civile e commerciale ha visto, dal 21 settembre 2013, il ritorno dell’obbligatorietà nel nostro ordinamento giuridico. Ovviamente, questa iniziativa ha fatto sin da subito scaturire non poche critiche da parte dei detrattori della mediazione efficiente ed efficace.

Prima di proseguire nelle nostre considerazioni, mi preme soffermarmi sulla obbligatorietà dell’istituto della mediazione e sulla sua opportunità ed efficacia in via preliminare o nell’ambito del processo civile. Molte sono state le parole spese in tal senso e con opposti pareri su tale necessità. Personalmente ero ,sono e sarò dell’idea che la mediazione ,pur nascendo da teorie anglosassoni che la vedono squisitamente volontaria ,doveva approdare nella nostra Italica penisola solo attraverso dei percorsi che obbligavano le parti in conflitto a tentare una negoziazione assistita con un terzo neutrale ( mediatore ) e che ogni altra soluzione avrebbe portato ad un inevitabile fallimento. Questa mia convinzione non nasce solo dall’ idea che il nostro Paese sia incredibilmente legato all’esistenza della norma coercitiva che, altrimenti, non viene considerata neanche come vigente, ma anche dall’esperienza pratica delle normative degli ultimi anni che hanno visto il fallimento della mediazione meramente volontaria ( diritto societario). Forse dovremmo far trascorrere almeno un decennio di applicazione delle normative di Adr (alternative dispute resolution) per poter superare l’esigenza dell’obbligatorietà raggiungendo quella adeguata consapevolezza della corretta gestione del conflitto anche al di fuori dei Palazzi di Giustizia.

Tornando all’evoluzione della nuova normativa sulla mediazione, vediamo subito quali sono state le principali novità introdotte dalla legge di conversione del decreto 69/2013 , Legge n. 98 del 2013 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20 Agosto 2013 a modifica del D.Lgs. 28/2010, in vigore dal prossimo 21 settembre 2013:

Definizioni: Nozione di mediazione: ( articolo 1) E’ intesa come l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa.

Accesso alla mediazione. Modalità del procedimento e competenza territoriale: (articolo 4 ) la domanda del procedimento deve essere presentata presso un Organismo di Mediazione tramite il deposito di un’istanza nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. Se dovessero insorgere più domande in merito alla stessa controversia, il procedimento di mediazione si svolgerà davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda.

Condizione di procedibilità e rapporti con il processo ( art.5). E’ stato introdotto il comma 1 bis, avendo la Corte Costituzionale dichiarato l’incostituzionalità del comma 1, che riporta le materie già oggetto di mediazione obbligatoria ( condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno da responsabilità medica , diffamazione a mezzo stampa, contratti assicurativi bancari e finanziari) eliminando l’infortunistica stradale ed aggiungendo il risarcimento per danno da responsabilità sanitaria. Inoltre viene esplicitamente prevista l’assistenza dell’avvocato alla procedura di mediazione. E’ stabilito che il procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, quindi obbligatoria, per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore sarà attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. Il comma 2 conferma la possibilità l’esistenza della mediazione delegata dal Giudice, anche in sedi di giudizio di appello, con la novità che ora lo stesso Giudice può disporre e non invitare le parti all’esperimento del procedimento di mediazione. Infine si precisa che, quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza accordo ( comma 2 bis ).

Durata ( art .6 ). Il procedimento di mediazione deve avere una durata non superiore a tre mesi e non più quattro.

Procedimento ( art. 8 ). All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni (prima erano quindici) dal deposito della domanda. Chi intende esercitare in giudizio l’azione ora è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento con l’assistenza di un avvocato . Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e la modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore poi invita le parti ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e , nel caso positivo, procede con lo svolgimento.

Efficacia esecutiva ed esecuzione ( art.12 ) Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi procuratori costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione in consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare e di ipoteca giudiziale. Gli avvocati presenti attestano la conformità dell’accordo alle norme imperative ed all’ordine pubblico. In tutti gli altri casi l’accordo è omologato, su istanza di parte, con decreto del Presidente del Tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico.

Organismi di mediazione e registro. Elenco dei formatori. ( art.16). Al comma 4-bis si stabilisce che gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Viene inoltre specificato che gli stessi iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55- bis del codice deontologico forense.

Risorse , regime tributario e indennità ( art.17 ). E’ stato aggiunto il comma 5 ter che specifica come il mancato accordo all’esito del primo incontro determina la mancata corresponsione del compenso all’organismo si mediazione.

Articolo 2643 Codice Civile – Atti soggetti a trascrizione: E’ stato aggiunto il comma 12 bis che afferma come gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione sono trascrivibili con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Dall’elencazione delle principali novità legislative possiamo serenamente dire che la mediazione ne esce completamente ridisegnata e forse non sempre migliorata rispetto alla precedente stesura . Ma andiamo con ordine.

La modifica all’articolo 4 con l’introduzione della competenza territoriale, secondo il modesto parere di chi scrive, rappresenta uno dei punti meno felici della nuova normativa. Cavallo di battaglia di molti, era stato accantonato nella prima stesura per una serie di motivi assolutamente di buon senso e di rilevanza giuridica. L’introduzione della competenza territoriale rappresenta il modo migliore per far apparire l’istituto della mediazione come un quarto grado di giudizio, ossia quanto di meno appropriato si possa pensare per chi crede alle tecniche di ADR come incontro per la risoluzione alternativa delle controversie. Inoltre potrà verosimilmente rappresentare un indubbio motivo di nascita di nuovi contenziosi sui conflitti di competenza territoriale degli organismi. In definitiva, si profila una normativa che dovrebbe tendere alla deflazione del contenzioso ma che, potenzialmente, va nella direzione opposta.

Non dimentichiamo poi delle difficoltà organizzative che i singoli organismi più rappresentativi si troveranno ad affrontare nel gestire tale nuova incombenza .

A supporto dell’esigenza della territorialità sono state portate giustificazioni relative alle possibilità di utilizzo in mala fede della libertà di adire gli organismi senza limiti di competenza, portando quindi al fallimento della procedura mediazione con possibilità di far ricadere la responsabilità della mancata presenza in capo all’altra parte. Si può tranquillamente obiettare che tale situazione, formalmente possibile, nella pratica risulta assolutamente residuale e comunque era sottoposta alla superiore valutazione del giudice nella soccombenza delle spese di giudizio.

Nell’integrazione dell’articolo 5 con il nuovo comma 1 bis si è voluto riscrivere le materie oggetto della obbligatorietà dell’esperimento del procedimento di mediazione considerato, quindi, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Rispetto al vecchio comma 1 è stata eliminata la materia delle controversie stradali ed introdotta la responsabilità sanitaria oltre quella medica.

Queste novità hanno entrambi una valida giustificazione, in quanto l’eliminazione delle controversie stradali come condizione di procedibilità era stata da molti considerata come opportuna, vista le difficoltà operative di coordinamento della normativa della mediazione con la prassi di liquidazioni dei danni da sinistri stradali. Infatti tale fattispecie era stata caratterizzata dalla più alta percentuale di mancata adesione da parte delle compagnie di assicurazione. Limitarla quindi alla fattispecie di mediazione volontaria può essere una soluzione efficace.

L’introduzione, invece, della responsabilità sanitaria è stata opportuna in quanto ha eliminato una lacuna della vecchia normativa che aveva omesso tale fattispecie considerando solo la responsabilità medica.

Altra fondamentale novità riguarda la previsione della presenza obbligatoria degli avvocati alle procedure di mediazione. La presenza degli avvocati al tavolo della mediazione poteva anche essere un auspicio, in quanto rappresentava una maggiore serenità degli interlocutori al tavolo della negoziazione, ma, non doveva essere un obbligo per le parti che si vedranno obbligate a subire l’onere per i compensi professionali. Inoltre la prassi della mediazione aveva già fatto rilevare la presenza dei professionisti legali nella grande maggioranza delle procedure di conciliazione instaurate. Sinceramente di questa previsione non se ne vedeva la necessità , in quanto assolutamente pleonastica.

Altra novità prevista nel nuovo comma 1 bis dell’articolo 5 è quella relativa alla scadenza della mediazione come condizione di procedibilità prevista in quattro anni e, inoltre, per i primi due anni il Ministero di Giustizia attiverà il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. I tempi previsti sono obiettivamente molto stringenti tanto da far rischiare di mettere a repentaglio la diffusione della mediazione nella cultura del nostro paese. Non possiamo però, come cultori della mediazione, non avere l’auspicio di vedere comunque i risultati positivi affermati nella cultura della gestione del conflitto nel nostro paese.

E’ invece rilevante positivamente la previsione dell’articolo 5 al comma 2 in cui la mediazione delegata dal giudice anche in grado di appello, può divenire non più un invito ma una specifica disposizione del giudice stesso.

Il comma 2 bis del più volte citato articolo 5 tende a precisare come la condizione di procedibilità possa essere espletata anche nella fattispecie di non raggiungimento dell’accordo già nel primo incontro .

Si evidenzia ancora la modifica all’articolo 6 che sancisce la durata massima della procedura che passa da quattro a tre mesi. Vedremo se tale decisione porterà o meno difficoltà agli organismi nella gestione della articolata procedura. Sicuramente avvalorerà ancora di più il carattere di procedura veloce della mediazione.

Il successivo articolo 8 introduce novità per quanto riguarda il nuovo termine di 30 giorni, dalla presentazione della domanda per la fissazione dell’incontro di mediazione, con l’obbligo dell’assistenza degli avvocati per tutta la durata del procedimento. Questo tempo maggiore per la fissazione del primo incontro sarà molto gradito alle segreterie degli organismi che avevano subito il precedente termine al punto, nella grande maggioranza dei casi, da non ritenerlo termine perentorio.

Altra novità , però di dubbia valenza, è l’obbligo introdotto in capo al mediatore di chiarire alle parti la funzione e le modalità del procedimento, oltre poi chiedere alle stesse parti ed ai rispettivi avvocati di esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procedere con lo svolgimento. In questa parte della norma il legislatore, in definitiva, ha introdotto una sorta di mediazione preliminare con il successivo giudizio delle parti se continuare oppure no. Il procedimento di mediazione di derivazione anglosassone, in realtà, prevede già che il mediatore esplichi chiaramente alle parti la sua funzione e le modalità di svolgimento del procedimento con il cosiddetto “ monologo del conciliatore” per poi continuare con la mediazione ; quello che invece rende perplessi è la necessità di far subito esprimere le parti sulla continuazione o meno della mediazione. Sappiamo tutti che il primo incontro è, quasi sempre, il più complesso, in quanto il conflitto è ancora vivo e tutti i contrasti sono presenti. Come si può pensare, quindi, che con la semplice spiegazione della procedura e delle sue peculiarità le parti attenuino ogni conflitto e accettino di continuare? Ovviamente molte mediazioni moriranno a questo punto senza neanche cominciare e solo la bravura del mediatore “ professionista” potrà tentare di far evidenziare il BATNA positivo (miglior alternativa al tavolo negoziale) per agevolare gli interlocutori ad un accordo e convincerli a continuare già nel primo incontro.

All’articolo 12 la riforma ha introdotto un interessante procedimento di omologa dell’accordo legato alla presenza degli avvocati al tavolo della mediazione ed alla loro volontà di attestare la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. In mancanza di tale volontà si potrà richiedere l’omologa col già collaudato sistema di richiesta al Presidente del Tribunale di competenza.

In realtà tale fattispecie è di buon senso, vista l’ormai acclarata presenza dei professionisti forensi al tavolo di negoziazione, e potrà ulteriormente accelerare l’omologa dell’accordo per costituirlo come titolo esecutivo.

L’articolo 16 comma 4 bis, prevede l’iscrizione di diritto degli avvocati al registro dei mediatori pur mantenendo l’obbligo degli stessi alla adeguata formazione in materia di mediazione e l’adeguato aggiornamento come da ordinamento forense (articolo 55 bis). Dobbiamo sottolineare come gli Organismi di mediazione fossero e rimangono sempre liberi di accettare o meno i mediatori che si candidano ad essere iscritti nei loro elenchi, dando rilevanza alla formazione specifica del candidato nelle tecniche di ADR. Quindi il mediatore, qualunque professione eserciti, è un professionista con competenza specifica nell’ambito della mediazione e con adeguata formazione, così come previsto dalla Legge.

L’articolo 17 al comma 5 ter prevede la non corresponsione del compenso all’Organismo nel caso di mancato accordo al primo incontro. Questa previsione normativa apre , secondo noi, molti spunti polemici, in quanto, mentre da una parte prevede un onere obbligatorio per l’assistenza legale, dall’altra introduce la gratuità della prestazione di un altro professionista per il solo fatto che le parti non raggiungono un accordo. Ovviamente rimangono dovute le sole spese di avvio.

Gli Organismi saranno costretti, per vedersi riconosciute le indennità previste, ad effettuare sempre un secondo incontro, quando le parti hanno palesato la loro accettazione a partecipare al tavolo della negoziazione ed alla gestione del conflitto da parte del mediatore. Tutto ciò porterà alla conseguenza inevitabile dell’allungamento della durata complessiva della procedura. Il Legislatore ha voluto far affermare l’idea che la mediazione debba essere comunque non onerosa rendendo, nel contempo, difficile la sopravvivenza degli Organismi privati che, negli ultimi tempi, in numero sempre maggiore si sono visti costretti alla cancellazione dall’elenco con conseguente diminuzione cospicua del numero complessivo degli iscritti .

Si auspica che i consulenti legali presenti al tavolo percorrano in maniera costruttiva il tentativo di mediazione sin dal primo incontro, non cedendo alla tentazione di farlo divenire una mera formalità da superare al più presto. Questo auspicio è fondamentale per avere uno strumento per tentare di superare la nostra difficile posizione di cenerentola mondiale nella graduatoria dell’efficienza giudiziaria. E, come riporta la Commissione europea “,“Justice delayed is justice denied” la giustizia ritardata è giustizia negata.

set 25 2013

Certificazione energetica degli edifici: la norma è oscura

Secondo il Consiglio nazionale degli ingegneri, non è semplice individuare requisiti e titoli di studio abilitanti all’attività di certificatore.

Il Dpr 16 aprile 2013 n.75, che definisce i requisiti che abilitano i tecnici a rilasciare la certificazione energetica, sembra escludere gli ingegneri abilitati e iscritti all’Albo nei casi in cui il titolo di studio non sia citato espressamente nei decreti ministeriali.

Per chiarimenti il Consiglio nazionale degli ingegneri ha inviato una richiesta di parere e intervento ai ministri dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Andrea Orlando, e delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi.

 Vediamo nello specifico i dubbi principali che hanno condotto ad una richiesta di chiarimenti da parte del Consiglio, ad iniziare dai requisiti stabiliti ai commi 3 e 4:

 il primo richiede l’iscrizione ai relativi Ordini e Collegi professionali e l’abilitazione all’esercizio della professione relativa alla progettazione di edifici e impianti asserviti agli edifici stessi, nell’ambito delle specifiche competenze a esso attribuite dalla legislazione in vigore;

il secondo prevede l’obbligo di un attestato di frequenza, con superamento dell’esame finale, relativo a specifici corsi di formazione per la certificazione energetica degli edifici.

Dalla lettura dei suddetti commi emerge che un ingegnere che ha sostenuto l’esame di Stato può essere escluso dall’attività di certificazione energetica degli edifici, mentre uno non abilitato e non iscritto all’albo potrebbe essere considerato competente per aver superato un corso di formazione.

 Tuttavia, con la circolare n. 367 del 15 novembre 2010 del Consiglio Nazionale degli Ingegneri e la sentenza del Consiglio di Stato n.686 del 09/02/2012, erano già stabiliti i limiti di competenza nella certificazione energetica con riferimento al Dpr 5 giugno 2001 n.328, che ha suddiviso l’Albo professionale nelle due sezioni A e B e tre settori (civile e ambientale; industriale; dell’informazione).

Di conseguenza, viene confermata l’abilitazione del professionista con laurea vecchio ordinamento e già iscritto all’Albo a svolgere tutte le attività proprie della professione di Ingegnere, senza l’obbligo di frequentare e superare ulteriori corsi od esami.

 Pertanto, in base a queste considerazioni, il Consiglio auspica un chiarimento che renda possibile applicare la disposizione del comma 4 solo a professionisti e tecnici che inizino ad operare successivamente all’entrata in vigore del DPR 16 aprile 2013 n.75 e non a quelli già attivi, per non rischiare di paralizzare l’attività delle imprese del settore.

a cura di Anna Carbone

set 12 2013

Prevenzione cadute dall’alto, consiglio Regione Umbria approva la legge

Il consiglio della Regione Umbria ha approvato definitivamente il 10 la proposta di legge sulle Norme in materia di prevenzione delle cadute dall’alto.

Nuovi strumenti per diffondere la cultura della sicurezza, obblighi di formazione per i lavoratori, regole di progettazione e attività di controllo. Queste le chiavi della nuova legge.

“Mira a diffondere la cultura della prevenzione dei rischi di infortunio su tutte le attività che si svolgono in quota” – ha spiegato l’assessore ai Lavori pubblici Stefano Vinti – “anche quelle dei cittadini quando si espongono a un’altezza superiore ai due metri. Il 67 per cento degli incidenti riguardano il settore delle costruzioni e il 10 per cento l’agricoltura, ma soprattutto il 26 per cento dei casi sono dovuti a sfondamenti della copertura causati da assenza di protezioni e percorsi predefiniti, mentre nel 15 per cento dei casi le cause sono cadute da ponteggi o impalcature fisse”.

Entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento, la giunta regionale adotterà un regolamento contenente tutte le prescrizioni e le indicazioni tecniche. I Comuni dovranno quindi adattare le proprie disposizioni normative entro 12 mesi dalla pubblicazione delle norme regolamentari sul Bollettino ufficiale della Regione.

La giunta inoltre, adempiendo alla clausola valutativa, sarà tenuta a relazionare al consiglio regionale sui dati tecnici, sulle attività eseguite e sulle modalità adottate in materia di formazione e prevenzione.

set 04 2013

ARCHITETTI – Aggiornamento professionale continuo: corsi, contenuti e crediti

Il 1° gennaio 2014 entrerà in vigore l’articolo 7 della recente Riforma degli Ordinamenti Professionali che riguarda la formazione continua degli Architetti e di tutti i professionisti iscritti agli Ordini.

 Indipendentemente dalla obbligatorietà della norma, pensiamo che avere a disposizione numerose occasioni di formazione possa costituire una grande opportunità di qualificazione professionale in un mercato del lavoro sempre più competitivo e globale. Questo articolo di Legge, peraltro, allinea gli Architetti a molti altri professionisti italiani che da oltre un decennio hanno l’obbligo dell’aggiornamento continuo e alla quasi totalità dei professionisti europei.

L’Ordine di Milano sta operando per mettere i propri iscritti in condizione di raggiungere i crediti obbligatori (60 nel primo triennio e 90 in quelli successivi) seguendo corsi on line con l’obiettivo di erogarli a costi estremamente contenuti.

Gli iscritti potranno scegliere liberamente in relazione alle proprie esigenze professionali le attività da svolgere, pur nel rispetto delle modalità e dei criteri descritti nel Regolamento approvato dal Ministero e di prossima pubblicazione, e nelle Linee guida approvate dal C.N.A.P.P.C., delle quali vi invitiamo a prendere visione.

 L’art 9, comma 4, del Regolamento dà facoltà agli Ordini di effettuare a partire dal 1° luglio 2013, “attività formative sperimentali su base volontaria”, per le quali “verranno riconosciuti crediti formativi professionali utili al monte crediti del 2014”.

Il Consiglio della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti P.P.C. ha ritenuto opportuno testare le possibilità di aggiornamento on line offerte dalla piattaforma web XClima.

A questo proposito sono stati organizzati 3 + 2 corsi on line (webinar) tra settembre e ottobre secondo il programma allegato, ai quali l’Ordine di Milano affiancherà dal mese di novembre altre attività formative in aula, convegni, conferenze, itinerari, ecc

 A ogni webinar sperimentale potranno accedere non più di 500 utenti. Di conseguenza Consulta ha ripartito gli accessi all’aula virtuale in proporzione al numero degli iscritti di ciascun Ordine.

In considerazione del fatto che il nostro Ordine è il maggiore della Lombardia, Consulta ha organizzato un webinar riservato che si svolgerà in un orario differente rispetto a quello degli altri 10 Ordini, assegnandoci un totale di accessi all’aula virtuale pari a 480.

 Per partecipare alla sperimentazione on line, sarà necessario seguire le istruzioni dell’allegata comunicazione.

 Tutti quelli che ne faranno richiesta verranno abilitati al canale da parte dell’Ordine.

Sarà poi il sistema XClima ad associare al nominativo (secondo l’ordine di arrivo della richiesta di abilitazione al canale) la possibilità di accedere all’aula virtuale in base ai posti assegnati a ciascun Ordine lombardo.

ago 19 2013

Riforma del catasto, ecco l’appello di Assoedilizia

Per esigenze di equità fiscale occorre eliminare ai fini Imu tutti i coefficienti moltiplicatori per le rendite catastali recentemente rivedute o attribuite.

E’ questo l’appello di Assoedilizia rilasciato tramite il presidente dell’associazione, Achille Colombo Clerici, nel corso di un’intervista a Italia Oggi del 17 agosto 2013.

“Mentre si continua a parlare di Imu che è un’imposta comunale (computata sulla base di rendite catastali rivalutate mediante appositi moltiplicatori), la revisione catastale interesserà anche i valori impositivi ai fini di tutta una serie di imposte erariali (registro – successione – donazioni – congruità dell’Irpef – Irpef fondiaria); e in questo caso, figuriamoci cosa succederà per la verifica di invarianza (a livello comunale o nazionale?), con tutti i problemi di evasione fiscale presenti in Italia”, dichiara Clerici nell’intervista.

“Ma, anche a livello comunale (per quanto riguarda l’Imu) tale verifica sarà compiuta al netto o al lordo del recupero dell’evasione fiscale – domanda – ? Se vien fatta “al netto” sono avvantaggiati i contribuenti regolari che si trovano in comuni con un alto tasso di evasione fiscale. Se vien fatta “al lordo” saranno questi comuni ad esser danneggiati”.

“La verità è che, fin tanto che non si parlerà di invarianza del prelievo a carico del contribuente regolare e non di invarianza del gettito fiscale (perché in questo caso c’è di mezzo la questione della media di trilussiana memoria), si continuerà a cercare di far quadrare un cerchio: e nessun contribuente onesto potrà star sicuro di non esser stangato”, prosegue.

“Potrebbe verificarsi, nel corso dell’attuazione della riforma, una provvisoria coesistenza e sovrapposizione di 
rendite nuove con rendite vecchie, con conseguenza sfasatura temporale nella rimodulazione delle aliquote: con esiti nefasti per molti contribuenti”, rivela il presidente di Assoedilizia.

“E’ già avvenuto. Ne vogliamo una prova ? In Italia ci sono milioni di immobili per i quali l’Agenzia del Territorio, in collaborazione con i Comuni, ha proceduto in tempi recentissimi alla revisione o alla nuova attribuzione delle rendite catastali attualizzando le classificazioni ed i valori con riferimento a quelli di mercato. Sono tutte le unità immobiliari oggetto di interventi edilizi che hanno comportato una denuncia di variazione catastale ( legge 311/20004 art. 1 comma 336 ), nonchè tutte le unità interessate dalle revisioni generali per microzone varate, in forza della “n. 311/2004, finanziaria 2005, art. 1 comma 335″, in 17 citta’ italiane ( tra cui Milano ) e tutti gli immobili con rendite attribuite ex novo”, elenca.

“Il governo Monti aveva introdotto in via provvisoria, ai fini Imu, alcuni coefficienti moltiplicatori delle rendite ( ad esempio del 60 % per gli immobili residenziali ) per elevare a valori più congrui le basi imponibili relative alle vecchie rendite mai aggiornate, pensiamo a quelle attribuite negli anni dell’immediato secondo Dopoguerra”.

“Questi moltiplicatori generali, introdotti in via provvisoria, ma che si avviano a diventare definitivi, si applicano ovviamente (perché nessuno si è ricordato o si è voluto ricordare del problema) anche a tutte rendite di recente attribuzione cui si è fatto cenno sopra, procurando in alcuni casi l’effetto perverso di far pagare l’imposta addirittura su valori superiori a quelli di mercato – spiega Clerici -. Abbiamo sollevato la questione: nessun esito. Altro che invarianza: abbiamo l’iniquità del “chi ha avuto ha avuto”.

“Assoedilizia fa un appello affinchè, per coerenza, ed al fine di parificare tutti i contribuenti – in questa fase di revisione che si preannuncia transitoria – eliminando storture e sperequazioni, si aboliscano immediatamente i coefficienti moltiplicatori previsti ai fini Imu, in tutti i casi di rendite catastali recentemente rivedute, aggiornate o comunque attribuite”, conclude.

fonte Assoedilizia

lug 30 2013

Prevenzione del rischio sismico: fondo ripartito tra le Regioni

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 10 luglio 2013 il decreto del Capo del Dipartimento della Protezione Civile del 15 aprile 2013, che ripartisce tra le Regioni i finanziamenti per gli interventi di prevenzione del rischio sismico previsti dall’art.11 della legge n. 77 del 24 giugno 2009, relativamente all’annualità 2012.

 Il Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico, avviato dopo il terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009, prevede lo stanziamento di 965 milioni di euro in 7 anni, per realizzare interventi finalizzati alla mitigazione del rischio sismico sull’intero territorio nazionale. I fondi per l’annualità 2012 ammontano a 195,6 milioni di euro, ripartiti sulla base dell’indice medio di rischio sismico, privilegiando le aree a maggiore pericolosità. I contributi possono essere utilizzati solo nei Comuni nei quali l’accelerazione massima al suolo “ag” sia pari o superiore a 0.125g.

Con un successivo decreto del Capo Dipartimento saranno ripartiti i fondi per altri interventi urgenti e indifferibili per la mitigazione del rischio simico. Le Regioni individuano la somma da destinare ai contributi per gli interventi sugli edifici privati, da un minimo del 20% fino a un massimo del 40% del finanziamento ad esse assegnato e lo comunicano al Dipartimento della Protezione Civile entro 45 giorni dalla data di pubblicazione di questo decreto in Gazzetta Ufficiale.

Il monitoraggio degli interventi finanziati viene svolto con procedure informatizzate che prevedono i seguenti passi:

 – le Regioni trasmettono alla Commissione tecnica per gli studi di microzonazione sismica gli atti relativi alla realizzazione degli studi di microzonazione sismica e delle analisi della Condizione Limite per l’Emergenza (obbligatorie);

- i Comuni interessati trasmettono alle Regioni le proposte di priorità di edifici pubblici strategici che ricadono nel loro territorio con l’attestazione dell’assenza di impedimenti e la descrizione delle caratteristiche dell’immobile presenti nelle schede di verifica sismica, in particolare, l’indice di rischio sismico;

 – i Comuni interessati trasmettono alle Regioni le proposte di priorità di edifici privati che ricadono nel loro territorio con la descrizione delle caratteristiche previste nel modello di richiesta di contributo (allegato 4 ordinanza 20 febbraio 2013, n. 52), con calcolo automatico del punteggio e del contributo massimo concedibile;

- le Regioni trasmettono al Dipartimento i resoconti annuali delle attività secondo i modelli riportati nel decreto;

 – attraverso uno strumento informatico di supporto, gli indici di rischio sismico che derivano dalle verifiche sismiche svolte vengono trasformati in indici di rischio coerenti con quelli che derivano dalle verifiche sismiche svolte in base alle Norme Tecniche per le Costruzioni emanate con decreto ministeriale del 14 gennaio 2008.

lug 16 2013

Inarcassa insostenibile, parte la protesta di Architetti e Ingegneri

Il lavoro che scarseggia, i clienti che non pagano, nessun riferimento tariffario a tutela del proprio lavoro, i noti problemi con i lavori pubblici, i continui cambiamenti normativi che obbligano ad un aggiornamento continuo e dispendioso, la crisi.

Sono solo alcuni dei problemi che soverchiano una platea di professionisti costituita da 150.000 architetti e 220.000 ingegneri che nel 2013 si troveranno a dover fronteggiare anche l’aumento del contributo Inarcassa che rischia seriamente di portare alla chiusura delle partite iva delle fasce più deboli.

 

Dall’1 gennaio 2013 è entrata in vigore la nuova Riforma Previdenziale per Architetti e Ingegneri che segna il passaggio al metodo contributivo che prevede:

un contributo soggettivo obbligatorio calcolato applicando una sola aliquota fino a concorrenza del massimale contributivo. In particolare l’aliquota ordinaria è passata dal 13,5% al 14,5% con un contributo minimo aumentato da € 1.645,00 a € 2.250,00 (aumento del 36,8% circa);

un contributo integrativo che tutti gli iscritti all’Albo degli Ingegneri o all’Albo degli Architetti P.P.C. devono applicare una maggiorazione percentuale del 4% su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari professionale ai fini dell’I.V.A., e versarne ad INARCASSA l’ammontare indipendentemente dall’effettivo pagamento da parte del debitore. La maggiorazione è ripetibile nei confronti di quest’ultimo. Con la riforma il contributo minimo è aumentato da € 375,00 a € 660,00 (aumento del 76!).

 

In pratica anche un piccolo professionista o un giovane appena entrato nel mondo del lavoro, dovranno versare ogni anno ad Inarcassa un contributo minimo di € 2.910,00 (pari a € 242,50 al mese).

 

E’ così partita dal mondo delle professioni una protesta contro un aumento ritenuto assolutamente controcorrente oltre che dannoso, che costringerà più di un professionista a prendere in seria considerazione l’ipotesi di chiudere o preferire il lavoro subordinato alla libera attività intellettuale.

 

La parte “istituzionale” e “politica” delle professioni costituita dai Consigli Nazionali di Architetti e Ingegneri ha inviato una lettera al Presidente di Inarcassa Arch. Paola Muratorio in cui hanno pregato di capire il momento di grave sofferenza dei propri iscritti ed in generale quello del Paese, chiedendo di intraprendere delle iniziative “atte a ridurre, sia pur temporaneamente, gli oneri a carico degli iscritti, tra cui un temporaneo congelamento dell’aumento dei contributi minimi.”

 

Da segnalare la nota inviata dall’Ordine degli Architetti P.P.C. di Messina che, dopo aver mostrato l’insostenibilità dei contributi Inarcassa, ha formulato una proposta che verrebbe incontro alle impellenti esigenze degli iscritti. In particolare:

abolizione del contributo minimo perché con l’avvento del sistema contributivo sarebbe corretto prevedere il versamento di una aliquota rapportata a ciò che realmente si guadagna;

sospensione del versamento dei contributi previdenziali per 24 mesi;

regolarizzazione automatica dei contributi non pagati negli anni trascorsi, attraverso la rateizzazione in 10 anni dell’importo dovuto;

regolarizzazione dei contributi attraverso la volontaria cessione del credito;

allungamento dei termini di pagamento con interessi da applicare con un tasso non superiore a quello legale o a quello del rendimento obiettivo medio di Inarcassa ovvero a quello di capitalizzazione dei contributi.

 

Segnaliamo, inoltre, la protesta degli Ordini degli Architetti e Ingegneri di Lecce che si sono schierati al fianco di un gruppo di professionisti salentini capeggiati dagli architetti Claudio Marasco e Valeria Solazzo che hanno fatto partire una petizione che ha già raggiunto oltre 1.800 firme contro l’aumento dei contributi Inarcassa (firma la petizine on line). In tal senso il Presidente degli Ingegneri di Lecce Daniele De Fabrizio ha definito tali aumenti vergognosi e inaccettabili mentre il l’Ordine degli Architetti di Lecce ha proposto una sospensione per 24 mesi del versamento dei contributi. Sull’argomento è stato organizzato un incontro che si terrà il 24 maggio 2013 alle 16.30 presso la sede dell’Ordine degli Architetti di Lecce per discutere sui possibili rimedi e proposte.

 

Per ultimo segnaliamo la delibera Inarcassa del 15 maggio 2013 con cui è stato deciso:

di differire la scadenza della prima rata dei minimi 2013 dal 30/06 al 31/07/2013;

di concedere agli ingegneri ed architetti iscritti, che non beneficino di riduzioni e/o frazionamenti dei contributi minimi e che ritengono di conseguire nell’anno 2013 un reddito pari od inferiore a €. 15.000,00, di poter versare, alle scadenze del 31/7 e del 30/09/2013, unitamente al contributo di maternità previsto per il 2013, quale acconto sui contributi minimi, gli stessi importi dei contributi minimi dell’anno 2012. Il versamento della differenza dovuta – pari ad € 890,00 – viene differito alla data del 31/10/2016 con l’applicazione di un interesse dilatorio nella misura del 3% fisso annuo. Coloro che intendono fruire di detta agevolazione devono presentare domanda entro e non oltre il 30/06/2013;

agli iscritti che si fossero avvalsi di tale agevolazione, nel caso in cui all’atto della presentazione della dichiarazione per l’anno 2013, il valore del reddito 2013 risultasse tale da comportare il pagamento di un conguaglio a saldo, l’importo dilazionato dei contributi minimi 2013 dovrà essere corrisposto unitamente al saldo entro il termine ordinario. In tal caso sull’importo di € 890,00 sarà applicato l’interesse del 4,5% fisso annuo;

agli iscritti che, dopo essersi avvalsi di tale agevolazione, non rispettino anche solo una delle scadenze previste, l’agevolazione decadrà e saranno conseguentemente posti in riscossione gli importi dovuti per il 2013, maggiorati delle sanzioni e degli interessi previsti dalle norme vigenti in caso di inadempienza.

Lo stanziamento complessivo del monte contributi rateizzabile per il 2013, unito a quello oggetto di rateazione delle annualità 2011, 2012 e 2013, ammonta ad € 150.000.000,00 e l’agevolazione di cui sopra è applicabile comunque entro il termine del 31/12/2013.

 

Con la delibera si è, infine, deciso, fermo restando i piani di rateazione già concessi e tuttora validi, nonché la valenza degli istituti di concessione dei piani di rateazione in essere, di concedere agli ingegneri ed architetti iscritti una rateazione straordinaria applicabile agli importi relativi alle annualità 2011, 2012 e 2013, secondo le seguenti modalità:

l’istanza deve essere presentata entro e non oltre il 30/06/2013;

il debito complessivo rateizzabile deve essere di importo superiore ad € 2.000 e inferiore ad € 40.000;

la durata massima del piano di rateazione è fissata in trentasei mesi con rate quadrimestrali posticipate di pari importo ed applicazione dell’interesse annuo del 4,5% fermo restando che il saldo dell’onere complessivo della rateazione deve avvenire entro la data di decorrenza del trattamento pensionistico;

agli iscritti che, dopo essersi avvalsi di tale agevolazione, non rispettino anche solo una delle scadenze previste, l’agevolazione decadrà e saranno conseguentemente posti in riscossione gli importi dovuti per le annualità rateizzate, maggiorati delle sanzioni e degli interessi previsti dalle norme vigenti in caso di inadempienza.

Possono essere ripresentate istanze non accolte per incapienza del limite di rateazione o per inapplicabilità delle annualità interessate. La rateazione non è cumulabile con la dilazione del pagamento dei minimi 2013 prevista dalla deliberazione n. 19964/13 del 15 maggio 2013.

 

Ilenia Cicirello

lug 03 2013

Impianti termici: ecco le nuove regole in vigore dal 12 luglio

Al 12 luglio prossimo, data in cui saranno a tutti gli effetti operative le nuove regole attinenti all’esercizio, alla conduzione, al controllo, alla manutenzione e all’ispezione degli impianti termici.

Le principali novità, introdotte per sintesi, del nuovo decreto riguardano:

Sotto la prospettiva esecutiva, si riportano di seguito tutte le principali modifiche introdotte dalla nuova disciplina in merito agli impianti termici per la climatizzazione invernale e per la produzione di acqua calda sanitaria, definita dal recente d.p.R 74/2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.149 del 27 giugno 2013 in attuazione di quanto stabilito dal d.lgs. 192/2005.

Le principali novità, introdotte per sintesi, del nuovo decreto riguardano:

1) Temperature degli ambienti e limiti di esercizio degli impianti: non è prevista alcuna variazione dei valori massimi e minimi di temperatura ambiente da fissare, durante la stagione invernale, per il riscaldamento, e per quella estiva, per il raffrescamento. Nel primo caso il valore massimo è fissato a 20 °C +2 °C di tolleranza. Il valore cala poi a 18 °C +2 °C di tolleranza per gli ambienti adibiti ad attività industriali ed artigianali. I valori sono intesi come “media ponderata delle temperature misurate nei singoli ambienti”. In estate, all’opposto, il valore minimo stabilito per tutti gli ambienti è di 26 °C, anche in questo caso con una tolleranza di -2 °C. Sono invece stati riformati i periodi e i tempi di funzionamento per gli impianti termici durante i mesi invernali, diversificati in base alla zona climatica di appartenenza:

Zona A: ore 6 giornaliere dal 1° dicembre al 15 marzo;

Zona B: ore 8 giornaliere dal 1° dicembre al 31 marzo;

Zona C: ore 10 giornaliere dal 15 novembre al 31 marzo;

Zona D: ore 12 giornaliere dal 1° novembre al 15 aprile;

Zona E: ore 14 giornaliere dal 15 ottobre al 15 aprile;

Zona F: nessuna limitazione.

Sono valide deroghe speciali per determinate categorie di edifici, tra cui scuole materne, ospedali, piscine, eccetera. Per tutte le altre tipologie di fabbricato, invece, è resa obbligatoria l’esposizione su ciascun impianto termico di una tabella in grado di riportare i periodi di funzionamento e l’orario giornaliero selezionato.

2) Ispezioni sugli impianti termici: sono considerati soggetti responsabili delle ispezioni sugli impianti termici, in riferimento al contenimento dei consumi di combustibili, le Regioni e le Province autonome. L’oggetto delle ispezioni sono gli impianti di climatizzazione invernale che hanno potenza termica utile nominale non minore di 10 kW e quelli di climatizzazione estiva di potenza termica utile nominale non minore di 12 kW. Gli esiti delle ispezioni vengono direttamente allegati al libretto di impianto. Per gli impianti di climatizzazione invernale di potenza termica utile nominale compresa tra 10 kW e 100 kW, alimentati a gas, metano o GPL, e per gli impianti di climatizzazione estiva di potenza termica utile nominale compresa tra 12 e 100 kW, le ispezioni invece possono venire surrogate dall’accertamento del rapporto di controllo di efficienza energetica, inviato dal manutentore o dal terzo responsabile.

3) Soggetti responsabili degli impianti termici: tutti i criteri, i requisiti e i soggetti responsabili per l’esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione e l’ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva sono individuati specificatamente dall’articolo 6 del d.p.R 74/2013. Tanto queste attività, quanto il rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica, sicurezza e tutela ambientale,vengono commissionate al responsabile dell’impianto, il quale, a sua volta, è legittimato a delegarle ad un terzo (il cosiddetto terzo responsabile). La delega non può essere rilasciata, invece, in caso di impianti non adeguati alle disposizioni di legge, fatta eccezione per la situazione in cui, nell’atto di delega, è espressamente conferito l’incarico di procedere alla loro messa a norma. Con riguardo agli impianti di potenza nominale al focolare superiore a 350 kW, il terzo responsabile deve essere in possesso di:

- certificazione UNI EN ISO 9001 relativa all’attività di gestione e manutenzione degli impianti termici, o

- attestazione nelle categorie OG 11, impianti tecnologici, oppure

- OS 28.

4) Controllo e manutenzione degli impianti: gli interventi di controllo ed eventuale manutenzione dell’impianto termico vanno realizzate da ditte abilitate ai sensi del d.m. 22 gennaio 2008, n. 37, conformemente alle prescrizioni e alle periodicità contenute nelle istruzioni tecniche per l’uso e la manutenzione, messe a disposizione dall’impresa installatrice dell’impianto ai sensi della normativa vigente, oppure, ove l’impresa installatrice non abbia fornito proprie istruzioni in quelle tecniche del fabbricante, oppure ancora, qualora dovessero mancare istruzioni, ai sensi delle norme UNI e CEI. Gli impianti termici devono inoltre essere muniti di libretto di impianto per la climatizzazione, che deve essere consegnato all’avente causa in caso di trasferimento a qualsiasi titolo dell’immobile.

L’aggiornamento dei modelli dei libretti avverrà tramite decreto del Ministero dello Sviluppo economico. Parallelamente agli interventi di controllo e manutenzione eseguiti su impianti termici di climatizzazione invernale di potenza termica utile nominale maggiore di 10 kW e sugli impianti di climatizzazione estiva di potenza termica utile nominale maggiore di 12 kW, si effettuano controlli di efficienza energetica secondo le periodicità e i modelli di rapporto individuati, in funzione della tipologia e della potenza dell’impianto, nell’allegato al decreto 74/2013. Le periodicità risultano variabili tra due e quattro anni, fatta salva la cadenza annuale per gli impianti con generatore a fiamma alimentato da combustibile liquido o solido di potenza superiore a 100 kW.

I controlli di efficienza energetica devono inoltre essere effettuati:

- all’atto della prima messa in esercizio dell’impianto, a cura dell’installatore;

- nel caso di sostituzione degli apparecchi del sottosistema di generazione, come per esempio il generatore di calore;

- nel caso di interventi che non rientrino tra quelli periodici, ma tali da poter modificare l’efficienza energetica.

Terminate le operazioni di controllo, l’operatore è chiamato a redigere e sottoscrive uno specifico Rapporto di controllo di efficienza energetica, di cui una copia viene rilasciata al responsabile dell’impianto mentre un’altra è trasmessa alla Regione o alla Provincia autonoma. E’ necessario poi riportare alla situazione iniziale, con una tolleranza pari al 5%, le macchine frigorifere e le pompe di calore per le quali le operazioni di controllo abbiano fatto emergere che i valori dei parametri che caratterizzano l’efficienza energetica siano inferiori del 15% rispetto a quelli calcolati in fase di collaudo o primo avviamento riportati sul libretto di impianto. Cosa analoga si richiede per le unità cogenerative per le quali, in fase di controllo, sia stato rilevato che i valori dei parametri che distinguono l’efficienza energetica non sono compresi nelle tolleranze definite dal fabbricante.

5) Sanzioni: nessuna modifica è intervenuta sul piano sanzionatorio in quanto risultano confermate, in caso d’inadempienza, le sanzioni già sancite dall’art. 15 del d.lgs. 192/2005. Per la mancata operazione di controllo e manutenzione sugli impianti termici, la sanzione oscilla dai 500 ai 3.000 euro a carico di proprietario, conduttore, amministratore di condominio o terzo responsabile. La sanzione è invece compresa tra 1.000 e 6.000 euro per l’operatore incaricato che manca di provvedere alla compilazione e alla sottoscrizione del rapporto di controllo tecnico.

giu 22 2013

AAAA DALLA REGIONE DELL’UMBRIA. IDEE PER LO SVILUPPO CERCANSI

Il team della regione dell’Umbria che si occupa di Programmazione strategica sta raccogliendo idee, suggerimenti, proposte per l’elaborazione della Strategia di ricerca ed innovazione per la specializzazione intelligente (RIS3) per l’Umbria. 

 Un tuo contributo é gradito. 

PERCHÉ ELABORARE QUESTA STRATEGIA:

Si tratta di una specifica richiesta dell’Unione Europea. Solo le regioni che avranno predisposto questa Strategia avranno accesso ai finanziamenti dei nuovi programmi comunitari, quelli che saranno operativi nel periodo 2014-2020.

Perché solo chi sa già quali sono i propri punti di forza, le proprie potenzialità, i settori su cui scommettere può programmare efficacemente e spendere bene le risorse comunitarie. 

L’Umbria, come tutti, ha bisogno di quelle risorse e vuole spenderle bene. Dunque non possiamo assolutamente fare a meno della RIS3!!!!!

CHE COSA SIGNIFICA, CONCRETAMENTE, SPECIALIZZAZIONE INTELLIGENTE:

Significa individuare le filiere, i domini tecnologici, i settori, gli strumenti sui quali l’Umbria ha effettivamente possibilità di crescita futura. Si tratta dunque di scegliere (cioè specializzarsi),tenendo conto di quello che in Umbria c’è già, magari ancora in embrione, o di ciò che è “connaturato” all’Umbria e ha possibilità di crescere e trainare nei prossimi anni lo sviluppo della regione (cioè scegliere in maniera intelligente).

CHE COSA CHIEDIAMO:

Chiediamo idee, suggerimenti, contributi.

Chi meglio di voi conosce la realtà? Chi meglio di voi sa cosa si sta muovendo sul mercato, tra le imprese, sul territorio?

Avete in mente progetti, settori, sfide, opportunità? Fatecelo sapere.

Con le idee di tutti costruiremo la RIS3 e le priorità che individueremo saranno al centro della prossima programmazione comunitaria e su queste si concentreranno in maniera particolare le risorse finanziarie disponibili.

PAROLE CHIAVE DELLA SPECIALIZZAZIONE INTELLIGENTE:

Innovazione, ricerca, green economy, digitale, banda larga, eccellenza, creatività, servizi, innovazione sociale, energia, sostenibilità, cambiamenti climatici, internazionalizzazione, rete, cluster, leader, sfida, cooperazione, città, mobilità, ICT, riuso, qualità…..

COME POTETE PARTECIPARE:

Nel sito della Regione è attivo uno spazio di e-democracy nel quale ogni cittadino può “partecipare” ai lavori per la definizione dei principali piani e programmi elaborati dai diversi uffici regionali e concertati con le parti sociali.

Per la RIS3:

-se volete approfondire e leggere tutti i documenti disponibili, collegatevi al link: http://www.alleanzaperlosviluppo.regione.umbria.it/750

-per partecipare ed inviare le vostre proposte o le vostre osservazioni:  http://www.alleanzaperlosviluppo.regione.umbria.it/web/11891/751

-per leggere le proposte che riceveremo collegatevi al link: http://www.alleanzaperlosviluppo.regione.umbria.it/web/11891/753

Per conoscere meglio le attività di programmazione a cui la Regione sta lavorando ed eventualmente partecipare, navigate nel sito www.alleanzaperlosviluppo.regione.umbria.it.

Eventuali suggerimenti e proposte, anche relativi alla struttura del sito e alle modalità di partecipazione, li leggeremo con grande interesse.

Per la Segreteria Tecnica dell’Alleanza per lo sviluppo

 

Carlo Cipiciani

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