N° 25860 - 06/09/2014 8:21 - Stampa - -
DISCUSSIONE DELLA SETTIMANA
Sblocca Italia: lettera aperta degli Architetti al Governo Renzi
Il Governo lo ha definito Sblocca Italia perché avrebbe l’ardito compito di aiutare l’Italia ad uscire dall’impasse che sta distruggendo il proprio tessuto economico. C’è chi lo ha definito un decreto Sblocca burocrazia per le poche risorse messe in gioco e l’idea di poter sbloccare il paese attraverso uno snellimento burocratico. C’è anche chi lo ha definito molto simpaticamente Sbrocca Italia per i suoi contenuti “senza contenuti” che aggiungeranno l’ennesima goccia ad una brocca pronta a strabordare.
Insomma, la realtà dei fatti è che il nuovo provvedimento messo a punto dal Governo non piace né agli economisti, né ai costruttori, agli imprenditori e ai professionisti. Dopo la bocciatura di Confindustria, che pur condividendo in contenuti del decreto ne ha contestato la quantità e disponibilità dei fondi, e dell’ANCE che non ha visto un piano definito che possa realmente far ripartire il Paese, registriamo la delusione del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C. che ha inviato una lettera aperta al Governo per dimostrare il suo disappunto.
Il Presidente degli Architetti italiani Leopoldo Freyrie ha, infatti, contestato la totale assenza di una politica di rigenerazione urbana sostenibile che avrebbe potuto creare le condizioni per riavviare il commercio, promuovere le iniziative imprenditoriali, valorizzare i beni culturali e richiamare gli investimenti.
“Ma ancora una volta, – ha affermato Freyrie – come succede da anni, si procede al contrario, immaginando che affastellando singole norme che correggono altre norme che hanno corretto altre norme si possano creare le condizioni per lo sviluppo, gli investimenti, il lavoro. Questa non è rivoluzione, ma una continua involuzione che uccide le possibilità di uscire dalla crisi”.
“Il percorso dello Sblocca Italia – ha continuato Freyrie – è il sintomo preoccupante che, ancora una volta, la bizantina vischiosità legislativa, se non viene affrontata con la forza di un progetto chiaro e condiviso, sterilizza anche le migliori proposte”.
Nonostante la scarsa considerazione e attenzione della politica nei confronti delle professioni tecniche, il Presidente Freyrie, in maniera forse inutilmente fiduciosa (ma mi auguro di no!) visto il recente passato, ha rivolto un nuovo appello al governo chiedendo:
un programma nazionale di rigenerazione urbana sostenibile, da cui dedurre azioni, investimenti e norme, con una regia unica;
lo spostamento di parte delle risorse disponibili dalle grandi infrastrutture alle città, essendo dimostrato (a differenza di ferrovie e autostrade) che ogni euro di denaro pubblico investito nelle città ne attrae 4 dal mercato privato: in un quartiere rigenerato torna la vita, i negozi, i giovani imprenditori, la cultura, la ricerca;
norme edilizie chiare e prestazionali, condivise su tutto il territorio nazionale, che favoriscano la qualità dell’abitare invece della buro-edilizia fonte, tra l’altro, di corruzione e abusivismo;
certezza dei diritti e delle procedure, con solo due modelli autorizzativi: la SCIA e il Permesso di costruire, dando massima trasparenza e pubblicità ai progetti – visibili a tutta la comunità dei cittadini – ma limitando nel tempo la possibilità sia per la PA che per i terzi di bloccare un’opera già approvata in via definitiva e in cantiere (viceversa il credito sulle iniziative immobiliari non tornerà mai più);
riaprire il mercato della progettazione pubblica giudicando sul merito dei buoni progetti e non su requisiti abnormi e arbitrari richiesti ai progettisti, uscendo dallo stato di illegalità certificato dall’Autorità di Vigilanza e dalle Direttive Comunitarie. Quotidianamente gli Enti appaltanti pubblici o sottraggono alla concorrenza i progetti affidandoli alle partecipate fonti di tanti scandali (Expo, Mose, ecc) o pongono requisiti improbabili (da 4 volte il fatturato o avere minimo 40 dipendenti per un normale progetto di architettura) o impongono sconti che sono arrivati anche oltre il 90%. Il risultato? Sono esclusi il 98,7 % degli architetti italiani (e il 100% dei giovani), la qualità dell’architettura pubblica è pessima e fioriscono varianti e tangenti;
linee guida nazionali sulla tutela dei beni monumentali e paesaggistici, per uscire dalle interpretazioni autocratiche e condividere un progetto che salvaguardi la bellezza dell’Italia evitando però che i nostri borghi storici siano definitivamente abbandonati per l’impossibilità di renderli adatti ai requisiti minimi della vita quotidiana contemporanea.
Il presidente Freyrie ha rilevato come molte di queste proposte erano presenti nella versione originaria del provvedimento “per poi via via sparire fino alla clamorosa scomparsa definitiva persino del Regolamento Edilizio unico, simbolo di un approccio razionale ed europeo al tema di regole chiare, prestazionali, che garantissero adeguati standard abitativi senza impedire l’innovazione progettuale e tecnologica”.
La lettera si conclude con un accorata richiesta.
“Caro Presidente, gli architetti italiani sono molto vicino al limite della sopravvivenza, con redditi da incapienti e disoccupazione giovanile mai vista prima: però non scioperiamo né ci incateniamo davanti a Palazzo Chigi. Poiché viviamo di progetti, continuiamo a credere che possiamo progettare per l’Italia un futuro migliore, con razionalità e capacità di visione. Chiediamo al Governo la stessa caparbietà e coraggio, ascoltandoci e attuando ciò che con tanti altri da tanto proponiamo, lasciando che si sveli a tutti chi lavora per la conservazione di uno status quo che ha tutte le caratteristiche della Stige, la palude degli accidiosi, nella quale non vogliamo affogare”.
A cura di Ilenia Cicirello