N° 24362 - 08/04/2014 9:14 - Stampa - -

DISCUSSIONE DELLA SETTIMANA

Crediti formativi e Tariffe professionali: dove sta la perequazione?

Era di pochi giorni fa un articolo sui corsi di formazione del quotidiano Italia Oggi che mi sono sentito in dovere di condividere sui nostri canali social e che definiva l’obbligo di formazione continua “un’offesa per i professionisti seri e una foglia di fico per i professionisti scadenti”.Condividendo pienamente ogni singola parola, l’articolo mi ha fatto riflettere su alcuni aspetti del problema che non mi sembrano secondari e che riguardano il palese atteggiamento di sperequazione che i Governi succedutisi negli ultimi anni hanno avuto nei confronti delle libere professioni.

Se con l’approvazione del primo pacchetto sulle liberalizzazioni (decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito poi dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, c.d. decreto Bersani) si è proceduto gradualmente prima alla liberalizzazione delle tariffe professionali e poi alla loro completa eliminazione (con il Governo Monti), con la pubblicazione del D.P.R. 7 agosto 2012 n. 137 si è imposto ai liberi professionisti l’aggiornamento continuo (art. 7) che concretamente si traduce in un aggravio di tempo e denaro che il professionista è costretto ad investire dall’1 gennaio 2014.

Entrando nel dettaglio dei provvedimenti approvati, dal mese di gennaio 2012, con il decreto-legge n. 1/2012 convertito dalla legge n. 27/2012 sono state totalmente abolite le tariffe professionali delle professioni regolamentate e si è stabilita la “pattuizione” del compenso professionale al momento del conferimento dell’incarico. Tale previsione normativa ha portato alle estreme ed aberranti situazioni note ormai a tutti che hanno condotto fino al progressivo svilimento delle prestazioni intellettuali, con offerte al limite dell’assurdo: predisposizione di certificazioni energetiche per abitazioni e locali commerciali a 39,90 Euro – consulenza e stesura di un progetto architettonico per ristrutturazione appartamenti e negozi a soli 100,00 euro.

La causa delle aberrazioni del mercato possono essere ricercate sia in un uso improprio della rete, che ha ormai dato il via a pratiche commerciali di ogni natura e sacrificato la qualità del progetto sull’altare di termini quali “personal branding” e “networking”, sia nella concorrenza innescata dalla cancellazione delle tariffe professionali che, nonostante l’unico limite imposto dal rispetto dell’art. 2233 del codice civile (che misura, in modo molto aleatorio, il compenso professionale in funzione dell’importanza dell’opera e del decoro professionale), ha generato un vortice di strategie di marketing il cui unico minimo comune denominatore è il prezzo (sempre al ribasso).

Anche l’ultima barriera del rispetto del decoro professionale è stata posta in discussione dall’Autorità garante della concorrenza e del Mercato che con il suo Presidente, Giovanni Pitruzzella, ha richiesto più volte e, per ultimo nell’audizione del 4 giugno 2013 alla X Commissione permanente Attività produttive, Commercio e Turismo della Camera dei Deputati, l’eliminazione dai riferimenti normativi dell’adeguatezza del compenso del professionista rispetto al “decoro professionale” e alla “importanza”, ostacolo (in che modo ancora non si comprende!) alla liberalizzazione del settore delle libere professioni.

Dall’1 gennaio 2014, tutti i liberi professionisti iscritti agli albi, in riferimento a quanto previsto dal D.P.R. n.137/2012, hanno l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale con la precisazione che la violazione di tale obbligo costituisce illecito disciplinare.

La corsa al credito professionale ha portato ordini e collegi professionali alla definizione di seminari in cui molto spesso parte del tempo è dedicato a quelle che amo definire “passerelle” dei politicanti di turno. Ciò sta già generando nella mente dei professionisti un progressivo effetto “rincorsa” al seminario che offre più CFP ma senza alcun interesse all’argomento trattato. Sarebbe interessante sapere quanti professionisti avrebbero partecipato agli stessi seminari se non ci fosse stata la necessità dell’acquisizione dei crediti necessari per evitare un provvedimento disciplinare.

Dunque, se da una parte il Governo toglie ai liberi professionisti l’unica “arma” (il tariffario) che li metta al riparo dal progressivo svilimento della loro prestazione, dall’altra lo stesso Governo chiede loro di investire tempo e denaro per “certificare” le loro competenze professionali. Ed è proprio per questo che sono d’accordo con quanto scritto da Pieruigi Magnaschi su Italia Oggi: “Al di là delle derive affaristico-burocratiche (che pure ci sono e sono evidentissime) i corsi per professionisti sono un’offesa per i professionisti seri e una foglia di fico per i professionisti scadenti. Un professionista, di solito, è laureato. Sempre di solito, ha dovuto sostenere esami di abilitazione per accedere alla professione. Dopo di che, si suppone che abbia la voglia e gli strumenti per procedere alla sua educazione permanente, nei modi e nei tempi da lui autonomamente scelti: o partecipando ai corsi che vuole (senza bisogno che essi siano forniti di bollini certificativi), o studiando in vario modo (nel 2013 l’e learning è a portata di mano di tutti) o crescendo con i colleghi sul posto di lavoro”.

Nel suo articolo, Magnaschi aggiunge, anche, che “In caso contrario, si accetta un processo di bambinificazione che umilia i professionisti, mettendoli a bàlia, senza peraltro arricchirli. Una legge di questo tipo è da socialismo reale, non da società libera di tipo occidentale dove l’ordine deve sancire i comportamenti deleteri dei suoi iscritti ma non deve certo contribuire alla loro formazione tecnica. E poi bisogna lasciare al mercato il compito di decidere quali sono i professionisti che valgono, che, non a caso, sono pagati di più e/o sono utilizzati di più. Il mercato, quello privato intendo, essendo rappresentato da coloro che sganciano l’euro (esercizio, questo, doloroso per tutti), è lo strumento corretto, attento e costante nella valutazione di qualsiasi professionista”.

Ma con ogni probabilità, quello della formazione continua è stato un vero e proprio “contentino” dato agli Ordini professionali per giustificare la loro esistenza, visto che con il trasferimento ai Consigli di disciplina delle questioni deontologiche e con la cancellazione delle tariffe professionali è venuto meno il ruolo fondamentale previsto dalla legge n. 1395/1923.

Crediamo davvero che un seminario sull’abusivismo edilizio o sulle opere pubbliche sia veramente idoneo a certificare la formazione professionale di un ingegnere o di un architetto? O forse sono solo utili ad avere i crediti necessari per evitare il provvedimento disciplinare?

Sarebbe più giusto chiedersi se, oggi, in sostituzione ad un’obbligatorietà di iscrizione agli Ordini professionali, non sia corretto pensare a situazioni più europee e più adatte alle diverse odierne condizioni professionali.

A cura di arch. Paolo Oreto