N° 23957 - 01/03/2014 20:21 - Stampa - -
DISCUSSIONE DELLA SETTIMANA
Il valore comunicativo del colore nell’architettura moderna
Ogni edificio è una vera e propria “macchina per abitare” e, quando in una costruzione è presente una componente cromatica espressa da una combinazione di colori, allora l’architettura raggiunge un rilevante livello di “poeticità”
Secondo l’idea di Le Corbusier, grande maestro del movimento moderno dell’architettura, ogni edificio è una vera e propria “macchina per abitare” e, quando in una costruzione è presente una componente cromatica espressa da una combinazione di colori, allora l’architettura raggiunge un rilevante livello di “poeticità”; in tale ottica dunque, egli affermava che:“L’architettura è un fatto d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi. La Costruzione è per tener su: l’Architettura è per commuovere.”
A partire dagli anni trenta infatti, questa importantissima concezione ha rappresentato una base essenziale per molti degli architetti odierni che si sono dedicati al colore come principio “costituente” della propria progettualità, riuscendo ad armonizzare architettura e colori anche in modo decisamente suggestivo. Il colore e i materiali sono pertanto elementi molto esclusivi, in grado di assicurare originalità e creatività ai progetti, divenendone (in alcuni casi) i fattori più distintivi, mentre (in altre occasioni) hanno operato più superficialmente, manifestando comunque importanti qualità a livello estetico-figurativo e compositivo, ma – lo rimarchiamo -anche per combattere e/o sostenere i volumi, i materiali ed i tratti più specifici di un’architettura assolutamente intesa e vissuta soltanto come “locale”.
Proprio per tale motivo, risulta oggi evidente che quasi tutta l’edilizia delle nostre aree più periferiche è letteralmente soffocata da una tangibile “rozzezza”, a testimonianza di come gli standard delle attuali costruzioni ignorino completamente qualsiasi valore estetico/stilistico (quindi culturale) generando – di conseguenza – ripercussioni per l’economia e la tecnologia, ma soprattutto per il personale “equilibrio” di quanti la sperimentano, poichè vi risiedono.
Tale situazione, può forse testimoniare quella vera e propria “rottura” fra la cultura umanistica e la cultura tecnologica che, purtroppo, sembra quotidianamente aumentare, a dimostrazione di come sia indispensabile (soprattutto per le future generazioni) un’educazione e formazione che consenta la coesistenza di entrambe le anime, poichè – nel caso dell’architettura – non si tratta solo di manufatti tecnici, ma di realizzare una migliore “civiltà” per gli esseri umani. Tale principio serve a dire insomma che l’architettura – quale manifestazione di sentimenti e rappresentazione specifica di quanto siamo stati capaci di conoscere e comprendere – può essere “arte” (di certo, ancora oggi!) poichè, malgrado le problematiche e le apparenze dei nostri tempi, possiede appunto un peculiare “valore artistico”.
In tale ottica perciò, anche le sue componenti cromatiche devono essere considerate equivalenti alle ulteriori caratteristiche di un’architettura che rappresenta ancora un sistema simbolico capace di comunicare molteplici significati, in quanto essa può condizionare persino gli atteggiamenti delle persone e, pertanto, il colore è un importante mezzo di quella comunicazione visiva a cui si collegano anche le immagini di una realtà comunque percepita sempre in forma “individuale”.
Se il colore è anche “informazione”, esso dipende essenzialmente dalla capacità di leggere l’ambiente intorno a noi attraverso caratteristiche squisitamente “personali”, poichè rappresenta lo spazio mentale nel quale si realizzano le relazioni tra contenitore e contenuti, in cui perciò confluisce lo schema progettuale dell’architetto e quello sviluppato da ogni fruitore del suo progetto: è dunque una sorta di “invito” attraverso il quale ogni area e componente architettonica entra in relazione con le persone e ne consente una lettura assolutamente “unica”.
Se infine consideriamo il bianco come la somma di tutti i colori, quando lo utilizziamo – come fece Le Corbusier nel corso del suo percorso di architetto di “frontiera” (in termini di assoluta innovazione) – è come se li adoperassimo tutti, poichè ogni età ha compreso e adottato solo alcuni colori, tralasciandone le innumerevoli varianti, visto che l’identità cromatica di qualunque componente architettonica è stata sempre rivelatrice di uno stile, di una corrente e/o di un’epoca. Era dunque naturale per Bruno Taut, grande architetto funzionalista della prima metà del novecento, sostenere: “Con il colore, allorché viene messo in rapporto pieno, diretto e senza nessun tipo di artificio con la luce, una struttura può essere riempita di vita reale. Il colore diviene quindi una componente della luce medesima, in quanto il colore è luce”.
Anche attraverso l’utilizzo di colore/luce, l’architettura ha perciò un rapporto costante e diretto con le persone, in quanto viviamo nelle città e nelle sue abitazioni e – dunque – proprio “dentro” l’architettura e non possiamo sottrarci al legame diretto con la sua forza comunicativa.